Nella piccola ma ricchissima artisticamente Olanda, i quadri di uno dei più celebri maestri dell’arte fiamminga, Johannes Vermeer, sono considerati veri e propri gioielli, tesoro nazionale inalienabile. I suoi capolavori, così come la stessa riscoperta dell’artista da parte della collettività, sono al centro di una delle storie di falsi più avvincenti di tutta la storia dell’arte. Protagonista indiscusso della vicenda, prima ancora delle peripezie, dei falsi e delle personalità illustri coinvolte, è Han van Meegeren, «l’irascibile, eccentrico e riservato» vecchietto della porta accanto.
La nascita di un falsario
Han van Meegeren nacque il 10 ottobre 1889 a Deventer, nel cuore dei Paesi Bassi. Cagionevole di salute ma curioso e brillante sin da bambino, sviluppò precocemente la passione per il disegno, incoraggiato dalla madre ma violentemente ostacolato dal padre Henricus. La figura di riferimento paterna venne presto sostituita, nell’immaginario dell’ormai adolescente Han, dal professor Bartus Korteling, suo insegnante e artista, che vide in lui un talento prezioso e che lo prese sotto la sua ala. In breve tempo il giovane van Meegeren acquisì una conoscenza dettagliata e straordinariamente approfondita dell’arte fiamminga del Seicento, periodo prediletto dal maestro, ritenuto da costui fondamentale per l’identità nazionale del Paese e punta di diamante dello stile artistico di tutti i tempi. Ciò non senza l’insegnamento di un odio viscerale verso i moderni.
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Nonostante il successo del figlio ai vari concorsi d’arte, Henricus van Meegeren non si arrese all’idea di una sua carriera da artista e continuò a distruggere tutte le opere che il ragazzo portava o produceva in casa. Raggiunta la maggiore età, Han van Meegeren ottenne un compromesso col padre: studiare architettura a Delft. Lontano da casa, e dunque dal controllo stringente del capo famiglia, poté finalmente dedicarsi in tutto e per tutto allo studio e alla pratica dell’arte figurativa, ben guardandosi dal rispettare la promessa dell’impegno nella carriera di architetto. Approfondì in particolare le tecniche pittoriche antiche, ponendo solide basi per quello che sarebbe stato, successivamente, il suo impiego principale e straordinariamente redditizio. Dedicandosi a pitture d’ispirazione secentesca, van Meegeren, giovane e sconosciuto pittore, riuscì a riscuotere abbondante successo presso le giurie di vari premi d’arte e i collezionisti della città, arrivando ad essere considerato una giovane promessa. Terminati gli studi, sposato e con un figlio in arrivo, si ritrovò ben presto sommerso dai debiti e iniziò a maturare in lui un’idea che gli avrebbe fruttato molto denaro con il minimo sforzo. Consapevole delle proprie eccellenti capacità tecniche, si mise a replicare opere da lui realizzate e vendute in precedenza con un ottimo guadagno, spacciandole per primi esemplari originali. In fondo, si giustificò,
non stava ingannando nessuno […]. Il piacere estetico che il compratore avrebbe ricavato dal possesso del dipinto era il solo criterio di valutazione oggettivo in tutta la faccenda. Se il cliente era soddisfatto, la vera storia del quadro non poteva che essere definita del tutto irrilevante.
L. Guarnieri, La doppia vita di Vermeer, Milano, Mondadori, 2004, p.24
Purtroppo per lui, tuttavia, la moglie non accettò questo inganno e lo costrinse a dichiarare il vero ai compratori.
L’unico autentico in un mondo di falsi
Forte dei successi derivati da diverse esposizioni e lavori su commissione, si trasferì all’Aja, dove divenne insegnante privato e pittore apprezzato e ricercato nei circoli borghesi della città. Rinomato e acclamato dalla critica, van Meegeren cominciò a irrobustire e analizzare sempre più approfonditamente i pensieri e l’avversione che da un po’ di tempo covava nei confronti del mondo dell’arte contemporaneo, come ad esempio l’assoluta relatività dei valori estetici e l’interesse feticistico verso le personalità più che le opere in sé, con una conseguente cecità e non curanza verso i veri talenti artistici, che rischiavano spesso di rimanere ai margini.
Forse seguendo questo spirito di ribellione e rivalsa, o più semplicemente per diletto e svago personale, aiutato dall’aura del genio, il giovane artista non tardò a trovarsi diverse amanti, specialmente tra le mogli dei tanto odiati critici, provocandosi, una volta scoperto, diversi nemici, che cominciarono a cambiare il giudizio nei suoi confronti anche riguardo l’ambito artistico. L’avversione verso gli esperti non venne mai nascosta da van Meegeren, che al contrario si lasciò spesso andare ad accuse e offese pesanti, attirandosi l’odio viscerale dell’intera categoria. Il declino del suo inebriante e rapido successo si dimostrò altrettanto veloce e inevitabile, il che lo portò a isolarsi ancora di più e rifugiarsi nell’alcol e nella droga, mantenendo uno stile di vita eccentrico e dispendioso. Con un atteggiamento di sfida sempre più esplicito e marcato verso l’establishment dell’arte, vide nella ritrattistica un terreno sempre fertile e relativamente sicuro e vi si dedicò a tempo pieno. In quegli anni, van Meegeren fece amicizia con un artista e antiquario, Theo van Wijngaarden, che condivideva in larga parte l’odio di Han verso la categoria dei critici d’arte, considerandoli incapaci e corrotti.
