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«The Line» è la sottile linea verde: il doppio volto dell’Arabia Saudita

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La città futuristica, che prenderà il nome di Neom, è così definita per la presenza di elementi come spiagge glow-in-the-dark, una luna artificiale, maggiordomi robotizzati per la pulizia delle case, droni che riempiono lo spazio nel cielo. Oggetti che rimandano ad un mondo visto sugli schermi e mai nella realtà quotidiana. Una città integrata con la natura, costruita attorno ad essa e non su di essa, un’oasi verde senza macchine né strade, emissioni di carbonio che toccano lo zero. È il progetto The Line del Principe Mohammed bin Salman in Arabia Saudita, annunciato le prime settimane del 2021 e da portare a termine nei prossimi dieci anni, che sorprende per la grande dose di innovazione.

Con una lunghezza di 170 km e un’area che corrisponde a trenta volte quella di New York City, il nuovo modello urbano si sviluppa linearmente a partire dalle coste del Mar Rosso fino ad inoltrarsi nel cuore del deserto e raggiungere le montagne e le valli a nord-ovest dell’Arabia Saudita.

La spinta della sostenibilità

Il principio alla base della costruzione è quello della sostenibilità. Il Principe Mohammed bin Salman dell’Arabia Saudita nel video-lancio del progetto spiega come già oggi «il 90% della popolazione respiri aria inquinata» e come non si dovrebbe «sacrificare la natura e lasciare morire sette milioni di persone a causa dell’inquinamento e un altro milione per incidenti stradali». Come tutelare la qualità e la vita stessa di quel milione di abitanti che la città sarà in grado di accogliere?

Avendo tutto il necessario a cinque minuti di distanza e impiegando al massimo venti minuti, per il tragitto da un’estremità dell’area all’altra; questo grazie al trasporto ad alta velocità, infrastrutture digitali e logistica posizionati nel sottosuolo, dotati di energia al 100% rinnovabile che permette di preservare il 95% della natura. Elementi che facilitano la fruibilità della vita dei cittadini, ulteriormente supportati da intelligenze artificiali e robotica al fine di garantire una riduzione dello stress e degli impegni. Una città che utilizza come unità di misura l’uomo, che si modella attorno alle persone e rispecchia la personalità di chi vi abita.

Dove si nasconde il punto di rottura dietro l’utopia?

Quando «The Line» diventa rossa

Il punto al quale prestare attenzione, sfondo della apparente nuova frontiera della rivoluzione ecologica e dell’integrazione umana, è il paese dove tutto questo sta avvenendo. L’Arabia Saudita vede due delle sue città inserite nella classifica delle dieci più inquinate al mondo, secondo gli studi dell’OMS. Questo perché la sua economia ha sempre fatto leva sull’utilizzo e l’estrazione del petrolio, che ha causato una forte proliferazione di anidride solforosa, soprattutto nella capitale Riyad. Ad Al Jubail, situata sul Golfo Persico, sono invece le fabbriche di alluminio e i fumi delle ciminiere a rendere l’aria tossica. E mentre qui si colloca nella top-ten, di certo non accade lo stesso per il rispetto dei diritti umani. Definita da Amnesty International come “regno della crudeltà”, l’Arabia Saudita diventa protagonista quando si parla di condanne a morte, decapitazioni pubbliche, esecuzioni, punizioni degradanti e torture. Da quando il Principe Mohammed bin Salman è salito al potere, sono inoltre aumentati gli arresti e le pene detentive verso attivisti che esercitavano il loro diritto di espressione e associazione. La discriminazione è forte e diffusa specialmente nei confronti delle donne e delle religioni minori; le prime non sono autorizzate a prendere decisioni in autonomia, le seconde vedono limitato l’accesso ai servizi pubblici e all’impiego.

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Difficile pensare che una tradizione ideologica così radicata venga di colpo spazzata via con la costruzione di The Line. Infatti, il paradosso riaffiora, perché nel luogo dove la città ideale dovrebbe sorgere, abita la tribù Huwaitat, costretta all’espatrio e ignara di quale sarà la sua futura casa. Il regno dice che concederà loro un compenso, ma non è chiaro né il numero né la cifra di questi compensi, ed è difficile pensare ci sia qualcosa di concreto oltre ad un pretesto per porre fine al dissenso. The Guardian, nell’articolo sull’avvenimento, riporta le parole di una attivista, membro della tribù, che vive a Londra e afferma «Neom viene costruita sul nostro sangue, sulle nostre ossa», il milione di residenti non saranno altro che «turisti, persone con un sacco di soldi, non chi già abitava quei luoghi». Il fatto più eclatante di tutta la vicenda, si è manifestato con l’uccisione da parte della polizia di Abdul Rahim al-Huwaiti, abitante del posto che manifestava attraverso video pubblicati sui social e l’arresto di otto membri della tribù.

