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I musei per le periferie

Dalla newsletter n. 27 - aprile 2023 di Frammenti Rivista
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Il termine imageabilité, coniato negli anni Novanta dalla critica francese Françoise Choay, è un neologismo traducibile come “immaginabilità”, ovvero la tendenza dell’architettura del suo tempo a trasformarsi in pura immagine, in icona, cioè a vivere di una vita propria separata rispetto al contesto in cui l’edificio viene creato e persino rispetto alla sua materialità, diventando un’immagine che ha una circolazione globale e che viene identificata con l’identità stessa dell’istituzione a cui è associata. Alcuni storici dell’architettura hanno definito le opere frutto di questa corrente “super musei”, avveniristiche strutture architettoniche che in una dimostrazione muscolare di risorse e di inventiva architettonica vogliono costantemente proporre, sulla falsariga del primo Novecento, una fortissima idea di modernità.

I super musei sono stati, in alcuni casi, occasione di rinascita per le periferie degradate di grandi città, come Milano, ma anche Parigi, Roma, Marsiglia, Bilbao. Grazie al fortissimo potere attrattivo culturale, queste strutture sono riuscite a dare nuova vita a zone abbandonate, industriali e talvolta malfamate. Il flusso di turisti e appassionati, infatti, ha fatto sì che diventassero dei poli culturali di importanza e richiamo mondiale. Esempi celebri di questi musei sono, senza dubbio, il Guggenheim di Bilbao, ma anche Fondazione Prada a Milano. Nascono, tuttavia, sempre più spesso realtà più locali e meno spettacolari, ma forse proprio per questo meglio capaci di portare avanti quell’idea di riqualifica che da tempo mobilita amministrazioni cittadine, fondazioni private e studiosi. Uno tra tutti il MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz di Roma. Operando nelle zone tendenzialmente più difficili delle città, i musei periferici portano spesso avanti, oltre che un’opera di riqualificazione urbana e attrazione turistica, anche una missione pedagogica e didattica, con lo scopo di avvicinare all’arte, o più in generale alla cultura, tutte quelle fasce sociali che ne sono tipicamente escluse. Il museo risponde in tal modo alla propria vocazione principale: essere luogo pubblico, spazio, istituzione al servizio della comunità.

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Guggenheim Museum, Bilbao

L’edificio probabilmente più rappresentativo di questa tendenza all’iconicità dell’architettura novecentesca a farsi gesto espressionista, ma anche protagonista di una delle più famose operazioni di rinascita di una città, è il Guggenheim Museum Bilbao. Questo è progettato al principio degli anni Novanta da Frank Gehry, uno dei protagonisti della stagione del Decostruttivismo architettonico, un momento di ritorno all’idea di rottura radicale nei confronti dei linguaggi della tradizione storica, che non a caso si ispira alle avanguardie di inizio Novecento e che interpreta il momento della progettazione come gesto scultoreo. Frank Gehry procede infatti nella progettazione attraverso passaggi, mediante una pratica che insiste molto anche sulla tecnica manuale del disegno dell’architettura. L’architetto lavora sui valori plastici della materia finendo per costruire enormi macchine architettoniche di fortissima componente scultorea, come per il Guggenheim di Bilbao, che ospita soprattutto opere di arte contemporanea europea, più precisamente spagnola, e ancora più nello specifico basca.

Il museo si trova in un piccolo centro che è la città di Bilbao, rispetto a cui l’edificio giganteggia e spicca come gesto architettonico rivoluzionario, proiettato al futuro, che decisamente sostituisce nell’immaginario collettivo la collezione medesima. Per anni, dopo l’inaugurazione, il Guggenheim di Bilbao è diventato meta di pellegrinaggio per l’edificio in sé, icona architettonica di forza e di eco planetaria.
La tradizione marittima e industriale di Bilbao è resa evidente dalla forma complessa della struttura e dai materiali che la compongono. Affacciato sul fiume Nerviòn, il museo si inserisce in una zona industriale del porto della città di Bilbao, in condizioni di forte degrado negli anni Novanta del Novecento e per questo inclusa nell’opera di riqualifica che coinvolse tutta la regione basca. Alla fine del secolo scorso, l’amministrazione locale si lasciò infatti alle spalle il passato industriale per proiettarsi nella scena culturale e artistica mondiale, divenendo destinazione di viaggio imprescindibile per gli appassionati. Bilbao in poco tempo è diventata una città moderna e benestante, capace di accogliere turisti ma anche studenti e studiosi da tutto il mondo.

Fondazione Prada, Milano

Situata in Largo Isarco 2, nella zona sud di Milano, quella che è ora la sede principale della Fondazione Prada nata nel 1993 dalla coppia Prada-Bertelli era in passato una ex distilleria. La Fondazione nasce con l’obiettivo di celebrare numerosi progetti di arte contemporanea, cinema, fotografia, danza e architettura: l’esigenza di uno spazio espositivo di grandi dimensioni si faceva dunque sentire. Inaugurata nel maggio 2015, la struttura si estende su una superficie di quasi 20.000 metri quadrati, di cui la metà utilizzata come spazio espositivo, e comprende ben sette edifici già esistenti come laboratori, magazzini, silo e in più tre nuove strutture: Podium (dedicato alle arti performative), Cinema e Torre (per la collezione permanente). La cura nei dettagli la si trova anche nel Bar Luce, progettato dal regista statunitense Wes Anderson, che ricorda l’estetica dei bar italiani degli anni Cinquanta e Sessanta. Il complesso industriale di inizio Novecento è stato restaurato dallo studio internazionale di architetti di Rotterdam OMA guidato da Rem Koolhaas che definisce la sede come «una collezione di spazi architettonici originale quanto la sua proposta artistica». L’ideazione di nuove strutture architettoniche (compreso l’ex silo dorato) non ha quindi in alcun modo interferito con le parti preesistenti, anzi, ha creato un dialogo con esse. La struttura è stata quindi arricchita, donando alla città una vera e propria opera d’arte contemporanea.

