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Agrodolce, imperfetta, disperata come la periferia

Dalla newsletter n. 27 - aprile 2023 di Frammenti Rivista

4 minuti di lettura

Parlare di periferia in letteratura vuol dire, prima di ogni cosa, parlare di Pier Paolo Pasolini, giornalista e scrittore che sapientemente le definì come «la corona di spine che cinge la città di Dio».

Non è stato forse lui il primo a parlare di periferia? No, ma è stato il primo a evidenziare il modo in cui la periferia diventa l’origine della realtà. Sono un luogo di contaminazione e costruzione di una verità percepita in modi diversi, una storia corale in cui è tutta una questione di natura, e la narrativa negli anni ha trovato in questo uno spazio ideale di racconto.

Racchiudono sentimenti difficili, complicati, come la rabbia o l’omertà, i suoi abitanti sono divisi dal desiderio di scappare o dal bisogno di distruggere tutto ciò che hanno intorno. La natura della periferie che emerge dai romanzi dell’ultimo ventennio è molto diversa, nel suo atteggiamento, dall’immagine che abbiamo degli anni Cinquanta.

Nonostante non sia nato nella città di Roma, Pier Paolo Pasolini riuscì a descriverne le periferie in maniera minuziosa. Nelle suo opere analizzò le borgate, la loro lingua e la loro vitalità; la periferia romana era per lui un viaggio di ricerca e scoperta, fonte d’ispirazione dei suoi romanzi. I Ragazzi di vita (Garzanti, 1955) di Pasolini sono ragazzi allo sbando, con lavori arrangiati, che non perdono mai l’occasione per poter rubare un portafoglio pieno di soldi. Riccetto – il protagonista – come tanti suoi amici è privo di punti di riferimento, senza una mappa emotiva in grado di guidarlo fino a Roma, accecato dal paesaggio di rabbia e degrado.

Il Riccetto cantava: “Quanto sei bella Roma, quanto sei bella Roma a prima sera”, a squarciagola, completamente riconciliato con la vita, tutto pieno di bei programmi per il prossimo futuro, e palpandosi in tasca la grana: la grana, che è fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione di questo zozzo mondo.

La povertà e la disperazione che trasudano da questo romanzo fanno parte di una massa di persone che ormai non guardano in faccia a niente e nessuno. Una delle sensazioni più immediate, durante la lettura, è che si stia assistendo alla storia di adolescenti che non sono mai stati bambini. In loro non c’è la voglia di giocare innocentemente, nessuno di loro è ingenuo, ma chi è stato a uccidere la loro infanzia?

Un romanzo che è un’accusa mirata al mondo borghese omertoso che si è venduto al consumismo di chi vede e non fa nulla.

Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Fingo di essere una scrittrice, un’editor e una giornalista, in realtà sono solo una lettrice compulsiva in overdose da JD Salinger, Raymond Carver e Richard Yates.

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