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Intelligenza Artificiale, la sfida di una lettura senza pregiudizi

Dall’applicazione in ambito sanitario fino alle possibili conseguenze sul mondo del lavoro. Domande (comode e scomode) a chi l’argomento lo mastica da anni.

17 minuti di lettura

Nel 2019 lo youtuber classe 1992 Rudy Mancuso pubblica sui suoi canali social un video dal titolo “Cure for loneliness | Stories from our future”. In un domani non troppo remoto Mancuso ricostruisce, in circa dieci minuti di girato, la vita di una persona nella sua routine. Il protagonista (è il regista stesso, ndr) si sveglia in un appartamento, fa colazione, prende i mezzi pubblici, va al lavoro, coltiva i suoi interessi e terminata una giornata si prepara a rivivere la successiva in maniera uguale. C’è un elemento filo conduttore tra tutte le sue attività: è sempre solo. E lì la svolta, quella cure for loneliness che dà il titolo al cortometraggio, ovvero la possibilità di acquistare un macchina, un robot, un surrogato a sembianze umane che possa colmare la solitudine della sua quotidianità. 

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Due scene tratte da “Cure for loneliness | Stories from our future”.

A prescindere dalla resa del video, dalla sua evoluzione e dal significato che vuole trasmettere, lo youtuber tocca un nervo scoperto della società occidentale contemporanea: come la tecnologia – e le macchine più in generale – stiano diventando la cura per le tante fragilità dell’uomo contemporaneo, a partire dal senso di solitudine ed inadeguatezza. Mancuso non ha inventato niente: il tema uomo-macchina è problematico fin dalle origini e tantissime sono le riflessioni filosofiche, cinematografiche, sociologiche ed economiche per conciliare due mondi che all’apparenza si escludono l’uno con l’altro. Ma è davvero così? 

È un mondo per macchine?

Provare a rispondere a questa domanda apre un vaso di Pandora difficile da chiudere: il tema si dipana in talmente tanti ambiti che trovare una scappatoia facile per arrivare alla risposta non solo è complicato, ma è anche controproducente. C’è poi un altro elemento che complica l’equazione ma che non si può ignorare in questa riflessione, ed è l’emergenza pandemica da Coronavirus che abbiamo vissuto a livello globale negli ultimi mesi, la quale ha acuito come mai prima d’ora il rapporto simbiotico tra la tecnologia e l’uomo, portando a galla ulteriori fragilità (si pensi agli studi su ansia, depressione, disturbo post-traumatico pubblicati su The Lancet Psychiatry), ma che allo stesso tempo ci ha spinti individualmente e collettivamente a «superare i nostri limiti». Anche qui la tecnica, il progresso tecnologico e scientifico, le macchine, hanno fatto un pezzo importante: si pensi alla corsa contro il tempo in ambito medico-sanitario per salvare vite umane, ma anche alla spinta che ha permesso di realizzare vaccini anti-Covid in tempi record.   

E quindi, come si tratta il rapporto tra uomo e tecnica in un mondo che affronta – ed è destinato ad affrontare – sfide inedite? Istintivamente aggrappandoci alle proprie convinzioni personali, giornalisticamente liberandoci dai nostri pregiudizi e andando a parlare con chi dalle nostre domande può ricavarci delle risposte.  
Allora, si è scelto di partire proprio dalle due parole che danno il titolo alla traccia del Premio*: Intelligenza Artificiale. Dopo un lavoro di ricerca si è deciso di stringere il campo ad una realtà italiana che all’Intelligenza Artificiale si è approcciata da anni: la Minerva Digital Intelligence, start-up specializzata nella realizzazione di software client server personalizzati basati su algoritmi di Machine Learning e Data Mining

Per loro l’Intelligenza Artificiale è “dare un senso al caos”, ma con qualche accortezza, per prevenire possibili storture e derive apocalittiche come i migliori film di fantascienza insegnano. Perché se è vero, come vedremo, che si parla di numeri, calcoli e dati, è importante sottolineare che il protagonista resta sempre lui: l’uomo.  

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Uno scatto del laboratorio dedicato al suono dell’azienda Caimi Brevetti, in Brianza.

“Rendere causale ciò che sembra casuale: ecco cosa facciamo” 

Quando si parla di Intelligenza Artificiale, la mente corre subito a tecnologie all’avanguardia e lontanissime. Al robot di Rudy Mancuso dal quale siamo partiti, per intenderci, in grado di comprendere e decidere le azioni da compiere e di un mondo futuristico in cui macchine e uomini convivono. In realtà, il suo utilizzo è molto più reale e quotidiano di quanto si possa immaginare. 

