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Siamo davvero classisti? La teoria dell’etichettamento di Howard Becker

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Se un ristorante venisse distrutto da un gruppo di studenti universitari privilegiati sotto effetto di alcool, come verrebbe visto? E se lo stesso atto fosse compiuto da un gruppo di ragazzi della classe lavoratrice? A queste domande prova a rispondere Howard Saul Becker, sociologo nato a Chicago nel 1928 famoso per le opere Outsiders. Saggi di sociologia della devianza, I mondi dell’arte e I trucchi del mestiere. Egli afferma che la nostra identità e il nostro comportamento sono determinati da come siamo descritti e classificati.

Questa teoria, denominata “teoria dell’etichettamento”, si fonda sul fatto che gli individui potenti della società definiscono determinati atti come devianti. Di conseguenza le persone riconosciute colpevoli di questi atti sono etichettate come outsiders e questo porterà tutte le loro azioni future ad essere contrassegnate da quest’etichetta portando, come ultima conseguenza, l’interiorizzazione, da parte degli outsiders, dell’etichetta spingendoli, quindi, a comportarsi in quella data maniera.

Becker, infatti, afferma: «I gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole, la cui infrazione costituisce la devianza[…]. Il comportamento deviante è il comportamento che le persone etichettano come tale.»

Sulla base di quello che abbiamo detto sin d’ora, tornando alle due domande fatte all’inizio, se l’atto di distruzione del ristorante venisse fatto da studenti privilegiati, verrebbe visto come un atto goliardico mentre, nel secondo caso, come un atto criminale.

Secondo Becker, non esiste un atto deviante in sé e la nostra reazione a un atto dipende dalla misura in cui quella determinata forma di comportamento è accettata dalla società. Per esempio, i “terroristi” sono accusati di omicidio, mentre l’esercito è legalmente autorizzato ad uccidere i terroristi.

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Altri esempi possono arrivare direttamente dal nostro vivere quotidiano, come la capacità di alcuni studenti “popolari” di etichettare gli altri sulla base di comportamenti o tratti fisici, definendoli “sfigati”, poiché essi, all’interno del contesto scolastico, detengono il potere.

Solo chi detiene il potere è in grado di attribuire un’etichetta e alle istituzioni tocca il compito di assegnare all’individuo l’etichetta di devianza. Invece di essere universale, la devianza diviene un concetto relativo che dipende dall’autore dell’atto e dalla risposta della società.

In conclusione, sono interessanti le parole di Frank Tannenbaum, storico austiaco-statunitense, che afferma: «Il processo della creazione di un crimine… È un processo di etichettatura, definizione, identificazione e segregazione»

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Niccolò Manai

Sono un ragazzo di 27 anni, curioso e voglioso di imbarcarmi sempre in nuove avventure. Sono laureato in Filosofia e in Sociologia. Ho una passione irrefrenabile per i videogiochi, fumetti e, ahimè, per la cioccolata.

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