L’affresco della Maestà (1312-1315), una delle principali opere realizzate dall’artista senese Simone Martini (1284-1344) si inserisce all’interno di un periodo di grande fioritura culturale che la città di Siena vive all’inizio del Trecento. L’arte, aperta alle influenze del Gotico francese e alle suggestioni del sofisticato decorativismo della tradizione orafa senese, si pone al servizio della propaganda politica del dominio comunale: gli artisti adornano le sale del potere cittadino con pregiati cicli di affreschi. Ed è proprio per il Palazzo Pubblico di Siena, progettato dal governo dei Nove ed eretto dal 1297, che Simone Martini, allievo presso la bottega di Duccio di Buoninsegna, realizza sulla parete nord della Sala del Mappamondo – detta anche Sala del Consiglio – un affresco di ragguardevoli dimensioni (9,7 X 7,6 m) puntando a esaltare la potenza e lo splendore della città toscana.
In un chiaro omaggio alla Maestà realizzata tra il 1308 e il 1311 dal Maestro Duccio, Simone Martini riprende la tradizionale iconografia della Madonna in trono col Bambino circondata da Angeli e Santi: i personaggi si dispongono su più livelli secondo dinamiche linee diagonali e convergenti, mentre, al centro, la Vergine austera e dallo sguardo assente e lontano siede su un trono sfarzoso, arricchito dal colore oro e dall’inserimento di cuspidi che richiamano lo stile dell’architettura gotica transalpina. Con un gesto di tenerezza, la Madonna accarezza delicatamente il piede di un paffuto Bambino benedicente che regge un cartiglio di materiale raro, dove si legge: «Salvet Virgo Senam veterem quam signat amenam» («conservi la Vergine l’antica Siena, che Lei stessa rende bella»). Tale gesto di tenerezza nei confronti dell’infante è sintomo di una concezione più umana ed emotiva della religione: essa si diffonde in Europa in seguito all’avvento dei nuovi ordini religiosi mendicanti – francescani e domenicani. Il rapporto tra la Madonna e Cristo si avvicina sempre di più a un reale legame tra madre e figlio. Immediatamente ai lati del trono sono rappresentate le Sante Orsola e Caterina (quest’ultima, protettrice celeste della città). Probabilmente, i volti delle due sante, del Bambino, della Madonna, dei due angeli offerenti cesti di fiori (ai piedi del trono) e dei santi Ansano e Crescenzio (il primo e il terzo santo inginocchiati) sono rielaborati nel 1321 per raconciatura e sistemazione delle proporzioni delle figure.
Rispetto alla Maestà di Duccio e al suo sfondo dorato di gusto bizantino, Simone Martini inserisce l’intera scena all’interno di un baldacchino da cerimonia – simile ad una struttura architettonica – che si staglia su fondo blu, conferendo così una spazialità e una profondità innovativa che denotano un avvicinamento allo stile più razionale e meno aristocratico del contemporaneo Giotto. Seguendo i modelli del Maestro di Bondone, poi, Simone Martini pone un’unica ideale fonte di luce proveniente da destra: le figure assumono una plasticità, una dimensione realistica e corporea tale da superare definitivamente la bidimensionalità dei precedenti artisti senesi.
L’opera è ulteriormente impreziosita da pregevoli interventi di oreficeria, come l’utilizzo di sofisticati smalti colorati o la punzonatura (ossia la decorazione a rilievo di superfici dorate) delle aureole: un intreccio fra arte orafa e arte figurativa che caratterizza il personalissimo stile raffinato, aristocratico e cortese di Martini.
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