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I silenzi di un monaco minano il cinico mondo dei potenti: «Le confessioni» di Roberto Andò

In un resort di lusso a bordo di una distesa d'acqua gli otto ministri economici delle grandi potenze soggiornano in attesa del summit che deciderà il futuro del mondo occidentale.

7 minuti di lettura

Dopo il successo di Viva la Libertà (2013), Roberto Andò ritorna sul grande schermo con Le confessioni, un «thriller spirituale» dove il mondo dell’economia, quello invischiato con la politica, un po’ cinico e parecchio sporco, la fa da padrone. Insieme a lui due straordinari Toni Servillo e Daniel Auteuil.

Le confessioni
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A sentire il titolo Le confessioni la prima cosa che viene in mente è sant’Agostino e la sua bellissima autobiografia. Ma benché il regista rivendichi la lontananza del suo lavoro dal modello patristico – fatta eccezione per due massime provenienti proprio da Le confessioni – c’è un che di agostiniano nel monaco Roberto Salus (Toni Servillo), figura cardine attorno a cui ruota tutta la vicenda: nella sua apparente aura mistica, intaccata tuttavia da un leggero cedimento al vizio del fumo, nell’abitudine a passeggiare in riva al mare, nella passione per il canto degli uccelli. E, più di tutto, nella “conversione” (non di se stesso, ma degli altri) operata grazie alla semplice capacità di ascoltare e porre le domande giuste al momento giusto.

Al capo opposto si colloca il personaggio interpretato da Daniel Auteuil, Daniel Roché, direttore del Fondo monetario internazionale, uomo scaltro ma anche fragile. È dietro sua richiesta che i Ministri dell’Economia degli otto Paesi che compongono il G8 si riuniscono in un albergo tedesco, sulle rive del Mar Baltico. Insieme a loro giungono anche tre improbabili personaggi, che con l’economia non c’entrano nulla, ma hanno il dichiarato compito di rendere l’incontro meno formale agli occhi del mondo: una scrittrice di libri per bambini (Connie Nielsen), una rockstar (Johan Heldenbergh) e Salus, un monaco certosino votato al silenzio e autore di alcuni saggi non molto ortodossi. Il motivo di questo summit plenario lo spettatore lo scopre a poco a poco nel corso del film: i Ministri stanno per mettere in atto una manovra economica di enormi dimensioni per uscire definitivamente dalla crisi del 2008. Una manovra che non viene mai rivelata nella sua sostanza, ma di cui tutti parlano con timore, quasi non potessero credere a ciò che stanno per fare: è immediatamente chiaro che non sarà priva di conseguenze negative.

La mattina dell’incontro accade un fatto inaspettato: Roché viene trovato morto e tutti gli incontri sono sospesi. Tutto ciò che si sa è che l’ultimo ad averlo visto vivo nella sua stanza è Salus. Per lo spettatore Roché continua ad essere presente nel film grazie ai continui flashback che lo mettono a parte della discussione tra il direttore del Fmi e il monaco e del segreto che i due hanno condiviso. Gli altri personaggi, invece, sono costretti ad affrontare l’ermetico silenzio di Salus che, avvinto dal vincolo della confessione, non vuole rivelare ciò che sa.

Il film potrebbe ora trasformarsi in un giallo stile Agatha Christie – un morto e dieci personaggi che indagano su ciò che è successo – ma non è questo che avviene, perché gli otto Ministri rivelano abbastanza presto il loro cinismo. Ciò che importa per loro è stabilire se l’impatto sul mercato sarebbe maggiore con la notizia di un omicidio oppure di un suicidio e capire se Roché ha rivelato il contenuto della manovra economica a Salus, violando così il loro segreto. Ma il monaco, pur messo alle strette da tutti, non viene meno ai suoi principi. Anzi, con la sua aura di misticismo, i suoi sorrisi obliqui, i suoi sguardi e, soprattutto, i suoi silenzi mette a nudo le incertezze degli otto potenti, insinuando in loro il dubbio che il mondo sia più di un’insieme di equazioni.

L’impressione che lascia Le confessioni è che anche per lo spettatore, che pure ne sa di più dei personaggi, vi sia sempre qualcosa di inafferrabile. Inafferrabile è il mondo della politica, di cui i Ministri sono rappresentanti, corrotto e sprezzante, ma mai svelato in tutta la sua malvagità; inafferrabile è Salus, che sa e non sa, che agisce ma senza uno scopo preciso (se non il suo amore per la pietà), che non è un santo, ma a un certo punto non ne siamo più così sicuri; inafferrabile è lo stesso Roché, geniale e all’apparenza sicuro di sé… ma allora perché ha sentito il bisogno di confessarsi?

Le confessioni non è uno sguardo attraverso il buco della serratura alla corruzione del mondo politico né una denuncia dello strapotere delle banche. Non è nemmeno un film religioso, come si è preteso, perché Salus è portatore di un sistema di valori estraneo a quello dei suoi coinquilini, in cui il tempo è il bene più prezioso e i fallimenti più grandi non sono quelli quantificabili in denaro. Forse si può definire un giallo, ma l’atmosfera filosofica e spirituale nella quale il film è immerso fa rapidamente dimenticare il possibile omicidio.

«Non ho ancora capito che tipo di prete lei sia». «Nemmeno io». Come Salus, forse anche Andò non ha ben capito che tipo di film sia il suo – e non aveva probabilmente alcuna intenzione di capirlo. Senza ben definire un punto di arrivo e uno di fine, Le confessioni rivela l’insondabilità del mondo della politica, incomprensibile ma minato da debolezze. L’intento è però penalizzato a volte da un ritmo lento, altre volte da dialoghi e scene davvero troppo criptici. Chi si aspetta una riflessione profonda e articolata rimarrà deluso: Le confessioni si limita a toccare alcuni punti e lasciarci pensare… in silenzio.

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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