Non dev’essere un caso che Karl Marx (1818-1883) sia considerato tra i filosofi più importanti e influenti dell’Ottocento. Anche se, a ben vedere, il secolo in cui il suo pensiero ha trovato maggiori fortuna è stato il successivo, quel Novecento in cui nel nome di Karl Marx sono nati e falliti interi sistemi politici grandi come un continente. Se nella sfera politica l’influenza di Marx è stata molto importante, nell’ambito prettamente filosofico non lo è stata da meno.
La produzione intellettuale marxiana può essere divisa in due parti distinte: una prima, che arriva fino al 1844, con la pubblicazione dei Manoscritti economico-filosofici più specificatamente dedicata alla riflessione filosofica, e la seconda che comincia con il 1848 e la pubblicazione, insieme a Friedrich Engels, del Manifesto del Partito Comunista, che differisce sostanzialmente dalla produzione precedente in quanto è rivolta allo studio dell’economia, della società e della politica.
A fare da spartiacque tra queste due fasi del pensiero di Karl Marx c’è un breve scritto risalente al 1845, anche se la sua pubblicazione è datata 1888, postuma. Si tratta delle Tesi su Feuerbach, l’ultima opera filosofica in senso stretto di Marx in cui sono contenute le ragioni del suo abbandono della filosofia. Proprio per questo motivo, le Tesi sono un’opera fondamentale nell’evoluzione del pensiero marxiano anche se sono “solo” undici proposizioni, appunti dell’autore più che una vera e propria riflessione strutturata. Esse potrebbero essere considerate come riflessioni annotate da Karl Marx a proposito di Ludwig Feuerbach, ma in realtà si spingono oltre, fino a costituire in un certo senso il testamento filosofico del loro autore.
In queste brevi riflessioni Marx parte dalla constatazione che in ogni teoria materialistica, compresa quella di Feuerbach, c’è il difetto di considerare l’oggetto (Gegenstand, ciò che si presenta), la realtà, la sensibilità, come ciò che è proiettato fuori (Objekt) dal soggetto; qualcosa che si disgiunge dal soggetto, non come prodotto della prassi umana. L’idealismo di matrice hegeliana ha sviluppato il lato attivo del rapporto soggetto-oggetto, ma non fa riferimento alla prassi concreta, mentre Feuerbach, per Marx, ha sviluppato il lato passivo senza però cogliere l’attività soggettiva che produce l’oggetto.
La prassi (praxis) per Marx è ogni forma di attività umana, teorica o pratica; è un’attività produttiva concreta che modifica l’oggetto del suo stesso produrre. Nella prassi si decide inoltre la verità: per Marx – come sostiene nella seconda tesi – infatti il dibattito tra realismo e relativismo non è una questione solo teoretica, ma soprattutto pratica. Verità, realtà e potere infatti secondo lui sono decidibili solo nella prassi, poiché ogni teoria deve essere corroborata dalle pratiche.
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Nella terza delle Tesi su Feuerbach, Marx si interroga sull’interazione reciproca fra l’uomo e l’ambiente in cui agisce. Egli infatti individua una continua interazione circolare co-costitutiva tra soggetto e oggetto; in cui un termine della relazione modifica l’altro e in ciò viene esso stesso modificato. La prassi inoltre viene qui definita rivoluzionaria, in quanto secondo Marx essa è diretta alla trasformazione continua e reciproca dell’ambiente in cui l’uomo agisce.
Il fatto che, secondo Marx, la riflessione giunga a un punto in cui la filosofia debba trasformarsi in prassi rivoluzionaria compare con la quarta tesi, in cui il filosofo sostiene, confrontandosi con Feuerbach, che egli abbia riconosciuto il fondamento mondano della religione, ma anche che lì si sia fermato: per Marx è necessario spingersi oltre fino a scoprire la contraddizione profonda di questo fondamento mondano, che sono le condizioni materiali dell’esistenza. A questo punto, capito ciò, per Marx si rende necessario saltare all’interno della prassi: la filosofia stessa deve diventare una prassi rivoluzionaria, cioè rivolta alla trasformazione del mondo. Concetto, questo, che Marx esprime esplicitamente nell’undicesima tesi, l’ultima.
