Il ministro Lorenzo Fontana vive in un universo distopico, viaggia con un asciugamano nello zaino, il senso della vita è dettato da un vecchio signore barbuto seduto in un ristorante italiano, e ha con sé un libro con su scritto Niente panico. Panico per gli altri, tutti gli altri, non per lui. Nel suo universo parallelo, le famiglie arcobaleno, che non necessariamente devono essere famiglie, ma anche singoli, ragazzini, donne e vecchietti, non esistono. Le centinaia di migliaia di persone al Roma Pride non esistono, frutto della finzione mediatica. Come non esistono le sommatorie di tutte le persone scese nelle piazze e nelle vie delle città nei giorni seguenti, per tutto il Pride Month, non solo nella nostra piccola, incivile Italia, ma in tutto il mondo, dagli USA alla Russia – anche se indossavano le magliette delle nazionali di calcio che, guarda caso, ricordavano proprio i colori dell’arcobaleno. L’omosessualità non esiste, così parafrasa il signor ministro.
Essere o non essere?
Immaginiamo un giovane agli inizi della pubertà, riflesso in uno specchio, la fronte corrugata, una smorfia di disappunto sulle labbra. Si chiede Essere o non essere. Esistere o non esistere. Si mira e rimira. Che strano, penserà. Io esisto. Si dirà. Esiste come tutti i giovani picchiati perché gay. Basta googlare due parole sul più famoso motore di ricerca al mondo, per incappare in una carrellata di articoli di giornali, recriminanti e recriminatori, sul bullismo e le violenze vissute ogni giorno dagli omosessuali, giovani e meno giovani, per strada come in casa, sul luogo di lavoro come in una discoteca.
Diventa ossimorico allora l’aggravante perché gay se i benpensanti innalzano la fantomatica bandiera della tradizione. Ma quindi l’omosessualità esiste o non esiste? È o non è?
Contraddittorio il malmenare un ragazzino perché gay, puntando i piedi e urlando all’innaturalità e al disgusto, perché non può essere gay, non deve essere gay, ma lo è, anche se non esiste, anche se non deve esistere. Da perderci la testa.
Come perde la testa il nostro ministro degli Interni, Matteo Salvini, che anziché tutelare una buona fetta del popolo che governa, discrimina ulteriormente, crea profonde incrinature, lascia in balìa del male chi del male non ne ha mai fatto e chi, soprattutto, di male non ne vuole fare. Per Salvini è necessario tutelare tutti gli italiani. Ma deve essere una specie di italiano che gli compiace, di un candore unico, di una purezza morale cristianofila, esige certi dettami morali da perseguire, per essere un Buon Italiano, un Buon Cristiano, un Buon Padre. Quindi meglio che tu non sia troppo abbronzato, troppo povero, o troppo gay.
«Fino a quando io sarò ministro, gameti ed utero in affitto non esisteranno come pratica, sono reati. Difenderemo in ogni sede immaginabile il diritto del bambino di avere una mamma e un papà», così annuncia Salvini, a sostegno del ministro per le Politiche per la famiglia, a supporto della crociata contro la maternità surrogata e ai riconoscimenti genitoriali alle coppie dello stesso sesso.
Torniamo indietro. Ancora più indietro. Sempre più indietro. Eppure, lo sapevamo. Lo dovevamo immaginare.
Il peccato primo: il silenzio
L’appello di Roberto Saviano è destinato non solo a tutta quella fetta di sinistra italiana che si sta richiudendo su stessa come un riccio, perché empia di parole e di messaggi da mandare e da recepire, contro un governo che lotta ogni giorno per eliminare i diritti umani, prima ancora che civili, che fa le riforme su Twitter, parafrasando una canzone, e che non è disposto a scendere a compromessi con tutto il resto d’Italia che non si riconosce nelle linee politiche decise. L’appello di Roberto Saviano è destinato ad ogni singolo individuo disposto a mettere in gioco sé stesso, il suo presente e il suo futuro, per rimarcare ciò che è giusto ed abolire ciò che è sbagliato, per quanto sottile sia la linea di demarcazione fra giusto e sbagliato.
Scrive Saviano: «Oggi le persone pubbliche, tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo mi sta bene. Ogni parola ha una conseguenza, certo, ma anche il silenzio ha conseguenze, diceva Sartre. E il silenzio, oggi, è un lusso che non possiamo permetterci. Il silenzio, oggi, è insopportabile.»
Il silenzio è insopportabile, di fronte ad un ministro che annuncia: Le famiglie arcobaleno non esistono. Ma signor ministro, forse ha ragione, non possono esistere in uno Stato che incita all’odio e non all’amore, alla compassione, all’umanità. Uno Stato che chiede Fede, che giura sul Testamento, che nomina Dio invano, e che permette all’uomo di morire per colpe che non gli appartengono, per reati che non ha commesso, per forze superiori che non può contrastare. E che, soprattutto, non deve contrastare, perché per lui deve esistere uno Stato che tuteli e che protegga.
Così la Casaleggio&Company si è piegata alla legge del più forte, ad un movimento che la xenofobia e l’omofobia l’ha sempre portata come faretto da innalzare in cielo contro l’oscurità, fonte di peccato e discordia. La Lega ce l’ha duro, diceva Bossi, riassumendo il messaggio emblematico che era vettore e scopo del movimento. Hanno tolto l’aggettivazione dal nome. La Lega ora comprende ogni terra camminabile del suolo italiano. E anche quella non camminabile, nel mare, dove muoiono tutti quelli senza nome e senza volto.
