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Carlo Coccioli. Fonte: www.lindau.it

(Ri)scoprendo Carlo Coccioli: lo «scrittore assente» del Novecento italiano

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24 minuti di lettura

A cent’anni dalla sua nascita il 15 maggio 1920, è tornato in libreria l’autore italiano definito dai più «il grande rimosso del Novecento italiano». Un autore che lo scrittore Pier Vittorio Tondelli definiva uno «scrittore assente», mentre per il critico Carlo Bo era «lo scrittore alieno». Stiamo parlando dell’autore livornese Carlo Coccioli (1920-2003), di cui la casa editrice torinese Lindau Edizioni ha deciso di pubblicare tutta l’opera. 

Gli ha dedicato, infatti, una collana dal nome Piccolo Karma, inaugurata il 21 maggio con la pubblicazione dei primi titoli, Il cielo e la terra (1953) e L’erede di Montezuma (1964). Tra giugno e luglio, invece, sono stati pubblicati Uomini in fuga (1972), Budda e il suo glorioso mondo (1989), Le corde dell’arpa (1967) e Piccolo Karma (1987). 

All’autore, rimasto sempre fuori dal canone della letteratura italiana, sono stati dedicati recentemente molti articoli di giornale, scritti da scrittori e critici come Demetrio PaolinLuca ScarliniAlberto Casadei e Fulvio Panzeri. Vale la pena ricordare anche la pubblicazione per i tipi di Bompiani di Grande karma. Vite di Carlo Coccioli, romanzo di Alessandro Raveggi, scrittore e studioso dell’autore livornese, pubblicato lo scorso 8 luglio, in cui il protagonista si mette sulle tracce del grande rimosso del Novecento italiano viaggiando tra Messico, Firenze e Parigi.

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Carlo Coccioli. Fonte: www.lindau.it

Carlo Coccioli: vita e opere di uno scrittore irregolare

Chi era Carlo Coccioli? Cattolico, omosessuale, studioso di religioni orientali e lingue camito-semitiche, decorato con la medaglia d’argento al valore per la sua partecipazione alla Resistenza in Toscana e grande amico di Curzio Malaparte e Jean Cocteau, Carlo Coccioli è stato un autore che tanto ha fatto parlare di sé.

Nelle sue opere, infatti, ha affrontato temi molto scomodi per la società di allora, entrando spesso in conflitto con scrittori come Alberto Moravia e Guido Piovene, rappresentanti di una certa letteratura borghese (il primo di sinistra, il secondo più moderato) non avvezza alla sua complessità e inquietudine metafisica. Uno scrittore, perciò, lontano dal canone letterario italiano di allora.

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La vita di Carlo Coccioli è stata molto avventurosa, sempre in continuo movimento, seguendo la sua inquietudine alla ricerca di un altrove dove realizzarsi. È cresciuto in Cirenaica, dove il padre Attilio era di stanza come soldato, ha studiato a Fiume, si è laureato a Roma, ha combattuto la resistenza in Toscana e viaggiato a Parigi, dove si recherà dopo lo scandalo suscitato in Italia dalla pubblicazione nel 1952 di Fabrizio Lupo, a Città del Messico, che diventerà la sua seconda casa, dove morirà nel 2003, e in America, nella città di Laredo, in Texas.

Una vita errante, così come la sua opera, mai uguale a se stessa e con romanzi che affrontano temi sempre diversi: omosessualità, fede cattolica e inquietudine metafisica, fino all’animalismo e all’avvicinamento alle religioni orientali, tra cui ebraismo e buddhismo. Un’opera composta da romanzi che l’autore traduceva da sé in francese e spagnolo, fino addirittura a scrivere intere opere in queste due lingue.

Tra i romanzi più famosi ricordiamo: i già citati Fabrizio Lupo, un’opera in cui il protagonista omonimo affronta il suo dilemma tra fede cattolica e omosessualità, e L’erede di Montezuma (1964), che racconta la caduta dell’impero azteco dal punto di vista di Cuauhtemoc, figlio di Ahuizotl ed erede, dunque, di Montezuma; Uomini in fuga (1972), un antesignano della forma romanzo-saggio che affronta il tema degli Alcolisti Anonimi; Requiem per un cane (1973), ispirato alla morte di un vecchio cane, Fiorello, dalla cui vicenda l’autore parte per fare introspezione sul suo percorso di scrittore e uomo; Davide (1976), riscrittura della celebre figura biblica che vale al suo autore il Premio Selezione Campiello; e Piccolo Karma (1987), opera che dà il nome alla collana dedicata allo scrittore livornese e che affronta l’esperienza dell’autore con le sue religioni, dal cattolicesimo al buddhismo.

