Nel 1965 l’artista Gerhard Richter dipinge quello che forse è uno dei suoi quadri più famosi: Onkel Rudi. Attraverso la semplice azione di trasposizione pittorica di una fotografia di famiglia e la sua lieve alterazione, Gerhard Richter apre un armadio stracolmo di scheletri che la popolazione tedesca, ancora alle prese con la devastazione del conflitto mondiale e le conseguenze della dittatura nazista, non era pronta ad affrontare.
Tra fotografia e pittura per raccontare la storia
Per la tela denominata Onkel Rudi, ovvero Zio Rudi, Gerhard Richter lavora con la tecnica della Pop Art, rivisitandola in parte e appellando ironicamente questo nuovo stile come Realismo capitalista. L’azione sostanziale che compie consiste nella riproduzione e manipolazione di immagini già esistenti, “trovate”, con una retorica macchinica e anti-autoriale. Questa necessità è dettata per Gerhard Richter dalla sua formazione socialista, che vede l’artista come autore di selezione, che sceglie chi e cosa è degno o meno di essere rappresentato e dunque celebrato. L’artista lavora con immagini di giornale, foto di famiglia e realizza un atlante assemblando su tavole di legno questi materiali. Da questo materiale d’archivio ricava le cosiddette “Foto-Builder”, delle vere e proprie foto-pitture. Interessante è il fatto che, secondo quanto da lui stesso dichiarato, Richter considera il contenuto della fotografia assolutamente indifferente, affidandosi all’inconscio e mettendo in atto un processo di de-soggettivizzazione. Le immagini vengono scelte solo come soggetti visivi.
Leggi anche:
Cosa abbiamo capito della vendita di «Comedian»
Richter relativizza, dunque, i quadri ricalcando le immagini proiettate, compiendo un’azione meccanica, non artistica né interpretativa. Quella che lui opera è una lotta contro il soggetto, inteso sia come soggetto-rappresentato che come soggetto-artista. Lavora poi i dipinti con pennelli a punta morbida per dare l’effetto fuori fuoco, distrugge i contorni, ciò che delinea le figure. Si vede nelle sue opere il montaggio di due media riconoscibili, pittura e fotografia, un gioco tra forme mediali, con i tratti tipici di queste. L’osservatore si trova quindi a riconoscere una fotografia pur non essendone certo e non avendo in realtà avuto esperienza della fotografia in sé.
Analisi di «Onkel Rudi»
Con il quadro Onkel Rudi, Richter va a colpire il cuore della Germania nazista, colpevole di orrori facenti parte di quella che possiamo definire macrostoria, avvicinando però provocatoriamente la storia, anche affettiva, della sua famiglia (microstoria). Si confronta con la generazione dei padri, appena precedente a lui, e si interroga su come mantenere e diffondere la memoria. La fotografia da sola non basta, non è un documento storico utile a elaborare la memoria, ne è solamente supporto. Solo nel montaggio tra differenti media può emergere un lavoro memoriale ed elaborativo.
Il quadro è suddiviso in piani. In esso ogni elemento presente è fondamentale. Un’architettura ordinaria e ordinata (razionalista) rimanda al rapporto tra uomo e architettura, organico e inorganico. Il soggetto protagonista è definito dall’autore stesso il “nazista di famiglia”, a indicare la larghissima adesione del popolo tedesco al totalitarismo nazionalsocialista. La sfera privata è accentuata dal titolo, ma contrapposta alla divisa della Wehrmacht e all’edificio, che sono invece elementi pubblici. Si contrappongono in tal modo le sfere individuale e sovraindividuale, collettiva.
Leggi anche:
L’iconografia di Salomè, seducente danzatrice
A una lettura plastica dell’opera, la verticalità della figura si scontra con le interruzioni, gli elementi orizzontali che, mediante le sbavature operate dal pittore, invadono lo spazio del soggetto. In modo simile, alcuni elementi del soggetto stesso vanno a dialogare con elementi delle strutture orizzontali, si allineano, come per esempio i bottoni della divisa e le finestre dell’edificio. Le categorie non rimangono separate ma si fondono, formando un corpo unico.
Richter usa la pittura per mostrare la dissolvenza di quest’uomo nella collettività, svelando l’artificio messo in atto dal Nazionalsocialismo: costruire un parassita esterno per compattare il corpo della nazione tedesca. Una delle forme di potere del regime totalitario è la promessa all’individuo mortale di essere accolto, inglobato nel corpo del popolo, potenzialmente immortale, eterno, attraverso il sacrificio della propria individualità ma anche della propria vita. Questo quadro è la messa in scena dell’incorporazione dei totalitarismi.
Richter inserisce l’unheimlich, il perturbante, l’insistente ritorno di qualcosa che dovrebbe rimanere
nascosto. L’artista lavora molto su questo concetto, cerca con la pittura e l’atlante di far emergere il rovescio di elementi e oggetti, scene quotidiane, del comfort. L’universo della casa, dell’intimità non può essere separato dalla violenza, anche nella guerra ma, anzi, alle volte ne è fulcro.
A proposito di Gerhard Richter
Gerhard Richter nasce a Dresda, poi divenuta parte della Germania dell’Est, il 9 febbraio 1932. Il padre è un maestro elementare, mentre la madre lavora in una libreria. A Dresda vive sino agli inizi degli anni ’60 e frequenta l’Accademia, apprendendo un’arte basata sul Realismo socialista. Nel 1959, tuttavia, visita la Biennale di Venezia e conosce avanguardie artistiche come Astrattismo e Pop Art. È anche questo incontro a spingerlo a fuggire nella Germania Ovest, prima ad Amburgo e poi a Düsseldorf, con la moglie.
A Düsseldorf frequenta l’Accademia di Belle Arti in cui insegna Joseph Beuys, tra i massimi artisti tedeschi e internazionali dell’epoca. Nella Germania Federale si avvicina a correnti artistiche come Neo Dada, Fluxus ed Espressionismo Astratto, che caratterizzeranno la sua arte successiva, anche se manterrà sempre un’impronta molto personale e variegata tra gli stili. Sempre a Düsseldorf ha l’occasione di esporre la sua prima personale nel 1964, incamminandosi per una strada che lo porta poi negli anni ’70 (e oltre) al successo internazionale.
Leggi anche:
Lo «Sposalizio mistico di Santa Caterina» di Francesco Verla a Schio
Per quanto Richter abbia esplorato varie forme d’espressione artistica, quella certamente più rappresentativa della sua opera rimane la pittura, e in particolare la prima fase, il primo stile, ovvero quello dei ritratti pittorici-fotografici. Gerhard Richter è un artista che si interessa a questioni di memoria, storica e non, e questo rende diretto il collegamento alle due forme d’arte che più di tutte, forse, sono in grado di testimoniare il presente: la pittura e la fotografia, appunto.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!
Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!