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“Lanciare cibo su un quadro”: vita e cultura nel 2022

Nelle ultime settimane si sono verificati tre attacchi di protesta - da parte di attivisti per il clima - contro alcuni celebri quadri. In che modo è possibile leggere questi atti?

14 minuti di lettura

A distanza di poche settimane l’uno dall’altro, alcuni attivisti per la difesa del clima hanno lanciato zuppa di pomodoro contro la Ragazza con l’orecchino di perla di Jan Vermeer e purè di patate contro Il Pagliaio di Claude Monet. Più di recente, la protesta è arrivata anche in Italia, dove crema di piselli è stata lanciata su Il seminatore al tramonto di Vincent Van Gogh. Le notizie, ovviamente, hanno avuto immensa risonanza mediatica e hanno suscitato opinioni delle più variegate sorti; il dibattito si è rapidamente spaccato fra chi trova il gesto stupido, inconcludente e pretenzioso, e chi lo ritiene, invece, efficace e capace di suscitare un’agitazione positiva.

In questo articolo, si intende analizzare solo tangenzialmente le parti in campo ed evitare di prendere posizione per una barricata in particolare. Nella limitata misura in cui questa avalutatività è permessa (difficilmente possiamo scacciare i nostri sentimenti di approvazione o disapprovazione), si desidera, piuttosto, cercare di riflettere su questi gesti; tentando di districare ed individuare il senso di un’operazione che -a tutti gli effetti- si presenta logicamente offuscata e fosca.

Una citazione di Nietzsche

Di fronte ad uno scontro di massa sulla domanda è giusto o sbagliato? può essere produttivo e illuminante prendere le mosse da un aforisma di Friedrich Nietzsche inserito in quel testo del 1881 che promette – fin dal sottotitolo – di illustrare dei «pensieri sui pregiudizi morali»: Aurora (Morgenröte. Gedanken über die moralischen Vorurteile, a cura di G. Colli, tr. it. F. Masini, Adelphi, Milano 1978). Scrive il filosofo di Röcken:

Perché temiamo e odiamo un possibile ritorno alla barbarie? Perché farebbe gli uomini più infelici di quel che sono? Ah no! I barbari di ogni tempo avevano una felicità maggiore: non inganniamoci! Ma il nostro istinto della conoscenza è troppo forte perché si possa apprezzare una felicità senza conoscenza, o la felicità di una robusta e salda illusione: è penoso anche soltanto immaginarci un tale stato. L’irrequietezza dello scoprire e dell’indovinare è divenuta per noi affascinante ed indispensabile come l’infelice amore per chi ama: a nessun prezzo egli lo scambierebbe con uno stato d’indifferenza; – anzi, forse anche noi siamo amanti infelici! In noi la conoscenza si è mutata nella passione che non teme nessun sacrificio, e in fondo di nulla ha paura se non del suo proprio estinguersi; noi sinceramente crediamo che tutta quanta l’umanità dovrebbe reputarsi, sotto l’oppressione e il dolore di questa passione, più in alto e più racconsolata di quanto non lo sia stata fino al momento in cui non aveva ancora superato l’invidia per quel più rozzo benessere che accompagna la barbarie. Forse potrà anche darsi che l’umanità perisca per questa passione della conoscenza – ma anche questo pensiero non ha alcun potere su di noi.

Ivi., p. 215

Particolarmente significativa, per noi, è la conclusione: l’umanità preferisce la morte alla barbarie. È forse questo il pensiero al fondo del dibattito sulla vandalizzazione dei quadri? La posizione di chi si oppone ed osteggia questi atti non crede, in fondo, che «piuttosto che retroceda la conoscenza noi tutti preferiamo che l’umanità perisca!» (ivi., p. 216)? Quel sentimento di disagio e di fastidio che proviamo quando il quadro viene vandalizzato non deriva, forse, da questo nostro porre la cultura più in alto della vita?

Qui, smascheriamo subito i due capisaldi teoretici della questione: vita e cultura. È possibile usare questi due concetti come guide tramite cui disarticolare il significato dell’atto “vandalico” e vagliare le opinioni contrastanti che, su questo punto, si affrontano.

Nella tensione fra natura e cultura, l’atto di protesta può essere collocato in una dei due estremi: l’azione può essere un’azione dal lato della vita o dal lato della cultura. A seconda dell’ubicazione, le conseguenze e le valutazioni saranno profondamente diverse nei due casi, alla cui analisi volgiamo immediatamente.

L’atto dal lato della vita

In un altro testo, la Seconda Inattuale: Sull’utilità e il danno della storia per la vita (Zweites Stück: Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben, tr. it. S. Giammetta, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1974) Nietzsche afferma, con il suo caratteristico tono bombastico, «datemi prima la vita, e allora io vi creerò da essa anche una cultura!» (ivi., p. 94).

Nell’interpretazione del grande filosofo tedesco (così come in numerosi autori precedenti e successivi), la vita è considerata come l’energia informe che è possibile incanalare ed organizzare nelle forme della cultura. In seguito, questa recide il legame con la sua origine, si stacca dalla sua matrice e ribalta il rapporto originario, conducendo e dotando di senso quella vita da cui si è originata.

Ciò avviene in una maniera che non può non ricordarci Totem e tabù (Totem und Tabu, tr. it. S. Daniele, E. A. Panaitescu, Bollati Boringhieri, Torino 2011) di Sigmud Freud. Domandandosi, attraverso gli strumenti psicanalitici, come sia stata possibile l’instaurazione della cultura nell’epoca dei nostri antenati selvaggi, Freud conclude che all’origine dei primi barlumi del contratto sociale dovette esserci un macabro pasto totemico.

