di Aurelio Lentini
42 anni fa c’è un uomo in maniche di camicia asserragliato in una stanza. Sembra un film eppure il suo volto è segnato da un’ansia più che reale, in testa ha un elmetto da minatore, tra le mani ha il fucile che gli ha regalato il suo amico Fidel, a lui che non ha mai amato sparare.
Salvador oggi non sembra un presidente ma un guerrillero che ha appena conquistato il palazzo del potere, che strano, gli pareva di avercela fatta. Invece il Potere è venuto a stanarlo, proprio nel Palazzo del Presidente di Santiago del Cile. Ma Salvador non si arrende, non si fa trovare giacca e cravatta con le mani dietro la testa, si nasconde tra le poltrone e aspetta che quella canaglia di Javier apra la porta (n.d.r liberamente interpretato dal racconto di Gabriel Garcia Marquez – La vera morte di un presidente)
Era l’11 settembre del 1973 quando Salvador Allende, primo presidente marxista dell’America Latina democraticamente eletto, morì crivellato di colpi al culmine del golpe ordito dal generale Augusto Pinochet. Ma prima che i fascisti lo riempissero a turno di pallottole e gli sfondassero la faccia con il calcio del fucile, Salvador era già morto affidando a un comunicato radio le sue ultime parole. (Leggi qui:Ultimo discorso di Allende nella versione integrale riportata dal sito dell’Anpi)
Insieme ad Allende, quell’11 settembre, veniva spazzato via il governo socialista della coalizione Union Popular che aveva vinto le elezioni appena due anni prima. La sua colpa, prima di tutto, era di essere espressione di una politica assai lontana dagli interessi geopolitici degli Stati Uniti, che in Cile avevano inoltre cospicui interessi economici.
«Non permetteremo che il Cile finisca nel canale di scolo» sono le parole che l’allora segretario di stato Henry Kissinger rivolse al direttore della Cia Richard Helms il 12 settembre del 1970. Pochi giorni dopo il presidente americano Richard Nixon ordinava il sabotaggio economico del Cile, per abbattere il neonato governo socialista. I tentativi di destabilizzazione non furono però solo economici e l’intelligence americana collaborò nell’addestramento e nel rifornimento dei gruppi paramilitari fascisti vicini alla destra.
Ciononostante Allende riuscì comunque a muovere i primi passi sulla via cilena al socialismo, che per il suo carattere pacifico fu soprannominata «rivoluzione con empanadas e vino rosso».
I punti chiave delle riforme attuate durante la presidenza di Allende riguardarono le nazionalizzazioni delle industrie, tra cui quella delle miniere di rame è sicuramente una delle più importanti (e che va a colpire direttamente due industrie americane Kennecott e Anaconda); la riforma agraria; la nazionalizzazione delle banche, delle compagnie di assicurazione e, in generale, di tutte quelle attività che condizionavano lo sviluppo economico e sociale del paese.
Insieme a queste riforme si diede inizio a un programma di politiche sociali fino ad allora sconosciute in Cile: furono introdotti la garanzia di mezzo litro di latte ad ogni bambino, incentivi all’alfabetizzazione, l’aumento dei salari, alcune tutele sociali, il prezzo fisso del pane, la riduzione degli affitti, la distribuzione gratuita di cibo agli indigenti e l’aumento delle pensioni minime. Il governo si impegnò in un vasto programma di lavori pubblici e di incentivi al settore agricolo, nel rinnovamento del sistema sanitario, nella promozione di una vasta politica culturale e nella lotta per i diritti delle donne.
Il risultato fu che il cappio intorno al collo del neonato governo cileno venne stretto sempre di più e la tensione continuò a salire impedendo la stabilizzazione del paese.
Dopo il fallito tentativo di sfiduciare Allende in parlamento e la denuncia della Corte Suprema del Cile vi fu un primo colpo di stato il 29 giugno 1973, ordito dal colonnello Roberto Souper, che circondò con il suo reggimento La Moneda con l’intento di deporre il governo di Allende. Il colpo di Stato è conosciuto come Tanquetazo o golpe dei carri armati e fallì per l’intervento del generale Carlos Prats, fedele ad Allende.
Così, nell’agosto del 1973 gli avversari politici di Allende si appellarono ai militari perché facessero rispettare l’ordine costituzionale e sempre nell’agosto il Generale Prats fu costretto a dimettersi in seguito a un incidente, venendo sostituito da Augusto Pinochet, reputato fedele da Salvador Allende nonostante gli avvertimenti di Fidel Castro riguardo alle infiltrazioni della destra cilena nell’esercito.
In risposta alle accuse delle opposizioni di non rispettare la prassi costituzionale, il 24 agosto Salvador Allende denunciò il fatto che il Congresso stava invocando l’intervento delle forze armate e dell’Ordine contro un governo democraticamente eletto e subordinando alle istituzioni armate la rappresentanza politica della sovranità nazionale.
Con l’inizio di settembre però la crisi economica conobbe un momento di massima a causa dell’alto tasso di inflazione e della penuria di materie prime, dovuto al boicottaggio. Il paese fu spinto dalle opposizioni sull’orlo di una guerra civile, che solo i saldi principi di Allende scongiurarono, e fu fatta circolare la voce che il presidente si preparasse a un auto-golpe per instaurare la dittatura comunista. L’11 settembre l’esercito attaccò quindi Santiago, cogliendo il presidente alla sprovvista, bombardando La Moneda e arrestando o uccidendo gli oppositori. Le forze armate cilene guidate dal generale Augusto Pinochet misero quindi in atto il piano del golpe contro Allende, e il generale Javier Palacio entrò in quella stanza dove lo aspettava il presidente compagno presidente.
«Altri uomini» – disse Allende nel suo comunicato prima di morire – «supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! […] ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano, ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento». 1
Forse quei paesi, Cile compreso, che oggi si affacciano al XXI secolo spinti dal vento di una nuova solidarietà (e che resistono alle ancora forti ingerenze esterne), sono mossi dalle sue stesse speranze. Perché i sogni non si ammazzano mai, e magari un giorno riusciremo a passeggiare tra quei viali di uomini liberi sui quali anche Salvador avrebbe voluto camminare.
Viva il Cile! Viva il popolo, viva i lavoratori!
[…] Viento del exilio (Vento dell’esilio) ci parla di Salvador Allende, cui dedica versi struggenti: «per ammazzare l’uomo della pace / per colpire la sua fronte […]