«Il cielo e la terra»: il romanzo dell’inquietudine metafisica

Il romanzo su cui ci concentreremo in questo approfondimento su Carlo Coccioli è Il cielo e la terra, romanzo scritto ad Arcetri tra il 1948 e il 1949 e pubblicato nel 1950 da Vallecchi, con un’edizione rivista dall’autore nel 1971. 

Copertina de “Il cielo e la terra” di Carlo Coccioli, a cura di © Lindau Edizioni

Questo romanzo si mostra al lettore come un’agiografia fittizia di Don Ardito Piccardi, soprannominato da chi l’ha conosciuto «il prete santo». Una figura di cui il lettore leggerà la vita dal 1927 al 1943 attraverso diari, relazioni scritte, lettere dello stesso protagonista e una testimonianza diretta del medico di Chiarotorre, paese di montagna in cui Don Ardito esercita la funzione di sacerdote. Il contesto storico è quello del fascismo, della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza partigiana, le cui vicende a poco a poco si intrecciano con quelle di Don Ardito.

Quella di Don Ardito è una figura molto interessante, anche per quanto riguarda la sua fede religiosa. Nutre fin da giovane il desiderio di diventare prete dopo aver assistito all’esorcismo di Luisella Falcucci, con l’intenzione di «vincere Satana». Una volta diventato prete, Don Ardito cerca in tutti i modi di convincere i fedeli a non farsi ingannare da Satana, arrivando addirittura a invitare i fedeli a restare poveri, oppure a continuare a soffrire, poiché egli si cela nell’orgoglio del benessere di noi stessi.

Di questo personaggio Carlo Coccioli ritrae bene «il fuoco della santità» non solo attraverso il suo nome (Ardito ricorda l’ardore, il fuoco della passione), ma anche attraverso parole appartenenti al campo semantico del fuoco. Da ricordare gli «gli occhi brucianti», che a volte brillano di una luce meravigliosa, oppure il fuoco che gli arde dentro e che gli dà l’idea di essere folle.

Il prete santo, però, scoprirà ben presto, attraverso un cammino di conoscenza – eco del buddhismo che sarà tanto caro a Coccioli fino alla sua morte – che l’unico modo per poter amare Dio in ogni uomo è passare per Satana, per il peccato, accettando così il dolore e la sofferenza. Accettare, dunque, di:

«[…] non rinunciare a nessuna delle cose che sono in noi, e che non sono né cervello né l’anima. Come dire? Il fatto di rimettere qualcosa agli altri, e a certe oscure presenze che sono in noi.. Il senso dell’assoluzione… […] Sì, il cristiano ama…ma il cattolico ama di più. Non ama solamente il Bene, ciò che è buono.; ama anche il Male. Senza saperlo, ma credo che l’ami. Il cattolico…è un uomo»

Una posizione, questa, che sicuramente ha suscitato molto scalpore negli ambienti cattolici e culturali dell’epoca in cui questo romanzo è stato pubblicato, ma che dimostra l’ingegno e la modernità del pensiero di Carlo Coccioli. La fede qui delineata da Carlo Coccioli, dunque, unisce al cattolicesimo elementi del buddhismopassando per un’inquietudine e un credo quia absurdum tipicamente kierkegaardiani.

Con un linguaggio novecentesco (basti pensare a espressioni come «giuoco», «apersero», «sonare» o «di dove vieni») ma dal ritmo e respiro molto contemporanei, Carlo Cocccioli ci consegna il ritratto moderno di un uomo cattolico in continua lotta con i suoi dissidi interiori, un uomo che per amare se stesso e gli altri giunge alla conclusione di dover abbracciare il Male e il peccato.

Il cielo e la terra, dunque, è un romanzo che mostra la fragilità di ogni essere umano e la forza che il Male e la sofferenza hanno su di noi, ma che sono necessari per una piena esperienza della dimensione metafisica dell’altrove.

Qualche domanda a Lindau Edizioni

Per comprendere al meglio il progetto Piccolo Karma, il romanzo Il cielo e la terra e il suo autore Carlo Coccioli, abbiamo pensato di rivolgere qualche domanda a Ezio Quarantelli, direttore editoriale di Lindau Edizioni.

Lindau Edizioni offre un catalogo molto variegato: non solo saggistica, in particolare su cinema, scienza e religione, ma anche narrativa. La casa editrice pubblica, infatti, autori classici e contemporanei, sia stranieri, come Henry James, Natsume Soseki, Knut Hamsun, Wendell Berry, Pablo Simonetti ed Edurne Portela, che italiani, riportando in libreria autori come Giovanni Arpino, Lalla Romano, Iginio Ugo Tarchetti e Camilla Salvago Raggi. Quest’anno, a cent’anni dalla nascita, torna in libreria Carlo Coccioli, un autore eclettico e molto particolare, rimasto per molto tempo fuori dal canone letterario italiano. Come mai questa scelta?

