Dal prosieguo de Le Avventure di Tom Sawyer emerge un’America selvaggia e on the road – anzi, on the river– attraverso le peregrinazioni del giovane Huckleberry Finn – abbandonato dal padre e scappato dalla vedova che lo aveva adottato – e lo schiavo di colore Jim, lungo il Mississippi alla ricerca della libertà.
La traversata, però, si rivela piena di pericoli e i due si imbattono in una coppia di truffatori, presentatisi con gli altisonanti titoli di Duca di Acquasparta e Re di Francia. I due imbroglioni riusciranno a vendere Jim alla sorella della zia di Tom Sawyer, Polly, così i ragazzi tenteranno di liberare l’amico.
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L’autore trasmette un omaggio alla libertà intesa come fuga da ogni sorta di schiavitù – da quella vera e propria a quella dai canoni civilizzati – in un periodo in cui i conflitti tra i bianchi e i neri erano ben lontani dal risolversi. Inoltre, il messaggio è trasmesso in maniera ancora più forte perché Huck non proviene da una famiglia moderna e ben sistemata, bensì da una in cui il padre è un ubriacone violento e non si hanno notizie della madre. Twain fa fare al suo personaggio quello che nessun ragazzino avrebbe potuto fare: aiutare Jim a liberarsi dalla schiavitù, prima ancora che l’America si accorgesse che milioni di persone vivevano in questa condizione degradante e che sentissero l’esigenza di riconoscere loro una vita più degna in libertà.
I lettori spesso rimpiangono che la storia si livelli su Tom Sawyer, dal momento in cui Tom riappare, tanto che il clima del finale del romanzo riporta a quello iniziale. Ma un finale tragico o un lieto fine non sarebbero adatti: Huckleberry non deve venire da nessun luogo particolare o arrivare da qualche parte. Non incarna l’indipendenza del tipico pioniere americano, bensì quella del vagabondo, la cui esistenza mette in discussione i valori dell’America così come quelli dell’Europa. Non ha né inizio né fine: può solo sparire.
Come il ragazzo, anche il fiume non ha principio né termine: all’inizio non è ancora il fiume, mentre alla fine non è più il fiume, ma è al tempo stesso uno e molti. È il Mississippi del libro solo dopo l’unione con il Missouri, prende alcuni caratteri dall’Ohio, dal Tennessee e da altri affluenti e alla fine sparisce fra i rami del delta: non c’è più, ma è ancora dov’era, centinaia di miglia al Nord. Il fiume non tollera che la sua storia abbia un disegno che interferisca con il suo dominio: le cose devono succedere e basta, qua e là, alla gente che vive sulle sue rive o si affida alla sua corrente.
Dunque è impossibile anche per Huck avere un inizio o una fine, così il libro ha la frase conclusiva giusta, l’unica possibile: «Ma magari è meglio che parto per il territorio indiano prima degli altri, perché zia Sally dice che vuole adottarmi e incivilizzarmi, e questa è una cosa che proprio non mi va. L’ho già provato una volta».
Nicole Erbetti
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