Dove siamo. Non ci fu una secondo volta e la prima volta che ci provò non gli riuscì. Gli spartani non volevano far passare l’idea di Pericle. Non ci stavano a riconoscere il primato ad Atene che chiedeva di convocare un congresso per prendere una decisione per il Mediterraneo, per mantenere la pace e, tra l’altro, per ricostruire i templi che erano andati distrutti durante le guerre persiane.
Busto di Pericle riportante l’iscrizione “Pericle, figlio di Santippo, ateniese“. Marmo, copia romana di un originale greco del 430 a.C. circa, conservato presso i Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma. Fonte: Wikipedia
Ci volle qualche anno perché la pace con la Persia e il trattato con Sparta rivelassero la strategia che Pericle aveva messo in atto. La lega Delio-Attica era stata trasformata in qualcosa di più simile ad un impero che a una federazione di città-stato.
Il tesoro fu trasferito dal santuario di Delo alla sala delle vergini e all’opistodomo di un tempio ricostruito su una rocca nella mezzo della pianura attica. A fianco delle stanze del tesoro, nella cella preceduta dal pronao, capolavoro di Fidia, in oro e avorio sorgeva Atena.
Assieme al Partenone venivano costruiti i Propilei, il tempio di Poseidone a Capo Sunio e il tempio di Efesto sopra l’Agorà. Lì accanto, cinque secoli dopo, sull’Aeropago, San Paolo annunciò agli ateniesi il Dio che adoravano senza conoscere:
«Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei.
Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.
Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo
né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa.
Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. […]».(Discorso dell’Areopago di San Paolo di Tarso, Atti degli Apostoli, 17:16–34)
L’Acropoli, i templi, il Pireo un tutt’uno con le Lunghe mura della città, erano diventati il simbolo di sviluppo e di ciò che per la prima volta la storia, per mezzo di Erodoto, definì democrazia.
Un regime politico che incontrò poco consenso e destò molti sospetti.
Platone ritenne la democrazia preferibile solo alla tirannia e Aristotele si sentì maggiormente rassicurato dall’idea della miktè politéia: una legge o, più precisamente, una costituzione posta a disciplina della volontà del popolo e garantita da un’oligarchia.
Diffidenze che rimasero insuperate nel pensiero politico greco.
Solo con le istituzioni politiche romane l’ideale della miktè politéia trovò compiuta realizzazione. Roma seppe riconoscere nella legge uno strumento di equilibrio politico e sociale all’interno del quale garantire, indistintamente a tutti i cittadini, la libertà.
Quella che conosciamo come libertà individuale era stata assicurata dalle leggi di Solone. È con Pericle che furono riconosciute l’isonomia e l’isogoria. Uguaglianza di fronte alla legge e uguale diritto di parola.
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Libertà e uguaglianza da allora furono ritenuti elementi così essenziali per la democrazia che, a distanza di duemila anni densi di evoluzioni, involuzioni, rinascite, progressi e ripartenze, durante i lavori preparatori della Costituzione Italiana, Amintore Fanfani, uno dei nostri padri costituenti, dichiarò:
«Nella nostra formulazione l’espressione democratica vuole indicare i caratteri tradizionali, i fondamenti di libertà e uguaglianza, senza dei quali non vi è democrazia.»
(Amintore Fanfani, Resoconto parlamentare dell’Assemblea Costituente, pagina 2369)
Il rispetto della libertà, il riconoscimento dell’uguaglianza e, come riportava lo storico Tucidide riferendosi a Pericle suo contemporaneo, l’assenza di demagogia, sono precondizioni per il dialogo, l’equilibrio e lo sviluppo, individuale e collettivo, spirituale, sociale, economico, e politico, che aprono alla possibilità di diventare la Repubblica che siamo.