Nel 2019 è del tutto inconcepibile immaginare che esista sul pianeta un lembo di terra su cui l’uomo non abbia posato lo sguardo. Ogni frontiera è stata esplorata, e il mondo conosciuto ha valicato i confini dell’atmosfera per far poggiare all’uomo i piedi sulla luna. È quindi arduo riuscire a proporre al pubblico una mostra con l’intento di presentargli una realtà inedita, ma il progetto Oriente Mudec, inaugurato a Milano l’1 ottobre, sembra riuscire nell’intento. Attraverso un’analisi storica, politica e culturale, le esposizioni Quando il Giappone scoprì l’Italia (1585 – 1890) e Impressioni d’Oriente, fanno immergere lo spettatore nel Giapponismo italiano che ha pervaso la nazione dal 1860 al 1900, proponendo una prospettiva del tutto nuova dell’Oriente e dei suoi tesori. Il progetto è infatti concepito come un confronto fra la cultura orientale e il suo influsso creativo sull’arte occidentale – il risultato è la nascita di un Nuovo Mondo.
L’esplorazione e l’incontro
Quando il Giappone scoprì l’Italia (1585 – 1890) è il primo blocco del percorso Oriente Mudec, ripercorrendo gli albori dell’esplorazione della terra del Sol Levante attraverso opere della collezione Passalacqua. È il 1585 quando l’Italia intraprende un’azione diplomatica con il Giappone, svincolandosi dall’immaginario di Marco Polo per immergersi in più pragmatiche manovre politiche. Ito Mancio, primo ambasciatore italiano in Giappone, è anche il primo dei due protagonisti di questa mostra: le fascinazioni e i resoconti dei suoi viaggi hanno ispirato i grandi artisti dell’epoca, tra cui Domenico Tintoretto che fece un ritratto di Mancio stesso. A lui segue il conte Giovanni Battista Lucini Passalacqua, cui è dedicata la seconda sezione della mostra, che ben tre secoli dopo creerà sul lago di Como il Museo giapponese, una cornucopia di oggetti tipici, pezzi d’arredamento e utensili, opere d’arte e mobilio. Questa prima parte è il nucleo collezionistico del progetto, dove a essere mostrati sono i reperti, i souvenirs di viaggio di quegli uomini che hanno avuto il privilegio di definirsi esploratori.
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L’amalgama e il nuovo
La seconda mostra, Impressioni d’Oriente. Arte e collezionismo tra Europa e Giappone, con un totale di 170 opere, ha una valenza diversa, e rappresenta l’amalgama delle due culture e il frutto nato da questa unione. Nel percorso di visita, lo spettatore può vedere non solo raffigurazioni originali di geishe, le donne-artiste giapponesi, ma anche il loro replicante: giovinette dai facili costumi che popolavano l’immaginario erotico dell’Ottocento. C’è il kimono di seta originale, in preziosi fili d’oro e con dettagli rosa cipria, a confronto con una vestaglia in velluto verde smeraldo con ricami dorati del grande couturier Mariano Fortuny. C’è l’Impressionismo, l’Art Déco, cere e smalti che danno vita ad un immaginario orientaleggiante, più che orientale.
«Oriente Mudec»: il Giappone con gli occhi dell’Italia
Quella del Mudec è una missione che vuol fare provare ancora una volta la sensazione di inoltrarsi in una terra inesplorata, di conoscere una verità per molti ancora oscura: è il Giappone visto con gli occhi dell’Italia, un Paese che agli ambasciatori Cinquecenteschi appariva come incastonato in un idillio primitivo, agli albori della civiltà, ma in realtà portava sulle spalle il peso di una tradizione millenaria, ben più antica della nostra.
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Aperte dal 1 ottobre 2019 al 10 febbraio 2020, le mostre di Oriente Mudec sono un sogno a occhi aperti per chi ama l’arte, per chi ama la bellezza, ma soprattutto per chi ama la cultura del viaggio.