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In Lombardia alle elezioni si sfidano due visioni

Alle elezioni regionali del 12-13 febbraio in Lombardia la destra si appresta a vincere ancora una volta. Ma la regione è davvero un'eccellenza, esempio per il resto del Paese? O la realtà racconta un'altra cosa?

12 minuti di lettura

Il 12 ed il 13 febbraio in Lombardia si voterà alle elezioni regionali per scegliere il nuovo presidente. Si tratta di gran lunga della regione più ricca e popolosa del paese. Con un prodotto interno lordo che supera i 400 miliardi (quanto Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto sommati) ed una popolazione che sfiora i 10 milioni di abitanti, la Lombardia è il cuore pulsante dell’economia del paese, contribuisce in modo sostanziale al bilancio dello Stato ed attrae dal resto d’Italia e d’Europa, nel caso di Milano, giovani, start-up, imprese ed investimenti. Tutto ciò, insieme alla forte autonomia dei presidenti ed ai poteri concessi dopo la riforma del titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, contribuisce a fare della regione un enorme centro di potere, un banco di prova per le coalizioni nazionali, un laboratorio dove sperimentare coalizioni e idee, stringere o rompere alleanze. A lungo la Lombardia è stata presentata come una regione virtuosa, dove l’imprenditoria, la voglia ed il saper fare sono premiate, dove la sanità è un’eccellenza, dove la povertà è marginale (o marginalizzata?), che sa parlare al resto del mondo e non spreca i soldi in inutili opere pubbliche. In poche parole, come il resto del Paese dovrebbe essere. Ma è davvero così?

Una storia di successo, o forse no

Dal 1995, ovvero da quando sono i cittadini, e non più il consiglio regionale, ad eleggere il presidente, la Lombardia è stata sempre amministrata dal centro-destra. A Roberto Formigoni, che ha governato fino al 2013, sono succeduti prima Roberto Maroni e poi Attilio Fontana, che ora sembra avere ottime possibilità di essere rieletto alle elezioni regionali della Lombardia, nonostante un mandato difficile ed alcuni avversari interni. Il fil rouge che sembra legare questi 27 anni di governo sembra essere l’immagine di una regione che funziona, che produce, che dà una possibilità a chiunque la meriti; ma se si guarda bene, questa immagine non sembra essere così rosea.

La sanità, a lungo cavallo di battaglia della destra lombarda, sebbene risulti sempre essere tra le migliori in Italia, è stata costantemente depotenziata negli anni a favore del settore privato, che oggi costituisce poco meno della metà dell’intero settore. Opera per gran parte in regime di convenzione con il pubblico, cioè viene pagata da Regione Lombardia per offrire le stesse tariffe e la stessa qualità di prestazioni del servizio pubblico, ed in alcune aree della regione i privati sono divenuti i gestori dominanti della sanità locale. Per molti versi, come si è visto negli ultimi anni, questo è un problema: il privato, agendo per profitto, si occupa soprattutto di operazioni poco rischiose e visite specialistiche, mentre gli ospedali pubblici si fanno carico prevalentemente dei pronto soccorso, dei traumi causati dagli incidenti stradali, della cura degli anziani e dei cronici, delle patologie più difficili e costose da affrontare. Secondo i dati di AGENAS, l’Agenzia Nazionale Sanitaria per i servizi sanitari regionali, il pubblico si fa carico dell’80% delle emorragie cerebrali, l’87% delle leucemie, l’82% delle neoplasie all’apparato respiratorio. L’87,2% dei neonati gravemente immaturi sono curati dalle strutture pubbliche. Tutto ciò nonostante il pubblico ed il privato possano contare su un finanziamento simile da parte della regione.

Questa impostazione, secondo l’Istituto Mario Negri, è in parte responsabile della disastrosa gestione della prima ondata della pandemia, quando il sistema sanitario non ha retto l’impatto dei contagi. Gli elicotteri e gli aerei che hanno portato alcuni pazienti negli ospedali tedeschi, pochi per la verità, non sono solo da guardare con la speranza data dalla mano di una nazione amica nel momento del bisogno. Vanno visti anche come un fallimento di un modello che nel tempo, per scelta, ha tagliato alcune prestazioni a vantaggio di altre meno costose o, nel caso del privato, più remunerative. Le vicende di Giulio Gallera, della totale disorganizzazione durante il primo round di vaccinazioni e la chiamata di Letizia Moratti a prenderne il posto, delle circolari in cui si invitavano le RSA a farsi carico dei pazienti che non trovavano posto negli ospedali, non possono poi passare in secondo piano.