Perché a nostro avviso è uno dei più grandi autori del nostro ‘900, rimasto ai margini (nel discorso della critica, non certo nel gradimento del pubblico) per ragioni essenzialmente “politiche”: si è sempre tenuto lontano da gruppi e coventicole, e ancor più dai salotti. E ha sempre seguito la propria ispirazione, negandosi alle varie “militanze” a cui si è prestata la società letteraria italiana.

Avete deciso di dedicare un’intera collana a Carlo Coccioli chiamandola “Piccolo Karma”, dal nome dell’omonimo romanzo dell’autore livornese del 1987. Come mai avete deciso di chiamarla così? In che modo Piccolo Karma rappresenterebbe tutta l’opera di Carlo Coccioli?

Innanzitutto la scelta è in relazione alla piccola impresa editoriale che il nipote di Carlo Coccioli, Marco, aveva fondato per mantenere viva l’opera dello zio. E poi comunque è vero che Piccolo Karma contiene, sia pure in maniera sintetica e frammentaria, un po’ tutto l’universo dello scrittore, le sue passioni e le sue ossessioni, le grandi domande metafisiche ecc. ecc.

Come si configurerà la pubblicazione delle opere di Carlo Coccioli? Pubblicherete anche le opere scritte in francese e spagnolo? Se sì, come penserete di tradurre Carlo Coccioli da queste lingue all’italiano, sapendo che non sarà più l’autore a tradurre di suo pugno i testi, bensì un’altra persona, che dovrà riprodurre il suo stesso modo di scrivere?

La nostra idea è di pubblicare tutta la sua opera, e dunque anche quelle opere che sono nate in altre lingue e che non ha lui stesso tradotto. Il problema della traduzione è quello che si presenta per ogni opera letteraria straniera, nessuna esclusa.

Concentriamoci adesso su Il cielo e la terra (1950), uscito in libreria il 21 maggio assieme a L’erede di Montezuma (1964). Nella lettera a Curzio Malaparte del 23 agosto 1949, lo scrittore livornese definisce Il cielo e la terra «un romanzo […] che nessuno in Italia avrebbe potuto scrivere. […]; un romanzo cattolico che dovrebbe fare un po’ di chiasso…». Il romanzo, però, sembra fare chiasso non solo in materia di cattolicesimo, ma anche nei confronti del neorealismo, poiché Coccioli, come ha ricordato Alessandro Raveggi a Fahrenheit Radio 3 nella trasmissione del 14 maggio, rappresenta in questo romanzo la Resistenza in maniera diversa dalle tendenze dell’epoca. Che cosa di questo romanzo esattamente ha fatto chiasso come romanzo cattolico? E in cosa si differenzia il modo di Coccioli di affrontare la Resistenza da quello di autori come Pavese, Fenoglio, Vittorini o Pratolini, quest’ultimo criticato esplicitamente da Coccioli nella lettera a Malaparte?

Credo che a questa domanda potrebbe rispondere assai meglio di me un critico letterario, se prima o poi qualcuno del mestiere decidesse di studiare seriamente l’opera di Coccioli.

In un’altra lettera a Curzio Malaparte, datata 8 dicembre 1949, lo scrittore livornese scrive: «Vuole che le dica il nome di ciò a cui credo? Amore, semplicemente. Amore in tutte le forme, con tutti i visi: sacro, profano, d’una donna, d’un amico… Amore che spesso viene a coincidere col sesso in senso lato: quindi pansesso, o per meglio dire, panerotismo…». Ciò si ricollega al tema dell’omosessualità, con cui Coccioli si è sempre confrontato, e che ne Il cielo e la terra riguarda Alberto Ortognati, nobile nipote del marchese Leopoldo Gaddi, il quale vive la sua vera natura in maniera molto conflittuale. Non riuscendo ad accettare la sua omosessualità, giunge alla consapevolezza che «soffrire tutto di nuovo: riviverlo! Ivo, i mei fangosi desideri, il mio sangue, il mio sesso. […] il mio sforzo verso il Male si tradusse in una parola sola, un nome che lo negava: «Maria!». Considerando che nella lettera a Malaparte Coccioli aggiunge che l’amore si trova anche in Cristo e nella Chiesa, a cosa è dovuto questo conflitto irrisolto di Alberto? Quanto di Carlo Coccioli possiamo trovare in questo rapporto contrastante di Alberto tra la fede e la propria natura?

