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Mondo dell’arte, popolo di marchettari

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Ludwig Wittgenstein, filosofo emerito del secolo scorso, dice che l’arte è un gesto. Gesto è inteso come atto entusiasta e controllato, vibrante di senso e sapiente di forma. Arte dunque come creatura, dannatamente personale e strenuamente legata all’hic et nunc. Espressione che sgorga limpida e non menzognera, specchio della parimenti trasparente natura del suo faber.

Eppure, se nelle terre vergini dell’innocenza speculativa così si fraseggia, a passare al purgatorio del mondo vero, dell’arte, ben altre sono le manifestazioni corporali. Si trova, a volerla dire poco delicatamente, che la realtà in questione può ben essere paragonata a un magnificente, e magniloquente, gigantesco, bordello.

La prostituzione ha minuziosamente costruito impalcature su più livelli, e in diversi compartimenti. È un’attitudine che percorre, filo rosso, la storia dell’arte tutta, scavalcando gap temporali, sopravvivendo alle guerre, alle pestilenze, agli eccidi, ai deliri narcisistici e alle mode del momento. Ma se sarebbe nichilistico sostenere di essere in presenza di una chiave di lettura atavicamente valida, si può perlomeno supporre che tale pratica sia l’inciampo classico in questo dominio.

Al tempo dei grassi poteri, quello politico e quello religioso, l’arte, come la società tutta, a loro faceva il verso. Il nuovo maestro, fin dalla tenera età, si faceva di manierismo, e solo in questo consisteva la sua dose quotidiana. Papi e politici lo stordivano di forma, così da costringerlo a un’inerzia di contenuto. Risultati: profusione di madonne e santi e ritratti di famiglia, per i più arditi sovrimpressi sulla stessa figura artatamente costruita, anni luce distante dall’originale.

"Madonna del cardellino" Raffaello. Fonte: www.bilanciozero.net
“Madonna del cardellino” Raffaello. Fonte: www.bilanciozero.net

Ci sono state le rivoluzioni, quelle che gattonavano nel buio muschioso del sottobosco, e quelle assatanate, che volevano la deflagrazione. Ci sono stati gli impressionisti, che volevano uscire fuori. Fuori dai luoghi tradizionali dell’arte, fuori dagli schemi dell’impostazione accademica. I romantici ardivano a strapparsi il cuore e buttarlo sulla palette delle loro tele, gli espressionisti sputavano sul quadro lo schifo del loro momento. I futuristi (Deo gratias!) facevano a brandelli il passato e spargevano sale, i realisti schiaffavano il mondo in faccia al mondo, nei suoi aspetti più disumani. I concettualisti elevavano la parola a dio dell’arte, suo significante e articolazione del suo significato.

L’arte esprime lo spirito di un popolo. Gregario. L’arte prima o dopo o insieme con il popolo del suo momento storico, in momenti puntuali e densissimi di jetztzeit, cerca l’emancipazione. Tenta di rovesciare un complesso di regole preconfezionate e scadute. Quando il disco si impalla, e per troppo tempo si è vomitato e rimangiato, l’arte scatta improvvisamente e si butta. Sotto, dentro, di lato, non importa, ma deraglia dal percorso tradizionale. Se non deraglia soffoca e muore.

Fonte: www.ilgiornaledellarte.com
Fonte: www.ilgiornaledellarte.com

Capita l’antifona a questo livello, c’è un altro interstizio in cui la prostituzione è solita inserirsi. L’artista oggi è incastrato in una committenza diversa. Passato il tempo dei grassi poteri, questi sono esplosi in tanti più piccoli frammenti, di varie dimensioni, dalla diversa ingordigia. Il giovine talentuoso, formatosi in apposite scuole d’arte o da bravo autodidatta, consuma le sue giornate a ingraziarsi potenti zoticoni finti mecenati di cose d’arte. Sbavando per un poco di notorietà, arriva a pagare di tasca propria per esporre qualche opera in spazi fatiscenti e acchiappa turisti. Spende una fortuna in cataloghi, regalandosi un quarto d’ora, poco di più, di pralinata notorietà.