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Dopo un affare molto redditizio stroncato dal sommo, incontestabile esperto dell’arte fiamminga Abraham Bredius, che definì falso il quadro che l’antiquario aveva appena venduto per una cifra considerevole, van Wijngaarden decise di tendere una trappola allo stesso Bredius. Produsse un finto Rembrandt e lo sottopose al critico, arricchendolo con una storia seducente e romanzesca. Questi, in effetti, cadde nell’inganno, che venne immediatamente svelato quando l’autore del falso distrusse la tela davanti ai suoi occhi e lo schernì. A conferma delle teorie, a tratti complottiste, di van Meegeren e dell’amico van Wijngaarden, tuttavia, la fama di Bredius non subì il ben che minimo danno.
Han van Meegeren e Vermeer
Nell’estate del 1932 Han van Meegeren e la sua nuova moglie, Johanna Oerlemans, ex moglie del critico d’arte Carel Hendrik de Boer, si misero in viaggio verso l’Italia, dove però non arrivarono. Si fermarono, infatti, a causa di un incidente in automobile, a Roquebrune, nel Sud della Francia, dove decisero di abitare stabilmente. Qui, nella campagna della tranquilla cittadina francese, l’artista iniziò la sua opera più ambiziosa, un’opera che gli avrebbe fruttato milioni e che lo avrebbe immortalato, suo malgrado, come uno dei più grandi falsari della storia. Van Meegeren scelse come vittima della sua truffa artistica il maestro fiammingo Vermeer, abbastanza riconosciuto e apprezzato da permettergli degli ottimi guadagni, ma con una biografia lacunosa e uno stile in evoluzione durante tutto il suo percorso artistico. Il piano di Han van Meegeren era tanto semplice quanto astuto: sarebbe stato lui a colmare i vuoti nella vita del grande artista secentesco e a dare agli esperti, in particolare Abraham Bredius, ciò che volevano. Bredius, infatti, tra i massimi conoscitori dell’opera di Vermeer, aveva da sempre ipotizzato un periodo religioso del pittore in giovane età, probabilmente influenzato da un viaggio in Italia in cui conobbe lo stile caravaggesco.
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Avrebbe creato un Vermeer inaspettato, insolito, sorprendente – ma un Vermeer di cui la critica d’arte sognava, del quale sentiva la necessità e il bisogno. Poi, non appena il dipinto fosse stato accettato e acclamato come tale, avrebbe rivelato di esserne l’autore. Ciò avrebbe dimostrato senza ombra di dubbio il suo genio creativo e allo stesso tempo smascherato l’ignoranza e l’incompetenza degli odiati critici, studiosi, esperti e galleristi che erano stati unanimi nel negargli la patente di artista. E avrebbe inoltre provato che il valore di un quadro (come dell’opera d’arte in genere) deriva non tanto dalle sue qualità estetiche intrinseche quanto dal marchio che porta, dall’etichetta che gli si fabbrica, dalla fama che gli si costruisce intorno.
L. Guarnieri, La doppia vita di Vermeer, Milano, Mondadori, 2004, p. 45
La vendetta e il desiderio di rivalsa, seppur sotto mentite spoglie, furono quindi gli stimoli principali che permisero a van Meegeren di intraprendere e portare avanti un’opera titanica, che vide anni di studi teorici, esperimenti tecnici per la realizzazione dei materiali adatti e delle tecniche di invecchiamento migliori, di ricerca e studio del soggetto da rappresentare. È significativo, quasi paradossale, considerare il periodo e il contesto storico in cui Han van Meegeren decise di dare inizio alla sua riscoperta e valorizzazione dell’arte secentesca fiamminga. In quegli anni, infatti, l’arte moderna vedeva sbocciare i suoi frutti più succosi mentre il falsario di Deventer si opponeva con tutta la forza del suo talento tecnico e del suo ingegno al cambiamento e all’abbandono inesorabile della tradizione artistica. Van Meegeren fu però abile nello sfruttare il periodo storico in cui visse, in quanto la Seconda guerra mondiale, con l’invasione e il saccheggio dei tesori dei Paesi Bassi da parte del Reich, portò molta confusione all’interno del mondo e del mercato dell’arte, con il recupero, ma anche la scoperta e riscoperta, di grandi capolavori al termine del conflitto. Gli esperti olandesi furono inebriati, in un primo momento, dai vari ritrovamenti di opere di inestimabile valore finite nelle sterminate collezioni dei gerarchi nazisti, tanto da non dedicare troppa attenzione a ciò che andavano a recuperare e autenticare.
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