Non c’è dubbio che Coccioli per molti anni ha vissuto la propria omosessualità in modo tormentato, a tratti drammatico. Questo non deve stupire. Forse soltanto negli ultimi tempi si è cominciato ad accettarla davvero, come una normale variante del comportamento umano. Per altro in Tutta la verità Coccioli sembra esser giunto a considerare la propria omosessualità quasi come una particolare forma di “elezione”, come un dono che gli ha permesso di sviluppare uno sguardo e una sensibilità più sottili.

In Tutta la verità (1995), volume contenente conversazioni con il giornalista messicano Gabriel Abramson, Carlo Coccioli ricorda il plagio de L’esorcista (1971), celebre romanzo horror di William Blatty. Molto evidente era, infatti, la somiglianza tra i personaggi di Regan MacNail e Luisella Falcucci de Il cielo e la terra. Coccioli dà ad Abramson la seguente motivazione per non aver fatto causa a Blatty: «Io a quell’epoca avevo ben altre possessioni». Se, infatti, Blatty era interessato a trovare un modo per sconfiggere l’irrazionalità del male, Coccioli sembra essere posseduto da quella che Don Ardito definisce «frattura», vale a dire la lotta contro se stesso per comprendere e accettare il Male, affermando che «quando non si può evitare un male, è meglio accettarlo; lottare contro un nemico per sua natura invincibile è da stolti». Don Ardito accetta il paradosso kierkegaardiano della fede: accetta, quindi, l’irrazionalità del Male come parte della sua anima, qualcosa di necessario per fare anche il Bene. È questa, dunque, una delle sue possessioni di allora? L’angoscia nella conciliazione di Bene e Male? E quali sono le altre possessioni a cui Coccioli fa riferimento?

Credo che Coccioli si riferisca sia a questioni strettamente personali sia alla sua costante ansia metafisica. Quanto al rapporto fra Bene e Male, con esso siamo al cuore di uno dei grandi dilemmi dell’umanità, che forse solo in Oriente trova una soluzione. Ed è proprio all’Oriente che Coccioli finirà per rivolgersi.

Carlo Coccioli sembra aver disseminato ne Il cielo e la terra elementi tipici del buddhismo, a cui si avvicinerà sempre più verso gli anni Ottanta. Tra questi la migrazione dell’anima e il cammino verso la conoscenza della realtà. Nelle fittizie Proposizioni sulla Speranza, «il prete santo» Don Ardito scrive: «ogni essere umano corre incessantemente verso una meta ch’è poi lo scopo supremo (supremo per l’istante) della sua vita: l’ultimo e il migliore. […] non tanto la meta conta, non tanto il traguardo, quanto il cammino che si percorre per raggiungerla». C’è da considerare anche il ricorrere frequente della metafora della ruota, che tanto ricorda il Samsara buddhista, il ciclo di vita, morte e rinascita, e che si ricollega, dunque, al tema della migrazione e dell’inquietudine metafisica. Se da un lato tutto sembra ruotare attorno a Don Ardito, egli è a sua volta il raggio di una ruota (o meglio, uno scopo) più grande, attorno a cui si muove incessantemente per poterla meglio comprendere, quella del «giuoco», elemento che ricorda l’illusione maya. Il «giuoco» altro non è che la volontà superiore che ci espone al Male e ci porta ad accettarlo in quanto parte integrante della nostra anima. È giusto dire che Carlo Coccioli sia riuscito a dare una risposta ai suoi conflitti interiori coniugando il cattolicesimo con il buddhismo? In che modo, allora, il buddhismo ha contribuito a superare questi contrasti?

Il buddhismo rappresenta una soluzione perché invita a trascendere qualunque forma di dualismo. L’osservazione profonda della realtà porta a superare i contrasti e a cogliere l’interconnessione di ogni fenomeno.

Omosessualità, l’inquietudine metafisica, il Male come parte dell’esperienza umana, l’incessante ricerca dell’altrove. Tutti temi molto forti ai tempi di Coccioli, irregolari come l’autore livornese, ma molto attuali, e che mostrano la grandezza di questo scrittore ingiustamente dimenticato. Perché, quindi, i lettori di oggi dovrebbero leggere Carlo Coccioli? Che cos’ha ancora da dire alla contemporaneità?

La contemporaneità… Certe volte mi domando in che cosa davvero consista. Il mondo è grande (ancora oggi) e così vario… Io penso che Coccioli parli agli uomini di ogni tempo, come ogni grande scrittore.


Ringraziamo Ezio Quarantelli, direttore editoriale di Lindau Edizioni, per aver risposto alle nostre domande su Carlo Coccioli e la collana Piccolo Karma. Allo stesso tempo, ringraziamo tutta la redazione della casa editrice torinese, in particolare l’ufficio stampa Andrea Sirna, il cui contributo è stato importante nella realizzazione di questo approfondimento.

 


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Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.