La vicenda della cancellazione dei numeri romani nel Museo Carnavalet a Parigi ha scosso incredibilmente l’opinione pubblica: fra post sui social, commenti e critiche non solo da parte dei più comuni utenti del web ma anche di personaggi di notevole spicco culturale come lo scrittore Massimo Gramellini e il presidente del Coordinamento degli insegnanti in lingue antiche François Martin, l’universo mediatico si scaglia così contro la decisione presa dall’Istituzione.
A spiegare le ragioni di un intervento museografico del genere è stata la stessa direttrice Noémie Giard del Museo di storia parigino, spiegando di aver operato in tal senso perché «i numeri romani possono essere un ostacolo alla comprensione», aggiungendo di volerli abolire in favore dei numeri arabi proprio per rendere il Museo accessibile a una fascia di visitatori ancora più ampia.
Eppure, ai più risulta complicato capire, accettare e valutare positivamente questa concezione. Innanzitutto, occorre osservare quanto la numerazione romana, da sempre adoperata per diciture di datazioni e nomenclature di personaggi illustri, sia da valorizzare non solo come strumento di utilità pratica ma anche e soprattutto come emblema di una classicità romana fondante per la cultura odierna, e dunque come una tradizione che si mantiene viva e che bisognerebbe continuare a rispettare. Considerando poi che il Museo Carnavalet ha un’accezione prettamente storica, dunque dedita alla conservazione della memoria del passato, il voler eliminare la numerazione romana di cui si è appena sottolineata la rilevanza culturale, risulta davvero un paradosso.
Viene poi da chiedersi se per superare “l’ostacolo alla comprensione” di cui parla la direttrice l’unica strada sia quella della rimozione dell’ostacolo stesso. Il Museo, in quanto luogo di cultura, dovrebbe avere il compito di promuovere e favorire la conoscenza, non sopprimendola in favore di un progresso che trae linfa vitale dall’annientamento del passato, ma sollecitando il visitatore a informarsi, a procurarsi gli strumenti necessari per apprendere ciò che gli è sconosciuto, insomma a sapere di più. Scrivere Luigi 14° e non Luigi XIV sarebbe controproducente poiché occulterebbe una tradizione consolidata da sempre, contribuendo al formarsi di lacune inaccettabili nell’educazione delle nuove generazioni.
Più che volta alla democratizzazione della cultura, la scelta del Carnavalet sembrerebbe allora celare il blando tentativo di accaparrarsi più turisti, perdendo però di vista quanto invece lo straniero sia attratto e affascinato proprio da quella prestigiosa classicità che rende unica la nostra storia.
Chiara Esposito
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