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Hegel e la storia: dare senso al “banco del macellaio”

Hegel usa la celebre similitudine del “banco da macellaio” per riferirsi alla storia. Ma cosa significa esattamente?

9 minuti di lettura

Una celebre similitudine

Quando sentiamo l’espressione “filosofia della storia” la nostra mente associa immediatamente a questo concetto il nome di Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Si può affermare senza alcun dubbio che, in tutta la produzione hegeliana, la riflessione sulla filosofia della storia è quella che ha subito il maggior numero di commenti, divulgazioni, semplificazioni, interpretazioni e misinterpretazioni.

Prima di iniziare un’analisi pedissequa del corso storico – dalla Cina antica alla Germania post napoleonica – Hegel pone, nelle prime pagine delle Lezioni sulla filosofia della storia (tr. it a cura di G. Bonacina, L. Sichirollo, Laterza, Roma-Bari 2003), un’Introduzione in cui offre una panoramica della sua metodologia ed emette alcune delle più celebri affermazioni del suo intero pensiero.

Fra queste compare la celebre similitudine che accosta la storia a un “banco da macellaio”. Spesso questa figura viene chiamata in causa per indicare l’essenza violenta e tragica della storia senza ulteriore contestualizzazione e, soprattutto, senza interrogare il ruolo di quella similitudine nell’economia generale del discorso hegeliano, senza interrogarsi circa i modi in cui un’affermazione del genere può accompagnarsi ad altre come «la storia mondiale è il progresso nella coscienza della libertà» (ivi., p. 18).

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“Di fronte” al banco

Se andiamo al passaggio testuale completo, scopriamo che, secondo Hegel, il “banco da macellaio” è una raffigurazione che noi produciamo in seguito a una specifica valutazione della storia. In particolare, quando vediamo che nel corso dello storico vincono le passioni violente contro le buone intenzioni, quando sorgono il male e la malvagità nel mondo e gli imperi più floridi della storia della civiltà piombano nella barbarie e nell’arretratezza ecco che:

possiamo solo riempirci di tristezza per questa caducità in generale, essendo questo tramonto non soltanto un’opera della natura, bensì della volontà dell’uomo; e qualora il nostro animo sia buono precipitiamo in uno smarrimento morale, in un’insurrezione della bontà d’animo, alla vista di tale spettacolo. Senza esagerazione retorica, solo mettendo bene insieme le sventure patite dalle più splendide formazioni di popoli e Stati, o virtù private, possiamo evidenziare quegli effetti fino a comporre il quadro più terribile e intensificare così nella stessa misura la nostra sensazione fino alla più profonda, sconsolata tristezza, quale nessuna conciliazione finale basterà a ripagare e dalla quale possiamo forse proteggerci, o trovare scampo, solo pensando che ormai è andata così, che è destino, che non c’è nulla da cambiare.

(ivi., p. 20)

Hegel descrive il momento in cui, cercando una razionalità nella storia, vi troviamo per lo più sventure e distruzioni e, pertanto, piombiamo in uno stato malinconico che sembra impossibile da curare, perfino il pensiero di una “conciliazione finale” non sembra avere nessuna proprietà palliativa su di noi.

Il tema della conciliazione finale è notevole, come è noto la filosofia di Hegel è una filosofia crepuscolare, una filosofia svolta “sul far della sera” quando la celebre “nottola di Minerva” prende il volo. Se giunti alla sera non vi fosse null’altro da valutare che una storia di disgrazie, ecco che la filosofia sarebbe una filosofia della sventura, non del progresso, e qualsiasi fiducia in una sorte progressiva dell’umanità sarebbe malposta.

È d’innanzi a questo sprofondare nella tristezza e nel pessimismo che la nostra condizione si ribalta, la similitudine del “banco da macellaio” viene formulata in questo preciso momento per indicare propriamente la valutazione da cui si prende il largo: «spinti dalla noia che quella riflessione colma di tristezza potrebbe finire col darci, ricadiamo nel sentimento di esser vivi» (ibidem).

Improvvisamente, la tragedia della storia diventa qualcosa che ci sta davanti e ci coinvolge soltanto nella misura in cui è coinvolto lo spettatore che osserva le rovine. “Banco da macellaio” diventa, così, un’immagine del corso (storico) che ci produce, di cui siamo esiti e di cui dobbiamo rendere conto; la ricerca di una razionalità nella storia riprende, così.

Ma mentre consideriamo la storia alla stregua di un tale banco da macellaio – immolate su di esso la felicità dei popoli, la saggezza degli Stati e la virtù degli individui –, ecco di necessità il pensiero anche domandarsi a chi, o in vista di qual fine, siano state offerte vittime in quantità così enorme

(ibidem)
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La ricerca sul senso razionale

È nel momento in cui realizziamo che noi siamo il prodotto di quella storia che stiamo tentando di analizzare filosoficamente, specialmente delle sue storture e delle sue violenze, che l’indagine circa il senso razionale del percorso storico riprende con rinnovata forza.

