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Capire la tragedia di Cutro

All'indomani del naufragio, il ministro dell'Interno Piantedosi ha usato parole raggelanti per commentare l'accaduto. È possibile provare a capire quello che è successo, andando oltre alla propaganda?

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«Non bisogna partire, questo è il messaggio prima di tutto etico che deve passare. Io non lo farei, perché sono stato educato alla responsabilità, a pensare prima di tutto cosa posso fare io per il paese in cui vivo, e non a cosa possono fare gli altri per me». Con queste parole, durante un’affollata conferenza stampa, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha commentato il tragico naufragio di un barcone carico di migranti avvenuto nella notte tra sabato e domenica 26 febbraio, a poche decine di metri dalle coste della Calabria.

Quel barcone, invece, era partito carico di anime in fuga da una realtà fatta di guerre, miseria e povertà. Aveva preso il largo cinque giorni fa da Izmir, sulla costa turca e aveva attraversato prima l’Egeo e poi lo Ionio con circa duecento persone a bordo. Uomini, donne e bambini, provenienti soprattutto da Iran, Iraq, Afghanistan e Siria, che avevano pagato migliaia di dollari per provare ad attraversare un tratto di mare che sabato ha iniziato ad ingrossarsi e farsi minaccioso. Le condizioni erano diventate talmente difficili che le motovedette della Guardia di Finanza, dopo essere state allertate da un aereo di Frontex, che aveva intercettato il barcone a circa quaranta miglia dalla costa, non sono nemmeno riuscite ad avvicinarsi ed erano dovute rientrare in porto. Non è ancora chiaro il perché l’operazione si sia attenuta ai protocolli che gestiscono il controllo delle frontiere marittime e non sia invece stata interpretata come SAR (search and rescue), obbligando così la Guardia Costiera, meglio attrezzata ed addestrata, ad intervenire. Nelle ore successive, secondo le testimonianze di alcuni sopravvissuti, temendo che sulle spiagge vi fossero le autorità italiane ad aspettarli, e preoccupati per le condizioni critiche del mare, gli scafisti avrebbero gettato in mare una ventina di persone, per alleggerire il vecchio peschereccio e velocizzare lo sbarco.

Il naufragio di Cutro, un disastro annunciato

A circa duecento metri dalle spiagge di Steccato di Cutro, il barcone su cui viaggiavano si è spezzato, forse per le onde o forse a causa di una secca. Quasi nessuno aveva un salvagente, molti non sapevano nuotare. Laura De Paoli, medico e tra i primi ad accorrere sul posto per prestare i primi soccorsi, ha raccontato all’Ansa di aver visto cadaveri che galleggiavano ovunque, e di aver visto due uomini nuotare tenendo in alto il corpo di un bambino di sette anni, morto. È ancora presto per stabilire con certezza quante persone abbiano perso la vita. Sempre a causa del maltempo, è difficile per i soccorritori riuscire a rintracciare i corpi di chi non ce l’ha fatta, che a volte sono stati trascinati dalle correnti e dalle onde a chilometri di distanza. Per ora sembra che questo bilancio sia giunto vicino alle settanta vittime, ma potrebbe trattarsi di un numero destinato a salire.

Negli ultimi dieci anni, secondo stime probabilmente al ribasso perché nessuno sa davvero con certezza quanti naufragi siano avvenuti nelle acque del Mediterraneo, sono morte circa ventiseimila persone provando ad attraversare il mare, dirette soprattutto verso le isole greche, l’Italia ed in parte la Spagna. Solo dall’inizio del 2023, sono sbarcati sulle nostre coste oltre quattordicimila migranti, contro le poco più di cinquemila nello stesso periodo dell’anno scorso. Non un gran successo per un governo che ad agosto, prima delle elezioni, prometteva un blocco navale per fermare i migranti e che il 3 gennaio ha varato un contestato codice di condotta per limitare l’azione delle ONG che operano nel Mediterraneo. Tra le altre cose, questo codice di condotta prevede che le navi debbano attenersi alle indicazioni delle autorità, che hanno il diritto di assegnare un luogo di sbarco, che non deve essere necessariamente il porto sicuro più vicino. Non è un caso che alcune di queste navi, come ad esempio la Ocean Viking, siano state costrette a navigare dai porti della Sicilia lungo lo stivale, fino a quelli di Ravenna o La Spezia, a centinaia di chilometri di distanza. Il decreto sottolinea anche come le navi delle ONG non possano effettuare soccorsi plurimi, a meno che questi non vengano autorizzati dall’Italia: non potranno, cioè, né soccorrere eventuali altri naufraghi nel corso del loro tragitto, né trasferire a bordo migranti salvati da altre navi. Tra le pene previste vi sono sanzioni tra i dieci ed i cinquantamila euro, il divieto di attraccare nei porti italiani o il fermo amministrativo della nave fino a due mesi.