Più che un passo verso la svolta green, The Line è un salto in un universo parallelo, che non ha mai trovato un punto di contatto con la realtà di chi da tempo vive sotto la monarchia.

Il sistema della Kafala

Il vero passo avanti dell’Arabia Saudita, si trova piuttosto nel tentativo di abolire il sistema della Kafala, previsto per il 14 Marzo 2021.

Il sistema della Kafala, discriminatorio per genere e origine, consiste in un rapporto tra un datore di lavoro o sponsor (chiamato kaleef) e i lavoratori immigrati. I secondi occupano i posti di lavoro più umili, poco desiderabili. I primi pagano ai lavoratori le spese del viaggio e trovano loro un alloggio, tuttavia hanno su di essi un enorme potere. Fino a novembre, quando è avvenuto un allentamento, i lavoratori stranieri non potevano cambiare lavoro, terminare l’impiego o lasciare il paese senza il consenso del proprio kaleef, essendo questo detentore di passaporti, visti e telefoni. Una vera e propria limitazione alle libertà fondamentali. Ora possono allontanarsi dal paese, e le forti pressioni dall’esterno per mettere fine alla “schiavitù moderna” si sono fatte sempre più intense. Anche il campionato di FIFA World Cup 2022, che si terrà in Qatar, sembra aver contribuito a mettere un freno al sistema grazie al rilievo mediatico che lo caratterizza ed è in grado fare luce su alcune criticità.

Le due aziende che si occuperanno della costruzione di The Line, sottoporranno infatti i lavoratori a contratti simili a quelli dei paesi occidentali.

Una prospettiva europea

Molti occhi sono puntati sul progetto in Arabia Saudita, complice la rilevanza della questione ambientale e l’idea altamente visionaria che colpisce e incuriosisce.

Fermando però lo sguardo su una realtà più vicina, si scopre che l’innovazione è alla portata di tutti. La metropoli di Lione ha stanziato il 25 gennaio un piano di investimenti da 3,6 miliardi per i prossimi sei anni, che risponde a tre obiettivi: condurre la metropoli verso la transizione ecologica, costruire una città solidale che si prenda cura dei più vulnerabili e effettuare investimenti infrastrutturali di cui possano godere tutti i comuni.

Photo by Bosco Shots on Unsplash

Il piano è definito in punti concreti che mirano a ridurre il traffico e le emissioni di CO2 attraverso la costruzione di piste ciclabili e l’ampliamento delle aree pedonali. Consentire la fornitura di acqua pubblica a partire dal 2023 e decuplicare la produzione di energia solare. Aspira poi a formare nuovi istituti superiori per ridurre le diseguaglianze tra i giovani e creare un sistema sempre più inclusivo, investendo su cultura, sanità e educazione. Un programma ambizioso ma realizzabile, messo in moto fin da subito, che è diretto a tutti i suoi cittadini, stimola la ricerca e non lascia fuori nessuno.

Guardare al futuro e impegnarsi per renderlo migliore è ciò che accomuna entrambi i progetti, quello che li distingue è il costo umano richiesto. Molto spesso ci si lascia influenzare dall’immagine che viene presentata, ed è questo che porta a definire “Rinascimento” un programma come quello dell’Arabia Saudita. Sono le parole con cui si è espresso il senatore Matteo Renzi, che ne ha ulteriormente lodato il costo del lavoro, rischiando così di oscurare il contesto attorno al quale avviene la nuova rinascita.

Ilaria Raggi

Immagine di copertina: Photo by Scott Webb on Unsplash

 


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Ilaria Raggi

20 anni, studentessa di scienze politiche sociali ed internazionali. Nata con il mare sotto i piedi, ora mi accontento dei colli bolognesi. Se mi siedo o mi riposo c'è qualcosa che non va. John Steinbeck, il cinema e la scrittura sono il mio Sacro Graal, per il resto condisco la mia vita un po' di curcuma alla volta. Vivo di sarcasmo e politica internazionale, fortunatamente il periodo in cui sono nata mi permette di non dover mai scegliere l'uno o l'altro.

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