La sede principale di Milano, inoltre, si è presentata sin da subito come luogo versatile in cui diversi spettatori e generazioni possono ritrovare il proprio spazio. Ciò è stato fatto presentando, già dall’inaugurazione, numerose attività differenti, come le installazioni site-specific di Robert Gober e Thomas Demand e con la presentazione di un documentario inedito e di una rassegna cinematografica di Roman Polanski. In seguito, la Fondazione Prada si avvicina anche ai bambini dando vita all’Accademia dei bambini, un progetto condotto da insegnanti diversi (come architetti, artisti pedagoghi) che desiderano stimolare i bambini nelle diverse attività artistiche.

Si può affermare che l’intervento effettuato all’edificio sia coerente agli ideali che porta avanti la Fondazione da anni. Così come le parti architettoniche diverse fra loro dialogano in armonia avendo come scopo comune quello di ospitare l’arte. Stessa cosa accade tra gli spettatori che, seppur differenti fra loro, hanno come passione comune quella per l’arte che possono ritrovare all’interno della Fondazione Prada in tutte le sue forme.

Museo dell’Altro e dell’Altrove, Roma

La storia del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove, tra le più interessanti realtà museali indipendenti d’Italia, inizia nel lontano 2009 con l’occupazione da parte di sessanta famiglie, per un totale di più di duecento persone di diversa etnia – italiani ma anche peruviani, rumeni, marocchini e ucraini – degli ex stabilimenti del salumificio Fiorucci di Tor Sapienza, periferia est di Roma, oramai in uno stato di grave abbandono. Nasce dunque grazie all’azione dei Blocchi Precari Metropolitani, realtà nata a Roma nel 2007 per rivendicare il diritto all’abitare: una vera e propria comunità con un forte spirito identitario che prende il nome di Metropoliz, detta colloquialmente Città meticcia.

Un inedito esperimento di autogestione e inclusione sociale, dove sono coinvolte  anche alcune famiglie rom reduci dallo sgombero del campo di Centocelle, che immediatamente attira l’attenzione di artisti e intellettuali come l’antropologo e artista Giorgio De Finis e il filmmaker Fabrizio Boni che nel 2012 decidono di raccontare la comunità di Metropoliz attraverso un documentario il cui titolo, Space Metropolitz, vuole sottolineare la difficoltà di ottenere una casa dallo Stato, impresa ardua quanto chiedere la luna. Per la realizzazione del film sono stati coinvolti diversi street artists che hanno reso più “spaziale” il set, inaugurando una serie di collaborazioni tra gli artisti della scena underground e gli abitanti di Metropolitz, i quali hanno trasformato l’ex salumificio in un vero e proprio museo di arte contemporanea gratuito e autogestito, ovvero il Museo dell’Altro e dell’Altrove di cui l’antropologo Giorgio De Finis è direttore creativo e dove la diversità è un valore assoluto.

Attualmente il museo-centro abitativo ospita più di quattrocento opere, in prevalenza di street artists del panorama italiano e internazionale, ed è divenuto un luogo di attrazione e di interesse culturale studiato anche all’estero e paragonato a una cattedrale laica dell’arte contemporanea, un museo-non museo in quanto luogo non istituzionale ma relazionale dove la vita e l’arte si intrecciano e dialogano contaminandosi a vicenda.
Il visitatore del MAAM, dunque, si aggira in quello che un tempo era un luogo di morte destinato alla macellazione della carne animale, mentre oggi si imbatte in un enorme affresco in fieri, dove può incontrare, tra i tanti, il murales raffigurante l’attivista pakistana e premio Nobel Malala Yousafzai, realizzato dall’artista brasiliano Eduardo Kobra, e il bacio eseguito dallo spagnolo Gonzalo Borondo nel suo murales Piedad.

Il Museo dell’Altro e dell’Altrove è dunque un luogo unico, un esperimento perfettamente riuscito di integrazione e di riqualificazione della periferia, un esempio lampante di come l’arte possa vivificare i luoghi e dare seconde opportunità a chi parte svantaggiato.

Il problema del divario centro-periferia riguarda quindi una frattura tra Stato e modernità che assume connotati tanto sociali ed economici quanto politici. Di fronte alla presenza di iniziative bottom-up come le reti mutualistiche da un lato e progetti top-down finanziati dal PNRR, l’obiettivo pare essere quello di trovare una sintesi. La sfida che si prospetta è quella di destinare le risorse necessarie alle iniziative locali che abbattano le disuguaglianze senza però snaturare dei luoghi, le periferie, che presentano, oltre alle molte ombre, non poche luci.


Illustrazione di Lucia Amaddeo

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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