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Les Romains de la décadence, Thomas Couture, 1847, olio su tela, Musée d'Orsay, Parigi

«Les Romains de la décadence»: la decadenza della società francese

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Les Romains de la décadence (1847) di Thomas Couture (Senlis, 21 dicembre 1815 – Villiers-le-Bel, 30 marzo 1879) è molto più che una tela dalle grandi dimensioni che troneggia nel corridoio principale del Musée d’Orsay di Parigi: è manifesto e testimonianza di un momento di passaggio fondamentale verso la modernità, di uno spirito nuovo che alimenterà la storia dell’arte dalla seconda metà dell’Ottocento fino a Jackson Pollock.

L’artista icona del passaggio dell’arte tra Ottocento e Novecento è sicuramente Édouard Manet (1832-1883) che attraverso Le Déjeuner sur l’herbe (1863) ha unito la sua formazione classica a qualcosa di nuovo, grazie alle forme di Marcantonio Raimondi e di Tiziano Vecellio ha iscritto se stesso nella storia dell’arte, dando una svolta significativa alla tradizione del processo creativo.

Se Manet è ancora oggi universalmente noto, forse in pochi conoscono il suo maestro Thomas Couture, formatosi presso l’Ecole de Beaux-Arts di Parigi e l’atelier di Antoine-Jean Gros e Paul Delaroche, e la sua opera più significativa, Les Romains de la décadence, un mirabile esempio di eclettismo stilistico tra accademismo, romanticismo e realismo che unisce la pittura storica dell’Ottocento alla nuova arte della vita moderna che Charles Baudelaire definì «transitoria, fuggitiva e contingente». Presentata al Salone del 1847 e valevole di una medaglia di prima classe, la tela illustra un noto passaggio del poeta romano Giovenale (60-130 d.C. circa):«Più crudele della guerra, il vizio si è abbattuto su Roma e vendica l’universo sconfitto», riscuote un grande successo e lo Stato francese l’acquista e la presenta poi all’Esposizione Universale del 1855 ed a quella del 1889.

Già da un primo sguardo risulta chiara la netta divisione tra la parte superiore e quella inferiore della scena, ovvero il forte contrasto tra i colori della prima, che esprimono i valori morali della tradizione e quelli caldi della seconda, dove la tonalità carne trasmette un senso di trasgressione e lascivia che rappresenta la decadenza dell’Impero Romano. La parte superiore, dominata da un cielo azzurro è infatti neoclassica, fissa e immutabile nel tempo. Colonne e capitelli corinzi incorniciano severi un gruppo di giovani disposti secondo uno schema caotico di curve e corpi intrecciati che consumano i piaceri di un baccanale quasi profanando le antiche statue che assistono mestamente.

Sebbene lo stesso Manet accusasse il proprio maestro di essere rimasto ancorato a uno stile ormai superato («Non so che ci faccio qui; quando arrivo all’atelier, mi sembra di entrare in una tomba») non possiamo ignorare la grandissima novità che Couture inserisce in questa tela dimostrando di vivere il presente attraverso un’implicita critica all’alta società francese del tempo che durante la cosiddetta Monarchia di Luglio era stata travolta da numerosi scandali. Couture è uno dei primi grandi artisti che inizia a sovvertire le basi del sistema dell’arte esprimendosi attraverso un’interpretazione perversa della tradizione, un arrangiamento inedito della Storia che denuncia la perdita di qualsiasi significato dell’allegoria, l’uscita dalle Scuole e dalle Accademie, dalle regole e dalle categorie troppo esclusive dell’Arte.  

Les Romains de la décadence
Les Romains de la décadence, Thomas Couture, 1847, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi

Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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