fbpx
Soliloquy 1999 © Shirin Neshat

Shrin Neshat: contrasti di potere

13 minuti di lettura

La fotografia iraniana ha percorso un lungo cammino verso il suo stato attuale. Dalla sua introduzione in Iran, l’arte e la scienza della fotografia si sono da subito intrecciate con la politica. Le continue evoluzioni del mezzo e dei concetti rappresentati è perfettamente in associazione con gli sconvolgimenti sociali, anche traumatici, degli ultimi due secoli.

Quella della storia e della fotografia hanno percorso, e percorrono, una strada parallela in tutto il territorio iraniano con una grande presenza delle artiste donne: questo risulta un punto chiave per poter leggere le immagini che provengono da quella che era l’antica Persia.

Nell’Iran odierno troviamo donne che utilizzano la macchina fotografica per esprimere ciò che altre donne non riescono a dire. Con i loro progetti, le donne iraniane riescono a raccontare storie di potere e di passione, di stereotipi difficili e pongono una visione femminile su questioni sociali e politiche dell’Iran contemporaneo.

Le artiste di oggi, del calibro di Shirin Neshat, esplorano l’identità, la narrazione, la femminilità, la rappresentazione e la guerra nella vita quotidiana, invitando in modo ampio a una riflessione visuale diversa sulle questioni di genere, sul Medio-Oriente e mettendo in discussione la comprensione di ciò che gli occidentali raccolgono su queste e altre questioni attraverso i media.

Retrocedendo sulla linea del tempo in Iran la fotografia come strumento visivo diventa potente e ben presto inizia a incitare grandi riflessioni socio-politiche e militari. Brevi ma significativi sono le esplosioni di produzione durante i periodi di rivoluzione e la guerra Iran-Iraq. Non solo fotografie, dipinti murali e manifesti sono stati utilizzati per la propaganda motivazionale rivolta a mobilitare l’opinione pubblica verso una guerra incomprensibile. Nella storia dell’Iran la fotografia è stata cruciale nella creazione di un particolare tipo di cultura visiva contemporanea post rivoluzionario e soprattutto del Medio Oriente.

Durante gli anni ’70 e ’80 i lavori dei fotografi di questi decenni sono state ignorati, o per lo meno, non sono state studiate nella maniera più adeguata per svariati motivi: in primo luogo, molte immagini cardine non sono facilmente accessibili e disponibili per essere studiate. Inoltre i divieti da parte del governo iraniano hanno vietato la pubblicazione della maggior parte delle immagini della rivoluzione e della guerra con l’Iraq.

Soliloquy 1999 © Shirin Neshat

Shirin Neshatnata a Qazvin, regione nell’Iran nord-occidentale nel 1957 è, per sua stessa dichiarazione, in esilio a New York dal 1974 a causa della rivoluzione iraniana. Dal 1979 non ha potuto far visita nella sua patria fino al 1990 e ancora dal 1996 ad oggi. Secondo la stessa Neshat la rivoluzione islamica del 1979 in Iran, ha portato molte donne iraniane a diventare «brainwashed and submissive».

Il suo è un vero e proprio racconto visuale di una donna, di tante donne che in lei trovano un modo vero e concreto di espressione. Le questioni di genere nel mondo islamico sono al centro sopratutto quando si tratta di indagare le varie dimensioni dell’esperienza delle donne nella società islamica contemporanea. Uno dei temi è quello di mostrare come la legge del velo obbligatorio in vigore dal 1983 abbia posto importanti limitazioni sulle donne iraniane sia nei luoghi pubblici che privati.

Neshat è la quarta di cinque figli di un medico e una casalinga. Il padre ha incoraggiato ognuna delle sue figlie a «essere un individuo, a correre dei rischi, per imparare, per vedere il mondo» e ha permesso loro di avere un’istruzione superiore. Dai nonni invece impara il valore religioso tradizionale.

Anni più tardi Neshat lascia il suo paese per studiare arte a Los Angeles. La rivoluzione iraniana è alle porte e Neshat riesce a sfuggire al suo dilagare. Circa un anno dopo la rivoluzione, Neshat si è già spostata nella zona di San Francisco Bay e ha iniziato a studiare al Dominican college. Alla fine si iscrive alla UC Berkeley per concludere gli studi.

On Guard 1998 © Shirin Neshat

Oggi il suo lavoro racchiude il realismo degli argomenti, l’immediatezza e un certo senso di dramma: questi elementi non solo identificano i suoi progetti ma ne sono proprio l’anima.

«I primi lavori fotografici di Shirin Neshat esplorano la questione del genere in relazione al fondamentalismo islamico e alla militanza. Le sue successive installazioni video si sono invece allontanate dal contenuto apertamente politico, a favore di immagini più poetiche e narrative. In Regent’s Lecture, Neshat discute lo sviluppo della sua opera d’arte di fotografia al video installazione al cinema e dello schermo selezioni del suo lavoro basato video»

UC Berkeley Events 8 Aprile 2013

The Women of Allah (le donne di Allah) è una serie di quattro fotografie composte e lavorate dal 1993 al 1997. Le immagini sono ritratti di donne che vengono sovrapposte con calligrafia persiana e si riferiscono al contrasto vissuto tra la società tradizionale e la società moderna in continua evoluzione, dopo la rivoluzione iraniana.