Ciò risulta evidente nella condanna hegeliana di tutte quelle filosofie che impongono i loro progetti etici e il loro “dover essere” sopra il piano della morale concreta e della storia dei fatti. La filosofia, secondo Hegel, non deve guardare con sdegno il mondo ma mostrarci il valore autentico nei singoli avvenimenti del mondo, non deve tentate di imporre ideali ma comprendere che le storture del mondo concorrono alla produzione del suo senso pieno. Racchiudendo tutto in una formula «il diritto dello spirito del mondo trascende tutte le legittimazioni particolari» (ivi., p. 34).

Nondimeno, l’elemento assiologico, valutativo, etico e morale non può essere radiato al di fuori della ricerca del senso razionale della storia. Moralità e religione rientrano nella giustificazione di un senso razionale e assoluto della storia ma, invece di porsi in una razionalità al di fuori della storia, diventano un momento fondamentale di una razionalità che è assolutamente interna alla storia.

Hegel espone in maniera limpidissima questo punto quando afferma che, nel suo progetto di identificare una storia razionale, la ragione non è unicamente il fine assoluto rispetto a cui tutto è un puro mezzo subordinato ma «è anche immanente all’esistenza storica, si realizza nella storia e tramite la storia» (ivi., p. 24).

In conclusione, ciò che Hegel sta insegnando a noi è che un’analisi filosofica del mondo richiede di farsi carico di esso per come è, di prendere in considerazione anche gli aspetti apparentemente più superflui e marginali (Hegel dice «la vita di un pastore, di un contadino» (ivi., p. 33)) poiché tutto ciò costituisce lo spirito. Il cruciale concetto hegeliano eternamente commentato e travisato che nella filosofia della storia viene compreso nella sua massima centralità e, soprattutto, nella dimensione dell’attività. Nella storia comprendiamo ciò che lo spirito fa o, con le parole di Hegel, «il nostro scopo è proprio quello d’imparare a conoscere lo spirito in questa sua attività di dirigere il mondo» (ivi., p. 9); e tutto ciò che lo spirito fa è degno di considerazione.

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Giovanni Soda

Classe 2000, ho rinunciato a studiare finanza per fare filosofia, sogno di scrivere per vivere e sono fermamente convinto che concetti, idee e pensieri di ieri riescano a spiegare il mondo di oggi meglio di quanto facciamo noi.

3 Comments

  1. Trovo molto appropriato questo articolo anche se non pone al lettore ingenuo necessari interrogativi. Il punto è questo: cosa farsene dell’ottimismo hegeliano, quando e dove applicarlo? Sicuramente recuperare Hegel significa definire i limiti della sua filosofia. Lui stesso che io sappia suggerì una ricontestualizzazione del suo pensiero che ne stabilisse nettamente i confini. Bisogna cioè evitare di interpretare in senso totalitario il suo lavoro. Lui aveva agito in una situazione tranquilla, ignaro dei possibili futuri disastri della Germania e non solo della Germania. Costruì una Dialettica senza dubbio valida, ma ora più che mai c’è la necessità di stabilirne i confini. Bisogna capire che la sua era una concezione della storia quale evento chiuso, senza apertura all’irrompere del mistero; e che aveva obliterato il ruolo insostituibile e irriducibile del sentimento e più generalmente dell’irrazionale. Non bisogna sopravvalutare un pensiero così chiuso, neppure il suo rovesciamento, attuato da Marx e dal marxismo. La tragicità degli eventi attuali, soprattutto le emergenze ecologiche, può essere affrontata solamente da una ragione aperta e consapevole, non solo dei propri limiti ma pure del valore dell’irrazionalità in cui consiste gran parte della vita. Un ritorno ingenuo al sistema hegeliano tenderebbe a far dimenticare tutte le volte che una non-ragione non è un torto e quelle volte che la non-ragione è il bene o persino il meglio. Bisogna distinguere le crisi dalle rigenerazioni. Vi fu e v’è un irrazionalismo che è contro le ragioni della vita, ma v’è stato e v’è un irrazionalismo che rappresenta la forza innocente della vita. La filosofia di Hegel non fa sua quest’ultima istanza, ancora più preziosa.

    Mauro Pastore

  2. Bravo Giovanni. Prosegui per la tua strada e non farti intimidire dalle incognite.

  3. Mi sovviene di Zarathustra che contempla il suo crepuscolo. In lui la Storia si è totalmente interiorizzata nel momento della massima trascendenza. In Hegel la Storia si eternizza accettando l’Eterno Presente (movimento) come divinizzazione del dis-valore assoluto:
    il giudizio Etico scompare per fare della Storia (in ogni contraddizione) la supremazia, indiscutibile, dell’Imperfetto.

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