“Non tutto però è intelligenza artificiale” chiarisce subito Diego Pratò, matematico, già docente di Statistica al Sole 24 Ore dal 2016 e CTO di Minerva Digital Intelligence.

“Mi fa sorridere leggere articoli in cui si trova intelligenza artificiale e macchinetta del caffè nella stessa frase. Si fa un calderone di cose, dimenticando che l’argomento non è semplice e bisogna far bene i conti senza generalizzare”.

E allora partiamo proprio da qui. Facciamo chiarezza: che cosa intende lei per intelligenza artificiale?

“Come esseri umani produciamo una quantità di dati enormi. Rispetto a molti anni fa questi dati oggi vengono archiviati con competenza e grazie alla tecnologia possiamo elaborarli. Questo vuol dire che noi possiamo imparare da questi dati. Eccolo qui il valore dell’intelligenza artificiale: partendo dai dati l’IA mi fornisce una spiegazione matematica al perché di certi processi. Vedendo la sua sintesi, l’IA sa cosa funziona e cosa no. E ci dice come migliorare o come peggiorare. Questa tecnologia può essere applicata praticamente a tutto: la performance di una città, il traffico veicolare, il business di un’azienda. E come abbiamo capito recentemente può essere a servizio anche dell’ambito medico-sanitario, permettendoci ad esempio di ottimizzare la gestione dei pazienti in terapia intensiva”

Mi interessa molto questa applicazione in ambito medico. Uno dei vostri progetti, “Machine 4 Learning”, è arrivato anche in uno dei più importanti Ospedali del Nord Italia. Di cosa si tratta?

“A inizio 2020 quando è arrivato il Covid il nostro mondo come quello della maggior parte delle persone è stato stravolto. Abbiamo provato a spostare il focus del nostro lavoro dall’ambito finanziario a quello sanitario e abbiamo iniziato ad avere colloqui e incontri proprio per capire come i nostri studi potessero aprirsi anche a quel settore. Quello che è successo dopo è stata un’esplosione di richieste. In quel momento sono nati i progetti dell’ambito medico. La punta dell’iceberg è «Machine 4 learning», che servendosi della vasta quantità di informazioni contenute nei data base della sanità, nell’ambito delle sale operatorie riesce a migliorare e ottimizzare i servizi forniti dalla struttura grazie all’analisi predittiva. Come spiegavo prima, i dati sono l’elemento che fa la differenza: una volta svelate le relazioni, esse consentono di effettuare valutazioni finalizzate a decisioni migliori”.

Per molte persone parlare del rapporto tra intelligenza artificiale e lavoro fa paura. C’è del vero nelle loro preoccupazioni?

“Si pensa alla macchina che ruba il lavoro all’uomo. Per me è l’esatto contrario. Questa inferenza della tecnologia nel mondo del lavoro non va vista come un qualcosa che va contro l’uomo, ma come qualcosa che cambia il lavoro dell’uomo. Se ho le macchine che mi gestiscono il magazzino non avrò più i magazzinieri, è vero. Però ci sarà sempre bisogno della mano umana per dominare la macchina. Il risultato? Il lavoro c’è, ma cambia”.

Sì, ma facciamo che oggi i magazzinieri del suo esempio sono tre. Se arriva la macchina realisticamente a me basterà un solo magazziniere per controllarla. Che fine fanno gli altri due?

“Uno sarà quello che installa il software, l’altro quello che lo realizza: è una riqualificazione che tende verso l’alto. Il mondo del lavoro di oggi ricerca profili medio-bassi. Io penso che l’avanzamento delle nuove tecnologie permetterà anche l’acquisizione di nuove competenze da parte delle persone. Certo probabilmente bisognerà studiare un po’”. 

Continuo a fare l’Avvocato del Diavolo. Ci sono delle storture, delle cose per cui correre ai ripari nel mondo dell’ IA prima che sia troppo tardi?

“Ci sono diverse insidie quando parliamo di Intelligenza Artificiale. Una di queste sta proprio nell’uso errato della parole: oggi se ne parla in una chiave che fa paura. E superare questa insidia è la principale sfida. Per me Intelligenza Artificiale è sinonimo di conoscenza. E chi ha paura della conoscenza? C’è una reale insidia, però, ed è quella della privacy. L’IA va a lavorare con i dati delle persone e quei dati dove finiscono? Si rischia di regalare informazioni riservate al mondo. Ma questo è un processo già in corso. È il mondo che si sta orientando verso questo sistema: tutto connesso, tutto a misura delle esigenze delle singole persone”. 