© Shirin Neshat

L’uso persistente e ripetitivo di elementi visivi dimostrano lo stereotipo della donna in un territorio scontroso, violento e vecchio stile. Neshat che dà inizio alla sua carriera artistica con la fotografia nei primi anni ’90 diventa particolarmente famosa grazie a questo progetto.

© Shirin Neshat

All’interno delle fotografie c’è la sua esplorazione del concetto di femminilità in relazione all’autorità maschile e del fondamentalismo islamico. Nella sua arte, resistente agli stereotipi, ci sono le donne e più rappresentazioni dell’Islam. Le sue opere invece sembrano esplorare tutte quelle complesse forze sociali che modellano l’identità delle donne musulmane. Molte delle sue fotografie sono in realtà pezzi eseguiti a tecnica mista tra gelatina d’argento e inchiostro.

La calligrafia rappresenta poi poesie persiane su temi come l’esilio, l’identità, la femminilità e il martirio. Il lavoro di Neshat ruota da subito attorno a questi concetti. Da sempre ispirata dal fotogiornalismo sente che la fotografia funziona meglio trasmettendo gli argomenti con realismo.

© Shirin Neshat

Altre sequenze di immagini, di altre donne vestite in chador neri, quasi sempre in bianco e nero ridondano nel suo metodo espressivo e in qualche modo la caratterizzano e ispirano le generazioni di artisti.

«Il punto di vista occidentale è che le donne iraniane o le donne musulmane sono molto represse, la realtà oggettiva è che nel mio paese le donne sono molto più radicali e ribelli rispetto agli uomini – dice Neshat – Il mio lavoro è un’osservazione allegorica sulla realtà come la vedo io, come mi sento».

Sovvertire lo stereotipo occidentale delle donne musulmane impotenti è il suo messaggio, anche se lei stessa non si ritiene una femminista, nel senso occidentale del termine.

Soliloquy 1999 © Shirin Neshat

La Neshat nei suoi lavori più recenti ha esplorato nuovi mezzi per veicolare ancora altri messaggi e stati d’animo. Dirige i primi video da Anchorage del 1996 poi molti altri fino al primo lungometraggio nel 2009: Donne senza uomini con il quale vince il Leone d’Argento per la miglior regia al 66º Festival di Venezia.

https://www.youtube.com/watch?v=saI2YubuWfU

Gli argomenti indagati non si distaccano mai dalla sua essenza, anzi la attraversano, l’artista esplora il paradosso dell’essere un’artista in esilio: una voce per il suo popolo, ma non in grado di tornare a casa. Nel suo lavoro esplora l’Iran pre e post-Rivoluzione Islamica tracciando il cambiamento politico e sociale attraverso potenti immagini di donne.

Munis, 2008 © Shirin Neshat

«Il mio viaggio di artista ha inizio da uno spazio molto molto personale. Non ho iniziato a fare critica sociale del mio paese. Al contrario ho trovato un paese totalmente in disaccordo e che non mi riconosce più. La storia che ho voluto condividere con voi oggi è la mia sfida come artista iraniana, come artista donna iraniana, come artista donna iraniana che vive in esilio. Studiando la storia di una donna, si può leggere la struttura e l’ideologia di un intero paese. Ogni artista iraniano, in una forma o in un’altra, è immerso nella politica. Tutto ciò che facciamo è politica, per chi è rimasto la violenza, per chi se né andato l’esilio. Questo film cerca di trovare un equilibrio tra raccontare una storia politica e una storia femminile. Questo è il mio obiettivo»

(Estratto dalla conferenza Art in Exile del 2010 http://www.ted.com/talks/shirin_neshat_art_in_exile)

Passage © Shirin Neshat

L’identità nazionale del XXI secolo è ancora profondamente radicata nel passato ma un’altra certezza è che certi artisti non riescono a chiudere gli occhi e a ignorare le proprie identità culturali.

In un territorio come questo gli eventi culturali e politici hanno avuto un impatto sulla pratica artistica di artisti come Shrin Neshat e tutti gli altri. Lei in particolare, con il suo sguardo femminile, prende in esame i contrasti e le sfumature di potere e di identità presenti nel suo mondo. Commentando la libertà e la perdita, l’arte profondamente umanistica di Neshat è allo stesso tempo molto personale, politica e allegorica.

 

 

Fausta Riva

Fausta Riva nasce in Brianza nel 1990.
Geografa di formazione(Geography L-6) poi specializzata in fotografia al cfp Bauer.
Oggi collabora con agenzie fotografiche e lavora come freelance nel mondo della comunicazione visiva.
Fausta Riva nasce sognatrice, esploratrice dell’ordinario. Ama le poesie, ama perdersi e lasciarsi ispirare.

1 Comment

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.