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La prima nave ad essere incappata nelle sanzioni è stata quella di Medici Senza Frontiere, la Geo Barents. La nave è stata bloccata giovedì scorso nel porto siciliano di Augusta, proprio mentre stava per mollare gli ormeggi. Venti giorni di fermo amministrativo e diecimila euro di sanzione al comandante per essersi rifiutato di condividere con la capitaneria di porto alcuni dati della scatola nera di bordo riguardanti l’ultima missione effettuata.

La cosa che lascia perplessi è che dei quattordicimila migranti sbarcati da inizio anno, solo il 6% lo ha fatto a bordo di una nave appartenente ad una organizzazione umanitaria. L’incapacità di gestire i flussi va oltre la favola delle ONG che agiscono come taxi del mare, come insinuato da qualche politico, ma mai provato di fronte a nessun tribunale. Negli ultimi anni è stato praticamente smantellato il sistema di prima accoglienza ed integrazione dei migranti, senza che venisse sostituito da nessun modello alternativo. I rimpatri forzati non hanno mai preso piede, soprattutto a causa di una serie di difficoltà politiche e burocratiche molto difficili da superare.

Non chiamatela emergenza

Alla fine di ottobre del 2022 è stato rinnovato, per altri cinque anni, il protocollo di intesa tra il governo italiano e la Libia che mira soprattutto ad impedire le partenze, nonostante siano numerose le testimonianze di violazioni dei diritti umani e la scarsa trasparenza sull’uso dei fondi e dei mezzi messi a disposizione dall’Italia alla Guardia Costiera libica. Il tema delle migrazioni è rimasto in secondo piano anche durante il recente viaggio della premier Meloni in nord Africa, che si è concentrata soprattutto sul dossier dell’energia. I canali aperti per provare a  gestire un flusso regolare dei migranti sono troppo pochi ed incapaci di assorbire una domanda che non sembra diminuire mai. Il tema dell’ immigrazione continua a mantenere il carattere emergenziale che ha sempre avuto negli ultimi vent’anni, trattato con superficialità e populismo, con leggerezza e cialtroneria, facendo passare troppo spesso in secondo piano due elementi fondamentali: prima di tutto la vita delle persone che scappano da guerre, persecuzioni o semplicemente, usando un eufemismo caro a una parte dell’elettorato: povertà. È inaccettabile che un ministro dell’Interno sputi giudizi morali su persone che accettano, a febbraio, di attraversare su di un barcone fatiscente due bracci di mare consapevoli di correre il rischio di morire con i polmoni pieni d’acqua e di non dare ai parenti nemmeno un corpo da piangere. In secondo luogo, visto l’inverno demografico a cui l’Italia si è già avviata da tempo, è inutile nascondersi dietro a battute poco felici sulla necessità di migranti che ci paghino le pensioni. Vi è la necessità di accogliere queste persone, integrarle, far sentire i loro figli italiani a tutti gli effetti ed orgogliosi del paese in cui sono nati e cresciuti. L’invecchiamento della popolazione non si combatte facendo la guerra ai consultori ed alle donne che vi si recano o condividendo statistiche sulle nascite provvidenziali mancate dal 1978, anno in cui è stata approvata la cosiddetta legge 194, ad oggi. Si tratta di un tema enorme ed impossibile da evitare ancora a lungo. Coniugare il dovere etico di accogliere con la necessità di invertire la tendenza demografica di un paese, ora incapace di fare figli, è una delle sfide più ardue più che la nostra economia, la nostra società ed il nostro paese devono affrontare. Ad oggi però, quasi nessuno è stato in grado davvero di porre la questione anche in questi termini. Ed il futuro, almeno per i prossimi anni, sembrerebbe nascondere poche novità a riguardo.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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