Non rischiamo di perdere la spontaneità nella nostra vita? In altre parole, diventa tutto prevedibile?

“Sta già accadendo. Con i social, con gli smartphone, con le connessioni che creiamo tra le nostre app. Domani il tuo microonde sarà collegato al frigo, che a sua volta sarà collegato ad un’app che riassume le tue abitudini alimentari. E da lì farai gli ordini della spesa. Già oggi, soprattutto negli Stati Uniti, ci sono sperimentazioni con droni che consegnano prodotti alimentari in casa. Il mondo diventerà nel prossimo ventennio questa roba qui. Sono ultraconvinto di questa cosa. E qui però si inserisce il tema pericoloso che dicevo prima: la privacy. I tuoi consumi non saranno più cose private ed andranno ad ingrassare il database di un’azienda che userà quei dati in ambito business. Le informazioni sono fondamentali, regolano il rapporto domanda e offerta. Certo, però, se usato in modo etico questo sistema ci dà anche un miglioramento della qualità della vita. Ad esempio, dalle abitudini di un Paese io posso capire dove indirizzare la ricerca medico-scientifica. Sottolineo un concetto fin ora implicito: il problema vero non è la tecnologia ma l’uso che se ne fa”. 

L’intelligenza artificiale, dalle sue parole, è già qui. Dobbiamo smetterla di parlarne al futuro, quindi?

“Nel 2007 andai in un’azienda parlando dell’importanza delle mail. Il titolare, in brianzolo, mi disse “mi usi il fax”. Oggi nessuno ha più il fax in azienda. Questo esempio mi serve per spiegare quanto veloce corra la tecnologia: io penso che nel giro di venti anni quello che ci sembra lontanissimo sarà la normalità. Certo, si troverà chi all’inizio dirà “io no”, ma alla fine penso che bisognerà adattarsi al nuovo mondo. La cosa più bella dell’IA è che è rivelatrice: dati presi singolarmente che non dicono niente, se messi insieme nel modo giusto mi aiutano a trovare le relazioni nascoste. Scopri che una cosa è dipendente dall’altra. E puoi migliorare, partendo dalle domande e non dalle risposte, cosa che ci permette sempre di fare passi avanti. Con etica e consapevolezza però, mettendo sempre al centro l’uomo. Lo diciamo quando descriviamo il lavoro che fa la Minerva Digital Intelligenze: rendiamo causale ciò che potrebbe sembrare casuale. Nel nostro mondo le macchine sono al servizio dell’uomo e non viceversa”.

Conclusioni?

Se si è arrivati fino in fondo del cortometraggio Cure for loneliness | Stories from our future è probabile che l’emozione che prevalga a video terminato sia quella dello straniamento. In un colpo di scena finale Mancuso ha un’intuizione semplice ma efficace: non tracciare il confine tra uomo e macchina

Tracciare quel confine è probabilmente la sfida più grande che la nostra società si appresta ad affrontare, da diversi punti di vista, compreso quello politico e normativo. Etica e consapevolezza, le due parole con cui Pratò chiude l’ultima domanda, rappresentano – almeno per chi scrive – la chiave per far sì che l’umanità resti al centro delle riflessioni critiche e delle azioni quando ci si approccia alle sfide del progresso. Per riprendere le parole del CTO di Minerva, è necessario non perdere di vista quello che è, e deve rimanere l’Intelligenza Artificiale: uno strumento, un mezzo “rivelatore” nelle mani dell’uomo, che nonostante tutto l’avanzamento tecnologico resta ancora il protagonista della realtà. 

Per quanto riguarda i robot, i surrogati a sembianze umane e sulle modalità di relazione con loro, il futuro è scritto (per ora) solo su libri, film e cortometraggi. Sarà quella la verità? Ai posteri (o forse a noi tra qualche anno) l’ardua sentenza.

*Questo articolo partecipa al Premio Giornalistico Under35 Letizia Leviti 2021.

Agnese Zappalà

Classe 1993. Ho studiato musica classica, storia e scienze politiche. Oggi sono giornalista pubblicista a Monza. Vicedirettrice di Frammenti Rivista. Aspirante Nora Ephron.

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