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In Medio Oriente il sangue scorre da prima di oggi

Gli avvenimenti sanguinosi degli ultimi giorni tra Israele e Palestina hanno radici profonde. Cosa stava succedendo nella Striscia di Gaza prima del 7 ottobre?

10 minuti di lettura

Sabato 7 ottobre l’organizzazione politica palestinese Hamas ha sferrato a Israele un’offensiva coordinata via terra, via aerea e via mare. Le ore che sono seguite hanno visto e continuano a vedere una serie di operazioni, scontri, bombardamenti e spargimenti di sangue che rendono impossibile un aggiornamento costante del numero di morti.

Ma le ore, i giorni e gli anni che lo hanno preceduto hanno visto e continuano a vedere un sistema di oppressione, più volte denunciato da risoluzioni ONU, che nel corso degli anni ha sottratto spazio ai palestinesi e consolidato quello che è stato definito da Amnesty International e altre organizzazioni internazionali un regime di apartheid.

Elementi che, nel racconto mediatico di quanto sta accadendo, stentano a emergere. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU sui territori palestinesi, ha denunciato che è in corso una “pericolosa narrativa” degli eventi che ignora la storia di violenza contro i palestinesi.

Una narrativa che, da oltre settant’anni, ci parla del sangue che scorre in quella porzione di Medio Oriente basandosi sulla tesi che a fronteggiarsi siano due parti su uno stesso piano e che fa prevalere il singolo evento sul suo pregresso. Gli eventi cruenti del 7 ottobre sono anche frutto di questa retorica.

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Gli eventi dal 7 ottobre ad oggi

Centinaia di missili partono verso le città israeliane. Contestualmente, milizie di terra attraversano la barriera che divide il territorio israeliano dalla striscia di Gaza. Ha inizio quella che Hamas definisce Operazione al-Aqsa Flood.

Mentre la maggior parte dei missili viene intercettato dal sistema di difesa israeliano, l’avanzamento di terra, superando le barriere militari, arriva alle prime città e villaggi israeliani. I miliziani di Hamas uccidono militari e civili, ma fanno anche centinaia di ostaggi: una tecnica che, come poi dichiarato, verrà sfruttata in seguito per negoziare il rilascio di prigionieri politici palestinesi. Inoltre, irrompono a un rave party non lontano dal confine della striscia: fonti israeliane parlano di 260 morti, per lo più giovani.

Intanto, cominciano i bombardamenti della striscia di Gaza da parte dell’aviazione israeliana. A essere colpiti sono anche complessi residenziali civili e campi profughi: decine di migliaia di persone perdono la loro casa. In centinaia, compresi bambini, muoiono sotto le bombe. Anche se preannunciato il giorno prima dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Israele dichiara formalmente lo stato di guerra domenica 8 ottobre.

Nella mattina del 9 ottobre Yoav Gallan, ministro della difesa israeliano, annuncia un blocco totale della striscia di Gaza, compresa la fornitura di cibo, acqua ed elettricità. Nella stessa giornata, centinaia di forze di terra israeliane si avvicinano al confine della striscia facendo presagire un attacco terrestre.

Intanto, la Lega Araba ha chiesto un immediato stop delle operazioni militari di Hamas e di Israele, condannando però «il persistente incremento delle politiche violente di Israele». Alla sera del 9 ottobre, il bilancio totale è di oltre 1300 morti palestinesi e israeliani.

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L’intervento di Hezbollah e il presunto supporto iraniano

A poche ore dall’operazione lanciata da Hamas, il gruppo paramilitare libanese sciita Hezbollah interviene con il lancio di alcuni razzi verso le postazioni israeliane nelle fattorie di Sheeba, una zona contesa con il Libano nel nord dello stato ebraico, dichiarando di agire in solidarietà con i palestinesi. Al lancio di razzi è seguito uno scambio di fuoco che ha colpito postazioni nel sud del Libano. Al momento, non ci sono dichiarazioni ufficiali da parte delle istituzioni libanesi diverse da Hezbollah.

Non è confermato il coinvolgimento iraniano nelle operazioni portate avanti da Hamas, essendoci state dichiarazioni contraddittorie su tale supporto. Un portavoce di Hamas ha affermato che c’è stato il sostegno dell’Iran, ma le autorità di Tehran, pur avendo elogiato Hamas, hanno affermato il contrario.

