In prima nazionale nell’ambito di FOG, Festival Triennale Milano Performing Arts, si è visto Terror. L’autore è il tedesco Ferdinand von Schirach, famoso avvocato penalista che dalla realtà giudiziaria è passato alla narrazione, sfornando romanzi noir best seller in tutto il mondo, pubblicati in Italia da Longanesi. A dirigere questo suo debutto teatrale è l’attrice e regista Kami Manns, che crede molto nell’intreccio fra le arti e il loro valore educativo-sociale: dal 2016 dirige paradise is here, interessante associazione culturale ticinese.
Il teatro come tribunale
Al nostro ingresso gli attori sono già in scena, impegnati in passi di danza e giochi, mentre alle loro spalle scorre un video quasi surreale, che rappresenta gli stessi attori in un picnic in mezzo al bosco. Forse questa condivisione leggera è già un’anticipazione di quanto succederà. Soprattutto il gioco della mosca cieca e il tiro a bocce (invisibili) risulterà simbolico: fra i temi della pièce infatti: il destino, la scelta, la valutazione rapida delle conseguenze delle proprie mosse.
Ci accoglie un giudice e ci spiega il funzionamento di questo dispositivo teatrale. Qui l’azione (che si ipotizza già avvenuta) verrà messa in scena con le parole e a giudicare sarà il pubblico. Inizia così il processo: il giudice siede fra gli spettatori, mentre alla consolle delle luci sta un quasi-regista della situazione giudiziaria, come pure dal pubblico arriveranno due testimoni; imputato e avvocati siedono ai lati del palcoscenico. Per le arringhe e le testimonianze, i personaggi salgono sul palco, ben visibili a tutti. Dietro di loro appariranno fotografie e immagini varie.
Per due ore siamo travolti da spiegazioni precise che ci portano fra i meandri di normative e burocrazia, nonché sui dettagli tecnici delle dotazioni aeree. Perché? Dopo gli attacchi alle Twin Towers, in Germania nel 2005 passa una legge per cui il ministro della difesa, in casi di massima allerta, quando sia compromessa la sicurezza nazionale, può ordinare l’abbattimento di un aereo civile; tale provvedimento però viene annullato come anti-costituzionale. Tuttavia il problema resta. Von Schirach ci serve sul piatto un exemplum fictum di estrema potenza. 2013: alcuni terroristi dirottano un aereo di linea sulla tratta Berlino-Monaco, con l’intenzione di schiantarsi sullo stadio di Monaco, gremito di 70mila tifosi accorsi per il derby.
Un colonnello dell’aeronautica, chiamato come testimone, ci spiega che cosa è avvenuto. Scattano tutte le misure di emergenza: si alzano due caccia bombardieri, che tentano manovre di “addossamento” per costringere l’aereo ad atterrare. Nessuna reazione. Quindi si procede a un colpo in aria di avvertimento. Ordine finale del ministro: «Not engage», in ottemperanza alla legge non abbattete quel velivolo. Lars Koch, uno dei due piloti dei caccia, decide in autonomia e colpisce l’aereo, portando così alla morte i 164 innocenti passeggeri a bordo. L’imputato è colpevole o innocente?
Il drammatico interrogatorio di Koch, provato e nervoso, rivela i dettagli di un curriculum impeccabile; le sue risposte sono chiare, taglienti, precise come richiede il regolamento militare. Sostiene di aver agito secondo giustizia. L’avvocato dell’accusa (in abito rosso) lo incalza: in casi estremi è legittimo uccidere civili? La corte costituzionale ha sancito che non è mai legittimo, ma Koch si giustifica: ha deciso di sacrificare 164 persone per evitare la strage dei 70mila! Quindi una vita umana vale più di un’altra, se è inserita nel rapporto numerico di maggioranza? Le argomentazioni del pilota cominciano a vacillare. Si sfiora l’assurdo: «I passeggeri dell’aereo non erano del tutto innocenti, perché si sono messi da soli in una situazione di pericolo», in quanto di questi tempi gli attentati terroristici sono all’ordine del giorno. Il pubblico rumoreggia. Un po’ confuso, Koch cerca di chiarire: il suo dovere di soldato è la difesa nazionale: «lei qui, avvocato, può permettersi bei pensieri di principio, io lassù non posso permettermi di pensare che sto uccidendo esseri umani». Alla domanda «avrebbe sparato se sull’aereo ci fossero stati sua moglie e suo figlio?» Il militare, annichilito, si arrende: «ogni risposta sarebbe sbagliata, perché di mezzo c’è la vita».
Interviene Franziska, testimone di parte civile, moglie di uno dei passeggeri, un vestito verde a fiori che torna anche nelle proiezioni video (i costumi sono degli studenti IED). Le vittime, finora ridotte a numeri, acquistano un profilo di identità definito. Anche lei è molto lucida e non si fa cogliere dalla commozione, nonostante la tragicità dei dettagli (ad esempio il recupero degli oggetti personali). Aggiunge un dettaglio importante: un SMS del marito annunciava che insieme ad altri passeggeri stavano per sfondare la cabina di pilotaggio e riprendere possesso dell’aereo.
Colpevole o innocente?
Le arringhe di accusa e difesa servono per ricapitolare i dati. L’imputato non è un criminale, ha agito consapevolmente in virtù del “male minore”. La vita però non è un mercato di numeri e c’è un principio superiore – dice l’accusa – quello della dignità dell’uomo. Lars si è arrogato una decisione sugli altri, riducendoli al rango di oggetti. C’erano invece tante variabili che non ha considerato: lo stadio poteva essere evacuato, i passeggeri stavano per entrare in cabina, il loro pilota avrebbe potuto all’ultimo istante alzare il muso dell’aereo ed evitare lo schianto… Lars ha tolto ai passeggeri la dignità e la possibilità di scegliere. La difesa viceversa cita casi in cui il buon senso ha vinto sulla rigidità dei principi (ad esempio: meglio sacrificare uno di due gemelli siamesi piuttosto che lasciarli morire entrambi).
La difficoltà del giudizio
La questione è difficile. Nessuno vorrebbe essere nei panni di Lars, eppure adesso siamo obbligati a giudicarlo, forniti di sassolino bianco o nero, come nell’antica Atene. L’esito delle votazioni del pubblico è visibile sul sito FB di Paradise is here: in prevalenza gli spettatori milanesi hanno assolto l’imputato, ma qualche sera invece ha vinto la posizione dura della colpevolezza. Ogni votante riceve un foglio che riporta la sentenza con i nuclei principali delle argomentazioni ed esempi di casi giudiziari analoghi. Allegato anche il discorso del Premio (M100 Media Award, 2015) attribuito alla redazione superstite di Charlie Hebdo dopo la strage, in difesa della libertà di opinione. Schirach ha scritto Terror sull’onda emotiva di quel tragico evento, per mostrarci come dietro regolamenti, procedure, passaggi di responsabilità, ci sia l’uomo, nella sua fragilità e ambiguità di operato. Un buon esercizio di democrazia, per costringerci a prendere posizione e a riflettere.
Terror
di Ferdinand von Schirach
regia di Kami Manns – con: Antonella Attili, Paolo Musio, Andrea Dolente, Giampaolo Gotti, Margherita Coldesina, Pietro Faiella
24-27 maggio 2018, Triennale Teatro dell’Arte, Milano