Nello specifico, secondo l’analista viennese, l’umanità, nei suoi primordi più oscuri, viveva in gruppi di donne e bambini guidati in maniera tirannica da un solo maschio. Per non vedere in pericolo la propria autorità, il tiranno esiliava i figli che avrebbero potuto costituire una minaccia al suo potere. Un giorno, i fratelli esiliati si unirono in un’alleanza, uccisero il padre e, per ottenere l’autorità e spartirsi le donne dell’orda, ne mangiarono il corpo. In realtà, questo disgustoso spuntino primitivo, non è, ci informa Freud, una disumana vendetta contro l’opprimente autorità paterna ma, piuttosto, un modo attraverso cui questa viene nobilitata e investe, del potere che possedeva in vita, i discendenti responsabili della sua morte.

Tornando al nostro discorso, riconduciamo immediatamente questa teoria freudiana della nascita della cultura nelle società tribali all’indagine che abbiamo iniziato -a partire da Nietzsche- sul rapporto fra vita e cultura: la cultura si origina dalla vita e, in seguito, la nobilità introiettandola dentro di sè. D’altronde, questa è la vera e propria condizione di possibilità del discorso nietzscheano, l’affermazione «datemi prima la vita, e allora io vi creerò da essa anche una cultura!» è possibile solo all’interno della cultura medesima che ricomprende le sue origini.

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Da quanto detto, è possibile interpretare gli odierni atti di protesta che vandalizzano i quadri come tentativi di ricordare l’origine vitalistica della cultura nei suoi aspetti biologici, ambientali e animali. In un certo senso, gli attivisti ci vogliono ricordare della tensione dialettica esistente fra l’ordine ontologico, secondo cui la vita esiste solo in quanto compresa nella cultura, e l’ordine storico-genetico, per cui le nostre conformazioni culturali di senso sono sorte a partire da una forza caotica, disorganizzata ed istintiva cui diamo il nome di “vita”.

Tenere a mente che le vette più elevate della nostra produzione artistica possono essere godute ed apprezzate solo poichè c’è una forza vitale che ci anima costantemente e che, in ogni istante, dimentichiamo; far tornare in mente l’esistenza di una grande “falda” della vita umana da cui sorgono tutte le conformazioni di senso, è quanto di più nobile possa esserci. Inoltre, il ricordarci di questa genealogia, permetterebbe una radicale assunzione di responsabilità sul destino del mondo, ricordandoci l’ampiezza dell’orizzonte in cui siamo iscritti e l’irrimandabile peso del nostro passato.

Se il suo senso fosse questo, l’azione dei “vandali climatici” sarebbe moralmente incendiaria, profondamente provocante e di inestimabile valore. Purtroppo, vi è anche la possibilità che le intenzioni degli autori non siano queste.

vita e cultura

L’atto dal lato della cultura

E se invece di essere un provocante gesto concettuale volto a richiamare e ricordare una condizione ferina e originaria dell’uomo i recenti atti di protesta fossero una semplice denuncia dell’ipocrisia e una boriosa accusa di stupidità? Può anche darsi -ed è così che molti interpretano la questione- che tali atti servano semplicemente a denunciare una pericolosa arroganza intellettualista e a denunciare una sorta di stupidità degli umani, che continuano a preoccuparsi del patrimonio culturale dimenticando quello naturale.

In questo prospettiva, la radice biologica ed ambientale della cultura viene considerata tout court nella cultura e viene trattata come un elemento fra gli altri. In questa guisa, la radice naturale -che di per sè è ineluttabile- costituisce l’oggetto di una scelta: o l’ambiente o il quadro. In questo caso, l’elemento ambientale e vitale al che caratterizza il primo punto non viene portato espressamente a galla, non viene ricordata la sua presenza originaria ma se ne intercetta unicamente l’eco sbiadito, non concettualizzato e non vagliato da riflessione critica. È per questa ragione che la scelta non si presenterebbe, nel caso in questione, come una vera scelta: la responsabilità sarebbe mutilata poiché si chiederebbe, sostazialmente, di scegliere fra la pittura e l’ambiente considerato in sè, senza il riferimento alla dimensione vitale e responsabilizzante che veniva messa in luce nel primo punto.

Qualora il senso del gesto di protesta sia questo si avrebbe piena ragione, con Nietzsche, a definire “barbarie” questi movimenti.

J. N. Sylvestre, Il sacco di Roma del 410, 1890, olio su tela, Musée Paul Valéry (Sète)

Conclusione: interpretare e decidere

Resta da dirimere soltanto la questione più complessa: quale delle due interpretazioni deve essere seguita? La risposta non è né ovvia, né facile. Gli atti di protesta di questi giorni – per la loro natura strutturalmente mediatica – hanno suscitato un gran trambusto e dibattito sui social, dove si scontrano le posizioni più diverse e  si tentano i più variegati tentativi di ricostruzione del senso logico della protesta al fine di produrne un giudizio in positivo o in negativo. 

Con questo articolo si è tentato di ricostruire la logica della protesta e di fornire una possibile chiave di lettura attraverso alcuni testi di Nietzsche. Una cosa è indubbia: le frammentate e sconclusionate opinioni della sfera pubblica non riusciranno a salvarci né produrranno – allo stato attuale – un significativo cambiamento. Questo compito non può spettare neanche alla filosofia, che ha ancora una volta la possibilità, in questa allarmante situazione, di indagare e raffinare le opinioni della polis, reiterando nuovamente il suo secolare compito a cui deve rimanere inevitabilmente fedele.

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Giovanni Soda

Classe 2000, ho rinunciato a studiare finanza per fare filosofia, sogno di scrivere per vivere e sono fermamente convinto che concetti, idee e pensieri di ieri riescano a spiegare il mondo di oggi meglio di quanto facciamo noi.

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