Io sono Malala è un libro apparentemente lontano, eppure incredibilmente vicino ai lettori occidentali. Pubblicato nel 2013, è la storia di Malala Yousafzai, una ragazza pakistana nata nel 1997 che ha ricevuto nel 2011 il Pakistan National Peace Prize e nel 2014 il Premio Nobel per la Pace a seguito del suo impegno nel campo dell’istruzione, con particolare attenzione a quella femminile. La storia è narrata in prima persona ed è stata realizzata da Malala e dalla giornalista e corrispondente di guerra Christina Lamb.
Il Pakistan potrebbe sembrare ai più un luogo lontano, con tradizioni e abitudini profondamente diverse dalle nostre. Un’adolescente pakistana potrebbe apparire agli occhi occidentali come parte di un’alterità a noi sconosciuta, ma questo romanzo ci mostra che non è così, o almeno non del tutto: Io sono Malala immerge il lettore in una civiltà che è sì distante dalla nostra per tradizioni, religione, lingua, abitudini, ma con cui abbiamo anche molti elementi in comune. Malala ha 13 anni e ama leggere Twilight, guardare Ugly Betty, acconciarsi i capelli e giocare con le amiche. Una realtà molto più vicina alla nostra del previsto, merito (o colpa, a seconda dei punti di vista) della globalizzazione. Ma ci sono anche grandi ferite che dividono il mondo occidentale da quello della protagonista: Malala è una donna e vorrebbe studiare, istruirsi, prendere in mano la propria vita in libertà, senza sentirsi un accessorio del mondo maschile. Così spiega:
«In Pakistan, se una donna dice di volere la propria indipendenza, la gente pensa che non voglia più obbedire al padre, ai fratelli o al marito. Ma non è questo il significato della parola. “Indipendenza” significa che vogliamo prendere da sole le decisioni che ci riguardano, che vogliamo essere libere di andare a scuola o al lavoro. Da nessuna parte nel Corano c’è scritto che le donne debbano dipendere da un uomo. Nessuna voce è scesa dal cielo per dirci che ogni donna dovrebbe dare retta a un uomo»
Io sono Malala è un romanzo a tratti autobiografico e a tratti storico che presenta in modo piuttosto dettagliato, ma non eccessivamente difficile, il contesto politico, sociale e culturale del Pakistan e in particolare dello Swat, terra di cui Malala racconta pregi e difetti in modo affezionato e oggettivo al tempo stesso. La narratrice riporta aneddoti riguardanti la storia del suo paese, cominciata solo nel 1947, ma si sofferma in particolare sugli anni 2000 e sulle problematiche di un Pakistan colpito non solo da alcune catastrofi naturali (un terremoto e un’alluvione) ma anche dall’assedio dei talebani. Al contesto storico attuale si fonde la vita quotidiana e personale della giovane attivista: le amiche a scuola, i litigi col fratello, gli ideali del padre e le paure della madre, le preghiere, ma anche, più semplicemente, gli abiti indossati e i programmi TV guardati.
Se la situazione della donna in Pakistan non è di per sé delle migliori – Malala vive in un paese tradizionalista fortemente legato a un’interpretazione molto rigida del Corano, che la famiglia Yousafzai non approva – la politica del terrore dei talebani impone ulteriormente una visione maschilista e “chiusa” del mondo: le bambine non possono più frequentare la scuola e sono costrette a indossare il burqa, sono banditi musica, DVD e balli, mentre gli attentati si fanno via via più frequenti, così come le fustigazioni, le bombe, i kamikaze, gli attacchi alle scuole.
Malala ha la fortuna di nascere in una famiglia di mentalità piuttosto aperta, con un padre amante della cultura e fermamente convinto del potere dell’istruzione contro i mali del mondo. Pur cosciente dei pericoli, il padre la segue infatti durante i suoi discorsi e la incoraggia ad andare avanti senza paura. La ragazza cresce quindi in un contesto molto favorevole, ma a tutto ciò unisce una grande forza di volontà, un coraggio invidiabile e la costanza di perseguire un obiettivo per lei indispensabile attraverso la non-violenza, la tolleranza, il perdono.
Malala, a soli undici anni, inizia così a tenere un diario per la BBC sulla vita di tutti i giorni sotto i talebani, descrivendo attimi di paura e di inquietudine, ma anche l’unione della famiglia e i momenti di gioia che questa può offrire. Ogni piccolo aspetto della vita di tutti i giorni viene considerato, così da donare al mondo un ritratto autentico del suo paese, dando al lettore occidentale la possibilità di immergersi in una cultura “altra”. Da qui, Malala raggiunge un successo che va via via aumentando: interviste, conferenze, numerosi discorsi sull’importanza dell’istruzione e della pace. La ragazza, nonostante la giovanissima età, si afferma come attivista di grande rispetto.
Fino al tragico evento che segnerà la vita di Malala per sempre: il 9 ottobre 2012, sull’autobus scolastico, un uomo spara alla ragazza e ad alcune amiche. I talebani rivendicano il gesto accusando Malala non tanto per le sue battaglie a favore dell’istruzione, quanto per aver sposato e a loro dire glorificato lo stile di vita occidentale, elogiando per esempio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Miracolosamente, la ragazza si salva nonostante la pallottola le abbia colpito la testa. Dopo uno lunga convalescenza nell’ospedale di Birmingham, Malala acquisirà sempre più fama e arriverà fino all’assemblea generale delle Nazioni Unite per tenere un discorso sui suoi ideali proprio il giorno del suo sedicesimo compleanno.
«Oggi tutti noi sappiamo che l’istruzione è uno dei nostri diritti inviolabili. E non solo in Occidente. Nel Corano è scritto che Dio vuole che noi abbiamo la conoscenza, vuole che sappiamo perché il cielo è blu e che impariamo a conoscere gli oceani e le stelle. So che si tratta di una battaglia molto dura: nel mondo ci sono ancora 57 milioni di bambini che non frequentano la scuola primaria, e di questi 32 milioni sono femmine. Ed è molto triste ricordare che proprio il mio paese, il Pakistan, è uno dei peggiori: 5,1 milioni di bambini che non vanno nemmeno alle elementari anche se la nostra Costituzione dice che tutti i bambini hanno il diritto di frequentare la scuola. Abbiamo quasi 50 milioni di adulti analfabeti, due terzi dei quali sono donne come mia madre […] Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo».
Il romanzo di Malala – caratterizzato da uno stile a tratti adolescenziale, a tratti adulto, poetico e concreto al tempo stesso – fa pensare alle profonde similitudini e differenze che caratterizzano il mondo, fa riflettere su quanto un diritto che diamo a volte per scontato, quello all’istruzione, in realtà scontato non lo sarebbe affatto se fossimo nati, e soprattutto nate, in un paese o in un momento storico diverso. Tra Malala e una ragazzina occidentale non c’è alcuna differenza – lo mostra molto bene il romanzo raccontando i gusti adolescenziali dell’attivista pakistana, i suoi sogni e le sue abitudini – eppure non a tutti è concesso il privilegio dell’istruzione, della scuola, del piacere di leggere un libro.
Io sono Malala è un inno alla pace, è l’amore per la propria terra, è una preghiera di speranza e un’efficace rottura dei pregiudizi sul mondo musulmano osservandolo dall’interno, affezionandosi ai suoi (reali) personaggi ed empatizzando con un mondo che appare più vicino del previsto. Più di tutto, il romanzo è un elogio alla cultura come mezzo per ottenere la pace e la tolleranza partendo dai più giovani.
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