Prima di arrivarvi, però, egli deve affrontare altre questioni. Una su tutte, che non è proprio di poco conto: che cos’è l’essenza umana? Facile: «In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse». Che tradotto significa che «Nella sua realtà essa [l’essenza umana] è l’insieme dei rapporti sociali», ovvero che l’uomo è il prodotto delle sue relazioni sociali. Per Marx bisogna dunque rifiutare le tesi sia di chi sostiene che l’essenza venga prima dell’esistenza, sia di chi sostiene che gli individui siano la realtà primaria: ciò che è proprio dell’esistenza concreta per Marx sono le relazioni multiple, attive e sociali costruite dagli individui.
Nella decima tesi egli scrive infatti che «Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese, il punto di vista del materialismo nuovo è la società umana o l’umanità sociale». Fa qui la sua comparsa il comunismo inteso come dottrina filosofica, di cui Marx aveva già delineato i contorni nei Manoscritti, che diventerà poi programma politico nel 1848 con il Manifesto. Infatti il vecchio materialismo secondo Marx ha come obiettivo l’individuo, che è il fondamento della società borghese e liberale. Nel materialismo storico marxiano invece l’individuo si dissolve nella rete delle relazioni sociali. Per Marx quindi il materialismo storico è un umanismo; l’umanismo è un comunismo; il comunismo è un materialismo. In ciò dunque si risolve anche la scissione tra uomo, natura e società. Comunismo in questa fase significa essere in comune, essere radicati in una dimensione comunitaria in cui non c’è uomo senza attività pratiche.
Con le Tesi su Feuerbach, filosoficamente Marx dissolve il soggetto, sgomberando il campo per un nuovo spazio ancora da costruire: il comunismo. L’idea di uomo dunque si scioglie nella prassi, cioè nelle svariate pratiche di produzione economica. Marx dunque rifiuta tanto l’idealismo dell’essenza umana quanto l’empirismo del soggetto per approdare a quella che Étienne Balibar ha definito una ontologia delle relazioni, dove la relazione è qualcosa costantemente in trasformazione. Gli individui in questo schema allora sono i nodi all’interno delle reti di relazioni transpersonali. In un certo senso Karl Marx va verso una sorta di oltreumanismo, che è la condizione di possibilità per la conoscenza del mondo umano. A patto di disfarsi dell’Uomo però, quello con la U maiuscola.
Per fare questo è necessario dunque compiere il passaggio dalla riflessione teorica alla prassi. Questo è precisamente il senso della celeberrima undicesima tesi:
I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo.
Questa frase, così lapidaria, di fatto costituisce l’addio di Karl Marx alla riflessione teoretica, e in tanti vi hanno letto uno dei numerosi annunci di morte della filosofia. In un certo senso è così: per Marx il compito dei filosofi non è quello di ragionare sul mondo, bensì quello di operare concretamente per una sua trasformazione. Da qui in poi il pensiero marxiano si rivolge a quelle che potremmo definire come scienze sociali in senso lato, comprendenti anche l’economia. E il monumentale Das Kapital (Il Capitale) ne è l’opera apicale.
Il senso profondo delle Tesi su Feuerbach sembrerebbe dunque essere questo: il filosofo non deve restare rinchiuso a meditare nella sua torre d’avorio. L’intellettuale non è l’asceta che scappa dal mondo e dalla sue storture a cercare un’isola di felicità nella teoresi. Il compito della filosofia è quello, come ultimo atto di un cammino di crescita intellettuale, sciogliersi all’interno della prassi. Prassi però che ha da essere rivoluzionaria, rivolta dunque al cambiamento radicale e profondo del mondo.
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[…] punto di vista di un realismo non meno metafisico che materiale. Riprendendo l’undicesima celebre Tesi su Feuerbach, Vattimo afferma che il mondo ha cioè ancora bisogno di essere interpretato, e per quanto […]