In una New York stravagante, alternativa e più che mai frenetica ritroviamo l’attrice Greta Gerwig, musa, compagna e collaboratrice dell’alternativo regista americano Noah Baumbach, con cui lo scorso anno ha realizzato Mistress America, ultimo film di una geniale trilogia iniziata nel 2011 con Frances Ha e proseguita con Giovani si diventa nel 2014.
Se nel 2011 la Gerwig era infatti l’ingenua Frances Halladay, ora la vediamo nei nuovi panni di Brooke Cardinas, una trentenne newyorchese, disinvolta, modaiola e (apparentemente) sicura di sé che vive appieno lo spirito febbricitante della Grande Mela e che diventa inconsapevole guida della giovanissima e intimorita Tracy Fishko, studentessa ed aspirante scrittrice che ha il volto dell’attrice-rivelazione Lola Kirke.
Tracy è tanto giovane quanto disillusa, ormai lontana da qualsiasi tipo di affetto famigliare – la madre divorziata vive lontano e sta per sposarsi con un uomo ipercattolico conosciuto su un sito internet di incontri online – si ritrova a vivere a New York con una coinquilina chiaramente ostile. Innamorata del suo unico amico e rifiutata dall’ambita società letteraria Mobius, la sola che avrebbe potuto garantirle un proprio posto nel mondo, Tracy, dopo i primi goffi tentativi di costruirsi una propria identità in una metropoli che appare sempre più inospitale, contatta con scetticismo Brooke, sua probabile futura sorellastra.
Dopo questo fatidico incontro di spiriti erranti lungo una teatrale scalinata di Times Square il ritmo del film cambia totalmente fino a trasformarsi in un vortice di entusiasmo, risate, strade brulicanti di vita, battute incalzanti ed avventure che sconvolgerà letteralmente qualsiasi parvenza di quotidianità nella vita di Tracy. Per la giovane protagonista è impossibile non ritrovare in Brooke un modello che diventa essenza stessa della propria ispirazione e realizzazione come scrittrice: l’imprevedibile vita della adorata amica si tradurrà, infatti, nel racconto che lancerà la carriera letteraria di Tracy.
In un incontro-scontro tra generazioni prive di ruoli fissi e punti di riferimento, i rapporti famigliari si invertono, si ribaltano, si uniscono all’amicizia e all’ammirazione. È proprio Brooke, infatti, che deve ricordare ai giovani compagni di studi di Tracy cosa significa essere ragazzi, liberi ed incoscienti – «non esiste il tradimento quando si ha diciotto anni!» – mentre, dall’altra parte sarà l’appena diciottenne Tracy che si troverà a riportare Brooke alla razionalità quando la situazione lavorativa ed economica sembra sfuggirle di mano.
Vera e silenziosa protagonista di questa esilarante quête di ricerca interiore è però New York, metafora del mondo attuale e di una società inafferrabile che vive sull’onda del cosmopolitismo e nei 180 caratteri di un tweet, troppo veloce e intraprendente per i suoi protagonisti. Una città-mondo che offre tante, troppe opportunità, che promette euforia, ma che, in realtà, regala molto poco. Lo spirito di questa egocentrica città multiforme si incarna proprio nella sfortunata e tormentata Brooke, cantante, insegnante, aspirante conduttrice televisiva e cuoca, entusiasta di tutto ma alla fine inconcludente. Vive unicamente di idee, illuminazioni ed improbabili progetti, come quello di aprire un nuovo ristorante in un quartiere cool della città, una sorta di “centro creativo”, ovvero un luogo che è in realtà tutto e nulla allo stesso tempo. Per le “falene” che la abitano è impossibile lasciare New York – «non mi piace per nulla uscire da Manhattan» -, è una torcia incandescente che affascina e illude, per poi lasciare i propri eroi da soli a fare i conti con una realtà più dura di quanto potessero immaginare.
Chi arriva a New York, città dove notoriamente “tutto è possibile”, desidera realizzare per sentirsi realizzato, per poi perdersi proprio quando il mondo degli adulti bussa con impazienza alla porta. I protagonisti di Mistress America sembrano attori di un teatro dell’assurdo che improvvisano dialoghi incalzanti, incrociati, ironici fino al sarcasmo, dove nessuno sembra prendersi veramente sul serio. Con lo svolgersi dei fatti, la pacifica cornice dei boschi del Connecticut, dove abita la “famiglia felice” della storica amica-nemica di Brooke, diviene letteralmente palcoscenico di una ormai ben consolidata compagnia itinerante dove tutti sono alla ricerca di qualcosa e dove ogni cosa si trasforma «in puro desiderio».
Tracy non immagina che narrare, o meglio “rubare”, la vita di Brooke per farne il soggetto del suo ultimo racconto possa alla fine andare a rompere quella finzione cinematografica («Mi sembra di vivere in un videoclip») così divertente e precaria che caratterizzava la sua nuova vita. Ma quando Brooke scopre di essere stata usata da colei che considerava una vera amica il fragile meccanismo di questa avventura on the road crolla.
Alla fine, le due protagoniste capiranno che entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, le loro personalità hanno imparato a completarsi e a supportarsi, qualcosa di più profondo ora le lega per la prima volta: l’amicizia.
Ed è proprio la vita di Brooke trasferita sulla carta con il titolo di Mistress America a permettere a Tracy di essere finalmente ammessa in quella tanto agognata società letteraria, che però si rivelerà a breve una deludente compagine di presuntuosi.
Che fare? E così, come in un gioco di specchi, mentre Tracy realizza finalmente il suo importante progetto di fondare una propria rivista letteraria, Brooke decide di iscriversi al College. Un vero e proprio scambio di ruoli.
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