arte - fiera
40 anni di Arte Fiera. Fonte: www.collezionedatiffany.com

L’artista che riesce ad affermarsi presto diventa un brand, spersonalizzandosi. Per vendere deve rimanere sulla stessa linea, cercare di innovarsi il meno possibile. La sua produzione si scarica, e diventa seriale. Si accartoccia su se stessa, e muore soffocata. I potenti sono contenti, e lui diventa un gadget sulle borsette delle quindicenni. Che cos’è l’arte?

E come si costruisce l’arte? C’è l’autore materiale, il curatore, il direttore di un museo, il gallerista, il giornalista, il critico, lo storico dell’arte: si adoprano o dovrebbero adoprarsi per veicolare un messaggio. Autentico? Quanto basta perché un manufatto possa definirsi arte.

Il manager dell’arte è una figura nata a valle, nell’ultimo periodo. Si giostra tra coin umanistico, artistico, e coin economico, facendo quadrare i conti, galleggiare i bilanci. È un profilo professionale con linee ambigue di confine, solo la prassi metterà in luce la sua effettiva consistenza. Il manager è selettore di contenuti, in questo molto simile al curatore, e ha quindi un ruolo di assoluta rilevanza nel guidare lo spirito del popolo. A seconda della sua influenza certo, dei suoi contatti, delle ragnatele che lo avvinghiano alla politica, banalmente della pecunia di cui dispone, sceglie le opere che saranno valorizzate, salva certi artisti e altri no dal non-luogo dell’anonimato, spazio della prima formazione.

Fondazione Louis Vuitton, Parigi. Fonte:
Fondazione Louis Vuitton, Parigi. Fonte: it.louisvuitton.com

Il manager ha quindi una responsabilità carichissima, pregna, densa e pronta ad esplodere. Responsabilità che oggi sempre più prende lo stomaco e stimola il rigetto, ma che va assunta con coscienza e rispetto e consapevolezza anche sul piano etico. Ad essere nella posizione di farlo, di influenzare così radicalmente una realtà, il mondo dell’arte, fortemente rappresentativa dell’umano di adesso e di prima, e di determinare materialmente il paesaggio culturale ai lati del treno delle generazioni future, bisogna farlo in modo intelligente e onesto. Intelligente cioè a dire selezionando contenuti sapidi, artisti che valgono perché veicolano messaggi pregni, ricchi, sul piano morale, intellettuale, culturale, qualsiasi, basta che un piano ci sia, e valido. Artisti che abbiano qualcosa di francamente originale da dire. E questa selezione va fatta in modo sincero. Facendosi condizionare il meno possibile da facili “inciucci” politici o con i “potentoni” in genere, che si sa, portano piogge di ricchezza, agi e belle compagnie.

"Merda d'artista" Piero Manzoni. Fonte: restaurars.altervista.org
“Merda d’artista” Piero Manzoni. Fonte: restaurars.altervista.org

Ogni lavoro è una missione ma spesso troppo spesso si perde di vista la radicale importanza di questa verità. E questo, oltre a sfibrare la corteccia compatta e bella dell’umanità, ci fa vivere in modo sempre più trascinato e vergognoso. Fa perdere di vista e allontana dal cuore, e dal desiderio, il sapore forte e eroico, e intenso fino alle lacrime, di cose belle, fatte per giusti motivi. E allora? Bisogna aggrapparsi al limite del costone e fare forza sulle braccia. Si fa fatica da morire ma quello che c’è su, ne vale la pena.

 

Francesca Leali

Nata a Brescia nel 1993. Laureata in lettere moderne indirizzo arti all'Università di Bergamo, dopo un anno trascorso in Erasmus a Parigi. Appassionata di fotografia, cinema, teatro e arte contemporanea.

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