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Sorrentino

Scrivere un post acido su Sorrentino non trasforma in critici cinematografici

Dalla vittoria dell'Oscar per il suo ultimo film non cessa di essere il regista italiano più discusso del cinema nostrano. Da dove provengono le critiche?

6 minuti di lettura

Dalla vittoria dell’Oscar per La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino non cessa di essere il regista più discusso del cinema nostrano. Celebre ormai in tutto il mondo, la sua fama oscilla tra la gloria e il disprezzo: non manca giorno che qualcuno dica la sua sul suo ultimo film o la sua ultima serie TV, che non lo si accusi di vuoto virtuosismo registico, che non si prenda parte alla schiera di chi lo elogia o chi lo traduce in un falso mito del grande schermo.

Ultimo oggetto delle discussioni, reali o cybernetiche, è il suo film Loro, diviso in due parti, che racconta la storia di Silvio Berlusconi, il più controverso politico della storia italiana.

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Ma, già in passato, le opere di Sorrentino hanno fatto discutere: dal meritato/non meritato Oscar per La Grande Bellezza alla noia/lenta bellezza di Youth, dal tono monocorde/trama riflessiva di Le Conseguenze dell’Amore al riciclaggio scenico/esperimento televisivo di The Young Pope, la serie TV prodotta da Sky.

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Fonte: wikipedia.it

Che il regista non sia un convenzionale è risaputo: gran parte della sua cinematografia si allontana dal classico impianto registico contemporaneo, sfociando in un surrealismo che certo non dà allo spettatore un immediato senso di linearità, ma lo trascina, complice o meno, in un oceano di possibili interpretazioni. Scelta facile, dirà qualcuno: sostare sul vago rende anche la pochezza più attraente. Allora si mettono in dubbio quei silenzi, quelle scene dal gusto altisonante che trasudano una sacralità ostentata, quelle inquadrature dal taglio inusuale.

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Eppure siamo certi che il nonsense apparente di Sorrentino sia un nostro limite più che il suo?

Certamente si tratta di lecito interrogativo da porsi, soprattutto quando sul cinema di Sorrentino si spara a zero pur non avendo mai studiato regia. Ma la stragrande maggioranza di chi si ostina a criticare non lo sa e non esita a sottolineare le lentezze, le trame banali, i dettagli apparentemente superflui dei suoi film. E non si tratta di restare nell’alveo del gusto, perché, in tal caso, ci si limiterebbe a parlare per soggettivismi, senza stroncare con la convinzione dell’assoluto lungometraggi di due ore, o più, in post da 130 caratteri. Qui la libertà di espressione non c’entra: a essere oggetto della discussione è la libertà o meno di poter denigrare pur non sapendo.

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Come in ogni campo, infatti, la possibilità di dire la nostra ci ha reso tuttologi, fieri portatori di un giudizio definitivo. Resi consci di essere letti, anche se da i poco più di venti contatti che abbiamo tra gli amici Facebook, ridicolizziamo con cinismo per sentirci ancor più autorizzati a essere poco veri. Poco veri perché, da qualche parte sotto quel manto di edonismo che ci ha reso finti esperti, sappiamo di saper poco, o forse nulla, di quello di cui parliamo.

E di Sorrentino diciamo tutto: osanniamolo, disprezziamolo, ma non contestiamo, con lo sdegno dei finti consapevoli, le sue oggettive capacità registiche. Non risulterà difficile: basterà tener per sé un giudizio sprezzante o tradurre, in uno schema logico di argomentazioni, la propria idea su di un film. Oppure, ancor meglio, esporre la propria idea in un contesto che sia più consono alla dialettica e dove il finto ventaglio di idee che offrono i social non limiti la propria idea delle cose all’autoesaltazione narcisistica per i like dei propri proseliti da tastiera. È arduo riuscire a farlo: indirizzare la propria critica verso un’argomentazione valida che sfugga dal vuoto cinismo e dal basico disprezzo di un più veloce slogan cybernetico. Per iniziare basterà (si fa per dire) la felice presa di coscienza che parlare di qualcosa a un pubblico, reale o virtuale che sia, non fa di noi degli oratori legittimati dal semplice ascolto altrui: criticare un film non fa di me un critico cinematografico, giudicare un libro non fa di me un filologo, commentare un episodio politico non mi rende Enrico Mentana.

Facciamo questo sforzo che ci aiuterà a censurare nulla se non il superfluo: Sorrentino ce ne sarà grato, e forse chi non apprezza i suoi film smetterà di sentirsi obbligato a vederli per scriverci un post.

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Gianluca Grimaldi

Napoletano di nascita, milanese d'adozione, mi occupo prevalentemente di cinema e letteratura.
Laureato in giurisprudenza, amo viaggiare e annotare, ovunque sia, i dettagli che mi restano impressi.

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