Accanto alla sanità, alla quale non a caso tutte le liste hanno attinto in cerca di candidati, vi è un altro tema che dimostra le scelte fallimentari della regione negli ultimi trent’anni, ovvero il trasporto pubblico, ed in particolare quello ferroviario. Chiunque si affidi con regolarità a Trenord per andare al lavoro, in università o a scuola sa che si tratta di un servizio che ha enormi lacune. Non si contano le corse cancellate, i disservizi, i convogli in ritardo, sporchi, stipati di pendolari all’inverosimile. Si tratta di qualcosa che impatta sulle vite di queste persone (centinaia di migliaia ogni giorno) tanto quanto la sanità. Partire per andare al lavoro ed essere costantemente in ritardo, doversi adattare ai cambi di orario e di destinazione, non sapere letteralmente a che ora la sera si arriverà a casa sono esperienze che, se vissute almeno la metà delle volte che si usufruisce del servizio, impattano fortemente sulla qualità della vita di studenti e lavoratori.

Tre candidati alle elezioni regionali in Lombardia per due idee di regione

Non è un caso che su questi due temi si stiano confrontando con forza i tre principali candidati alle elezioni regionali in Lombardia. Come già accennato, il presidente uscente Attilio Fontana si presenterà alle urne sostenuto dalla rodata coalizione di destra formata da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Quest’ultima ha perso negli anni il peso che le permetteva di esprimere il candidato, come successo quattro volte con Formigoni. A beneficiarne è stata la Lega, in particolare quella di Varese, dalla quale provengono appunto Fontana ma anche Roberto Maroni, il suo predecessore. FDI, che ha sempre avuto un ruolo marginale, sembrerebbe ora essere il partito più forte, ma la debolezza sul territorio e accordi interni a livello nazionale hanno impedito che esprimesse anche il candidato.

Il centrosinistra, appoggiato dal M5s si presenta con Pierfrancesco Majorino. Ex assessore a Milano, ora eurodeputato, è stato in grado di raccogliere consensi nelle formazioni che lo sostengono, ma non sembra avere la forza per imporsi nelle urne anche per via di un’altra forza politica che ha invece deciso di presentarsi da sola, ovvero il Terzo Polo. I centristi hanno affidato a Letizia Moratti le loro possibilità di governare la regione, precludendo così ogni possibilità di costruire un fronte ampio con il centrosinistra. Coalizione che avrebbe potuto rappresentare una sfida seria ad una vittoria della destra che ora sembra quasi scontata.

È proprio la strana parabola di Letizia Moratti a rappresentare plasticamente come la regione sia vittima della favola che si racconta da sola. Ministro con Berlusconi dal 2001 al 2006, sindaco di Milano 2006 al 2011, vicepresidente di Regione Lombardia e assessore al welfare nel biennio 2021-2022, prima che si dimettesse in aperta polemica con il presidente Fontana a causa di questioni interne legate alla sua non candidatura alla guida del centrodestra proprio per queste elezioni regionali, cosa che pare le fosse stata promessa il giorno in cui accettò di prendere il posto di Giulio Gallera in giunta.

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Letizia Moratti, da sempre donna di destra, ora attacca la regione per scelte che ha sempre sostanzialmente condiviso, provando a passare per moderata quando nel 2011 attaccava Giuliano Pisapia, al tempo suo avversario per le elezioni a Milano, con manifesti marcatamente razzisti e xenofobi contro Rom e mussulmani. Nonostante ciò, stando agli ultimi sondaggi Ipsos, Letizia Moratti sembra raccogliere il 19% dei consensi alle elezioni regionali in Lombardia, che sommati al 45% di cui sembra accreditata la coalizione di destra fanno i 2/3 del totale.

Sembra quindi che l’immagine patinata della regione dinamica, ricca, aperta ed inclusiva ancora una volta prevarrà su quella che è la realtà dei fatti. Le statistiche sulla sanità e sui trasporti pubblici non mentono nel restituire una storia diversa da quella raccontata da chi, da 27 anni, amministra la regione e si appresta a farlo per altri cinque. In più, le tanto volute Olimpiadi invernali del 2026, il grande evento festeggiato in regione come dimostrazione riconosciuta di capacità manageriale della Lombardia, potrebbero non andare come previsto.

I ritardi si accumulano, i costi preventivati salgono, pochi ne parlano. Forse la percezione di una regione amministrata bene è anche da attribuire ai sindaci dei capoluoghi lombardi, in gran parte in mano al centrosinistra come Milano, Cremona, Bergamo, Varese, Brescia, Lodi, Mantova, Monza e Brianza e Lecco. Si tratta di una discrepanza strana, che segna forse anche la differenza tra chi tocca con mano tutti i giorni l’inefficienza delle scelte di chi amministra la regione e chi crede invece che vada tutto bene, che siamo sempre l’eccellenza di un tempo, i migliori in tutto, che basti essere i più ricchi per stare meglio. Chi sta al Pirellone però ha davvero la possibilità di fare la differenza, e fino ad ora l’ha fatto in peggio.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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