Anonimato e musica sembrano due parole dissonanti anche solo a pronunciarle tra sé e sé. In un rigido schema ripetuto centinaia di volte, la musica sembra infatti incollata perennemente all’aspetto visivo: con lo sviluppo dei video musicali (il cui esordio, pochi ci crederebbero, risale al lontano 1958), negli ascoltatori si è istillata l’idea di un risvolto consequenziale e inevitabile del suono. Sin da allora ci si è proiettati al di là della canonica immagine di un gruppo di musicisti ammaliatori di una folla, ispirando negli ascoltatori, o meglio suggerendogli, scenari e storie.
Break free non è più soltanto un inno alla rottura dell’ordinario, ma diventa Freddie Mercury che, vestito da donna, pulisce casa. Like a Virgin non è un insieme antitetico di erotismo e innocenza, ma Madonna che balla attraversando i canali di Venezia. Infatti, emblema della musica fatta immagine è proprio lo status di pop star, tanta sostanza quanta immagine.
Il mito di Liberato
Liberato, nome ormai conosciuto alla stregua di altri affermati artisti italiani, ha rotto questa catena di destini già scritti, mascherando la sua identità in un miscuglio partenopeo di esperimenti e tradizioni. In poco tempo, pur lasciando un vuoto vivo in chi lo ascoltava, ha saputo riempire quel vuoto con qualcosa che in pochi credevano di poter usare per colmare il proprio anelito di adulazione. Che sia vero talento artistico o più comune bravura non è ancora ben chiaro. In molti propendono per la seconda, ma, in quel caso, lo stupore è ancora maggiore: basterebbe anche meno dell’immenso talento, pur appesantito dal giogo dell’anonimato, per arrivare alla gente e diventare inno.
Non è giusta quella comparazione, forse forzata, fatta con la grande Mina: in lei certo il talento non è confondibile con mera bravura. E poi scelta dell’oblio e scelta dell’anonimato son cose diverse: la prima lascia un ricordo visivo così grande da durare per sempre, la seconda un’incertezza che, a volte, si lascia scomparire in poco.
Perciò, quell’andazzo dal sentore inesorabile, imposto dalla società dell’immagine, è stato interrotto. Un corto circuito. Anzi, la parola “corto circuito” suscita allarmismi e gravità, perciò meglio parlare di una luce al neon difettosa nell’immensa volta di un salone d’aspetto. «Io ti faccio sentire la mia voce, ma tu non puoi vedermi». Una massima da mitologia greca che, da nessuna parte poteva trovar concretezza se non a Napoli, mistica capitale del Meridione innaffiata di leggende.
Elena Ferrante: identità nascosta
Non a caso, proprio a partire dalla stessa città si è propagato negli scorsi anni un caso analogo, seppur in ambito diverso. Per anni, il dubbio più grande della letteratura contemporanea è stato il dare un nome (vero) e un volto alla scrittrice Elena Ferrante. Con la sua identità nascosta, la Ferrante ha attirato su di sé l’attenzione anche di chi non aveva mai letto un suo libro: sintomo che amare senza gli occhi non è più nelle nostre corde. Annaspiamo sonoramente pur di sapere anche ciò che non dovrebbe interessarci, siamo tutti un po’ Ulisse, ma deleghiamo agli altri la forza di spirito che non abbiamo.
Così, la curiosità per la Ferrante ha mobilitato critici letterari, storici, giornalisti e, addirittura, economisti, fino a mancare di rispetto alla legittima scelta di un’artista: quello di lasciare spazio a ciò che fa e non a ciò che è. Trovatele un nome e una pagina Facebook da seguire, affidatele delle foto su Instagram e rendetela una scrittrice, sembra essere l’andazzo contemporaneo che ha perso miseramente il senso stesso della figura dell’artista.
E come escludere dal gruppo di “creatori anonimi” l’artista Banksy? L’artista inglese, la cui identità resta segreta, esercita da anni la sua street art lasciando comparire sulle mura di tutto il mondo suggestive rappresentazioni dall’impatto dolceamaro.
Marketing e poesia
Si tratta di una strategia di marketing? Ci sono indizi che vanno in tal senso, ma in fondo, e per fortuna, abbiamo mantenuto un senso di idealizzazione romantica che ci fa pensare si tratti di una scelta dettata da esigenze interiori. Il potere dell’anonimato, in sintesi, è tale da poterci consentire di affermare, senza esser contraddetti, che Liberato, Elena Ferrante e Banksy sono la stessa persona. Un pensiero illogico, ma più forte di ogni immagine esternizzata. L’anonimato, in fondo, ci permette anche di sognare.
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