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Malinconia di autori e pensieri

8 minuti di lettura

“Malinconia” deriva dal termine latino melancholia, che a sua volta deriva dal greco mélas (nero) e chloé (bile), ovvero “bile nera”. Nel linguaggio comune ancora oggi ci riferiamo alla bile in negativo, lo sappiamo, ma la malinconia è quello stato che esprime un sentimento particolare e unico. Non semplice tristezza, purtroppo, ma un profondo sentimento di impotenza, angoscia, che con una vocale diversa (“melanconia”) assume anche caratteristiche cliniche. Sono tantissimi gli autori che hanno trattato di questo sentimento. Ne abbiamo scelti due, molto diversi tra loro per epoca storica e provenienza geografica: Giacomo Leopardi e Kazuo Ishiguro.

La melancolia nello Zibaldone di Giacomo Leopardi

L’autore più associato a questo sentimento è Giacomo Leopardi, che di malinconia ha parlato non solo in modo letterario, ma anche analizzandolo come fenomeno alla luce dell’evoluzione storica. Ciò avviene nello Zibaldone, un unicum nella letteratura che forse ripropone solo un altro autore profondamente malinconico, Cesare Pavese, con il suo Mestiere di vivere. Un diario ma anche un saggio, un insieme di pensieri e dissertazioni che Leopardi ha donato a noi con profondità d’animo eterna e intensa. Proprio lo Zibaldone è il luogo dove l’autore ci offre addirittura una spiegazione di quando e perché la malinconia è nata:

Lo sviluppo del sentimento e della melanconia, è venuto soprattutto dal progresso della filosofia, e della cognizione dell’uomo, e del mondo, e della vanità delle cose, e della infelicità umana, cognizione che produce appunto questa infelicità, che in natura non dovevamo mai conoscere. Gli antichi in cambio di quel sentimento che ora è tutt’uno col malinconico, avevano altri sentimenti entusiasmi ec. più lieti e felici, ed è una pazzia l’accusare i loro poeti di non esser sentimentali, e anche il preferire a quei sentimenti e piaceri loro che erano spiritualissimi anch’essi, e destinati dalla natura all’uomo non fatto per essere infelice, i sentimenti e le dolcezze nostre, benché naturali anch’esse, cioè l’ultima risorsa della natura per contrastare (com’è suo continuo scopo) alla infelicità prodotta dalla innaturale cognizione della nostra miseria.

In questo passo ritroviamo la concezione leopardiana dell’antichità come età dell’oro e di pessimismo riguardo al …

Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

Francesca Fenaroli

Classe 1997, laureata in Scienze dei Beni Culturali e studentessa di Editoria a Milano. Mi occupo, tra le altre cose, di intrattenimento, cultura popolare e narrativa di genere. Umberto Eco sarebbe fiero di me, o almeno così mi piace pensare.

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