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Omoiyari. L’estetica del quotidiano

8 minuti di lettura

Per Harper Collins è uscito il saggio Omoiyari, L’arte giapponese di prendersi cura degli altri, a cura di Erin Niimi Longhurst (acquista). Un lavoro illuminante non solo sulla filosofia giapponese, ma soprattutto sulla quotidianità. Leggendolo scopriremo presto che in realtà filosofia e quotidianità sono tutto fuorché scollegate, poiché possiamo trovare una ricerca di estetica e armonia, nel senso più filosofico del termine, nelle piccole cose. Comprendere tali concetti può risultare difficoltoso per qualcuno che non conosce il Giappone e ancora meno il giapponese, ma attraverso fotografie, etimologie e descrizioni il saggio risulta chiaro e interessante.

Omoiyari

Omoiyari, il pensiero verso gli altri

La struttura stessa del saggio rimanda all’importanza delle parole, che in una lingua come il giapponese nascondono un mondo al loro interno. Troviamo infatti i capitoli divisi per parole, di cui ci viene spiegato il significato, poi subito applicato alla vita quotidiana, anche grazie alle fotografie corredate. Omoiyari, ad esempio, deriva da omoi che è traducibile come “pensiero”. Questo concetto è già di per sé fortemente ambiguo e in giapponese “omoi” può rimandare al pensiero nel senso di cosa pensata, ricordo, emozione.

Pensieri, ricordi e sentimenti vanno e vengono. Qualcosa su cui avete meditato a lungo potrebbe risolversi all’improvviso, arrivando alla vostra mente come un treno che raggiunge la sua destinazione finale (omoiysuku); e omoi può riferirsi non soltanto ai pensieri che già coltivate, ma anche al modo in cui concepite le cose.

Omoiyari

A questo “omoi” si aggiunge poi il verbo fare. Omoiyari è quindi una sorta di estensione del pensiero in relazione agli altri. Significa, quindi, voler agire pensando ai bisogni dell’altro e in particolar modo volendoli addirittura anticipare. Sono molti gli esempi di vita quotidiana che Erin Niimi Longhurst propone all’interno del saggio, come la pratica dell’omokase, ovvero lasciar decidere agli altri cosa ordinare al ristorante. Tutta la concezione giapponese del cibo ha a che fare con l’idea stessa di omoiyari.

Omoiyari

Omoiyari significa empatia e humanitas

Un modo con cui si potrebbe tradurre in breve in italiano questa pratica è senz’altro empatia. Edith Stein, che ha posto il concetto di empatia alla base di una brillante teoria filosofica, la definiva come un esser persona nella persona. L’omoiyari si avvicina molto a tale concetto, se pensiamo che ha come scopo anche migliorare la coscienza di sé attraverso il riconoscimento dell’altro. Bisogna pensare all’altro, comprenderlo, capire cosa prova con altruismo e disinteresse, ma occuparci di lui ci permette di crescere come persone e quindi costituisce un bene anche per noi. Chiaramente al centro di tutto ciò vi è un’idea di filantropia, di solidarietà, che ci ricorda l’humanitas antica. La comprensione e il prodigarsi verso gli altri che esprime l’omoiyari si configura come un comportamento derivato dal fatto che siamo tutti umani e quindi le cose umane ci riguardano.

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Come disse Terenzio, «homo sum: humani nihil a me alienum puto», ovvero «sono un uomo: di quello che è umano nulla io trovo che non mi riguardi». A partire dalle commedie di Terenzio (ma anche nel teatro di Plauto), fino all’età imperiale – in cui raggiunge il suo massimo splendore con Seneca – per i grandi pensatori latini la solidarietà e il rispetto tra gli uomini diviene uno scopo. Quella ricerca di armonia con gli altri che ci fa essere civili, degni di vivere.

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Eppure, fare questo non è semplice, come non è semplice attuare l’omoiyari. Per avvicinarsi agli altri, osserva Longhurst, dobbiamo dare loro fiducia e mostrarci vulnerabili, esporci. Tuttavia, il benessere ‘karmico’ che si ottiene da un simile atteggiamento è più importante e vale il rischio.

Una ricerca di bellezza nel quotidiano

Cercare di trattare gli altri con rispetto e fiducia assume nel saggio contorni sempre più “pratici”. Infatti, al di là dei riscontri etimologici e teorici incredibilmente affascinanti, la manifestazione di empatia ha un’applicazione sempre più connessa alla quotidianità. Tra le altre cose Longhurst spiega l’importanza di costruire un’armonia e un ordine anche nel proprio ambiente domestico attraverso il kirei (pulizia e organizzazione), a tavola, accogliendo gli ospiti, durante la cerimonia del tè. I piccoli oggetti e le piccole cose assumono un significato simbolico sempre più efficace. Rivela così una concezione di armonia e bellezza sempre più connessa alla quotidianità.

Omoiyari

In realtà ciò non è niente di nuovo nel contemporaneo dibattito filosofico, pensiamo all’Everyday Aesthetics. Traducibile come ‘Estetica del quotidiano’, seppur non ugualmente efficace, indica un recente dibattito nell’estetica angloamericana che mira ad annoverare come categorie estetiche anche aspetti della quotidianità. Il filosofo Thomas Leddy ha intitolato un saggio proprio The extraordinary in the ordinary, lo straordinario nell’ordinario, mentre Kevin Melchionne tratta di cinque categorie fondamentali per l’Everyday Aesthetics: il cibo, il guardaroba, la dimora, la convivialità e l’uscire. Tutti aspetti che in Omoiyari assumono una grande importanza. Infatti, la nostra quotidianità è fatta di piccole cose in cui dobbiamo ricercare armonia e bellezza.

Longhurst ci parla di zakka, ovvero della bellezza delle cose più varie, che possono essere una tazza fatta a mano, un innaffiatoio dorato, e molto altro. Il semplice, il banale è foriero di bellezza e serenità. Un esempio fondamentale è costituito dai principi della cerimonia del tè, un’altra ‘piccola cosa’, ma grande: wa (armonia), kei (rispetto), sei (purezza), jaku (tranquillità). Questa e molte altre consuetudini – la maggior parte delle quali riguarda il cibo – non sono altro che una ricerca di “straordinario nell’ordinario”. Omoiyari ci insegna come un semplice momento o gesto di gentilezza possa essere il più bello, il più empatico, il più arricchente per tutti noi.

 


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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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