Cosa stava accadendo nella Striscia di Gaza

Più di 2 milioni di abitanti, di cui più di un milione di palestinesi rifugiati dopo esser stati espulsi dalle loro case a partire dalla creazione dello stato di Israele: la striscia di Gaza è uno dei luoghi più densamente popolati al mondo. Insieme alla Cisgiordania (detta anche West Bank), fa parte di quei territori palestinesi che non trovano, però, amministrazione politica comune. Dal 2007, infatti, è amministrata da Hamas, movimento paramilitare considerato terroristico da Unione Europea, Canada, USA e Giappone.

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Palestine 2009. Israel’s Wall in Bethlehem, West Bank. Fonte: Forum trentino per la pace e i diritti umani

Dal 1967 al 1994, è stata sotto occupazione militare di Israele. Dal 1994, Israele ha cominciato a ritirare le sue truppe ma, a partire dal 2006, ha imposto alla striscia un blocco, controllando l’ingresso e l’uscita di persone e beni e limitando l’accesso a beni di prima necessità.

Diversi gli attacchi sferrati, nel corso degli anni, dall’esercito israeliano ai suoi abitanti (tra i più cruenti e sanguinosi l’operazione piombo fuso del 2008 e l’operazione margine di protezione del 2014) che hanno determinato, oltre ai morti, una situazione di malessere e disagio emotivo soprattutto nella popolazione infantile. Entrare o uscire dalla striscia di Gaza, per un palestinese che ci vive, è impossibile se non per permessi lavorativi o di studio spesso difficili da ottenere. Il risultato è quella che è stata definita “la più grande prigione a cielo aperto del mondo“.

Cosa stava accadendo in Cisgiordania e a Gerusalemme

La Cisgiordania è una parte dei territori palestinesi sottoposta a occupazione militare israeliana dal 1967. Nel corso degli anni, l’autonomia del territorio si è progressivamente ridotta attraverso il moltiplicarsi dei check-point militari e della politica dei settlements. La prima limita lo spostamento dei palestinesi, rendendo spesso quasi impossibile viaggiare da un punto all’altro della stessa Cisgiordania, sottoponendo a controllo militare ogni palestinese che voglia spostarsi da una città all’altra o, in alcuni casi, da un punto all’altro della stessa città. La seconda determina la nascita di colonie israeliane sul territorio palestinese, denunciata come violazione del diritto internazionale dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, dall’Unione europea, da Amnesty International e Human Rights Watch.

Una politica analoga è quella che da decenni viene adottata anche a Gerusalemme Est dove famiglie di palestinesi vengono sfrattati dalle loro case per far posto a coloni israeliani. Solo nel 2022, secondo i dati forniti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, sono stati almeno 146 i palestinesi della Cisgiordania uccisi dai militari israeliani, spesso in operazioni definite da Israele di antiterrorismo, ma che vedono quasi sempre il coinvolgimento di giovani e anche bambini. Nello stesso anno, sono state 953 le case palestinesi demolite o sfrattate per far posto a famiglie israeliane.

Le operazioni militari israeliane nell’ultimo anno si erano intensificate con raid sempre più frequenti e sanguinosi, affiancate da pogrom dei coloni nei confronti della popolazione palestinese.

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La politica israeliana col sesto mandato Netanyahu

Il drammatico bilancio del 2023 si è consolidato in un contesto politico israeliano di estrema destra. Con il suo sesto mandato, infatti, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato vita alla coalizione più conservatrice che ci sia mai stata dalla nascita dello stato ebraico, dando spazio a partiti di estrema destra tra cui Potere ebraico (Otzma Yehudit), Sionismo religioso e Noam.

Ben Gvir, leader di Otzma Yehudit e ministro della difesa, è noto per le sue posizioni apertamente razziste e per il sostegno all’occupazione della Cisgiordania. Smotrich, leader di Sionismo religioso e ministro delle finanze, ha negato l’esistenza del popolo palestinese e vive lui stesso in una colonia illegale in Cisgiordania. Non è un caso se il 2023 era stato, già prima di questo fatidico 7 ottobre, l’anno più drammatico per i palestinesi con oltre 200 morti e un record di nuovi insediamenti in territorio palestinese.

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Gianluca Grimaldi

Napoletano di nascita, milanese d'adozione, mi occupo prevalentemente di cinema e letteratura.
Laureato in giurisprudenza, amo viaggiare e annotare, ovunque sia, i dettagli che mi restano impressi.

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