In questo governo di coalizione, mentre il modus operandi della Lega è istigare all’odio e provocare fratture, quello del Movimento Cinque Stelle è tacere, e le colpe ricadono su entrambe le teste con lo stesso, identico, peso.
La maternità surrogata
La maternità surrogata in Italia è vietata. Un’ampia discussione ha acceso gli animi sin dalla legalizzazione delle Unioni Civili, quando la stepchild adoption fu eliminata dalla legge e le coppie omosessuali dovettero chinare la testa di fronte alla decisione di non riconoscere la maternità o paternità del figlio del coniuge. E, di conseguenza, tutte le battaglie legali che hanno portato anche a vittorie, che hanno riaccesso la luce della speranza. Il cambiamento era in atto, il vento era in poppa e la barca veleggiava in acque inesplorate, per un Paese che di lotte vane ne ha vissute fin troppe. Un Paese che ha dovuto combattere a denti stretti per l’approvazione della Legge 194, quello stesso Paese che una mattina ha tristemente letto un cartellone pubblicitario nel cuore della Capitale che pronunciava in sequenza lettere degradanti: L’aborto è la prima causa di femminicidio. Inglobando, in poche parole, le peggiori ignominie che gravano sulla testa di questo Paese.
La questione etica
Dietro alla questione della maternità surrogata vi è la questione etica, di fondamentale importanza per lo Stato in cui viviamo. Un’etica plasmabile a proprio piacimento. La parola etica deriva dal greco antico, éthos, carattere, comportamento, consuetudine. In filosofia l’etica studia i fondamenti razionali che assegnano ai comportamenti umani uno status deontologico, cioè la distinzione primaria fra comportamenti giusti e leciti e quelli ingiusti e illeciti, secondo una data morale. Ancora una volta, un concetto ossimorico e contraddittorio, se pronunciato dalle stesse labbra che, perentorie, annunciano, stabilendo con una legge universale, che le famiglie arcobaleno non esistono. E, non esistendo, non avendo natura e modus essendi, non possono pretendere diritti, non possono nemmeno possedere doveri, non possono incappare in illeciti ed essere perciò giustiziati dinanzi ad una corte morale superiore. Come negare ciò che non esiste? Come combattere ciò che non è reale?
La questione umana
Il punto però è un altro, perché, signor Ministro, mi dispiace doverlo dire con queste parole, con questa crudezza e questa violenza psicologica intrinseca, ma le famiglie arcobaleno esistono. Da molto prima che venisse lei al mondo, fra l’altro. Esistono e hanno tenacia e giustizia, dalla loro parte, e scendono in piazza non solo nel Pride Month, ma tutti i giorni, sono in piazza, e per strada, e nelle case, e vivono nel suo stato civile, come vive lei, godono del suo stesso diritto di muoversi e parlare e dire e arrabbiarsi. Non le negano la libertà di pronunciare queste parole che feriscono, come ferisce un pugno in faccia ad un ragazzino che non sa spiegarsi il perché e non necessariamente deve capire, perché non ricade su di lui la colpa di essere. Ma la colpa ricade su quelli come lei, Signor Ministro, che simbolicamente muovono e spingono il pugno che colpisce e ferisce.
La questione politica
Diventa allora discordante e irriverente porre sullo stesso piano l’etica e la morale, filosofeggiando sul concetto stesso di morale, citando Aristotele e contrapponendo poi Nietzsche, perché alla legge è necessario adeguarsi, come cittadini, ma la legge è anche modificabile, come legislatori. La cultura, d’altro canto, è sempre stato l’unico e ultimo baluardo della sinistra. Quella stessa cultura che va perdendosi, nella mancanza di voci intellettuali che si alzino e che gridino, più di ogni altra cosa. Perché tali parole pronunciate dal Ministro della Famiglia devono essere inaccettabili e non possono essere rinchiuse in una bolla omertosa.
Perché, più di ogni altra cosa, non è più parlare di politica, se non nei termini di una politica autoritaria, avversa alla libertà individuale, prima ancora che civile, contraria al movimento e al cambiamento, quando le forze sono già in atto, quando già ci sono voci e volti e parole, e un Ministro è obbligato, per sua natura, in uno stato democratico, a tutelare i cittadini, tutti i suoi cittadini, anche quelli diversi da lui. Soprattutto quelli diversi.
Le famiglie arcobaleno
Le famiglie arcobaleno esistono, Ministro Fontana. E lottano contro di lei e contro quelli come lei, ogni giorno. Lottano per la libertà, per la pace, per la propria vita. Come lottano tutte le minoranze che il governo di questo Paese vuole schiacchiare, ridurre ai minimi termini, inventando retoriche prive di fondamento, trascinando le folle in un torpore intellettuale senza eguali, che non merita giusitificazioni, ma solo recriminazioni.
Sono quelle stesse famiglie che devono imbracciare metaforiche armi affinché venga riconosciuto loro il diritto di esistere anche sul suolo italiano, anche da un governo che combatte i deboli e aiuta i forti. Ogni cambiamento, nella storia politica e sociale del mondo, è avvenuto attraverso lotte. Quindi è di nuovo il momento di lottare. Per evitare che vi siano soggetti che neghino l’unicità e la particolarità individuale e che, peggio ancora, ledano le libertà altrui.