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«Ultimo brindisi» di Anna Achmatova, un addio in versi

6 minuti di lettura

Quando si nomina la letteratura russa, il pensiero corre d’istinto a grandi prosatori, come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, oppure a loro opere: per citarne solo alcune, Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, Anna Karenina, Guerra e pace. Nell’immaginario collettivo, la grande assente – ingiustificata – è la poesia. Eppure, la letteratura russa nasce all’inizio dell’Ottocento proprio con un poeta, Aleksandr Puškin, e nel corso dei decenni connazionali altrettanto grandi hanno scritto componimenti meravigliosi, in grado di arrivare dritti al cuore dei lettori. Vi presentiamo una delle poesie più struggenti della letteratura russa, scritta nel 1934 da una poetessa che andrebbe (ri)scoperta in Italia: Anna Achmatova. La poesia in questione si chiama Ultimo brindisi: ne riportiamo la traduzione di Michele Colucci.

Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
a un Dio che non ci ha salvato.

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Solitudini vissute in due

La poesia è amara fin dal principio. Immaginiamo l’autrice da sola, sulle macerie di una casa (metafora di una relazione finita nel peggiore dei modi), che brinda alla sua «vita sciagurata». Particolarmente bella è l’immagine delle «solitudini vissute in due», che in qualche modo rimanda a un verso altrettanto bello e doloroso, di una connazionale di Achmatova, Marina Cvetaeva. «Notti senza chi ami – e notti con chi non ami», recitava.

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Le «notti con chi non ami» cantate da Cvetaeva già nel 1918 riaffiorano con le «solitudini vissute in due» di Achmatova. La peggior solitudine è quella in cui si ha qualcuno accanto solo fisicamente; manca tutto il resto. Manca la persona che vorremmo davvero al nostro fianco, perché non può o non vuole esserci, poco importa. Non esiste solitudine più straziante di quella vissuta accanto alla persona sbagliata.

«Ultimo brindisi» di Anna Achmatova, la ricerca di un colpevole

Nella seconda parte della poesia, Anna Achmatova sembra andare alla ricerca di qualcuno, o qualcosa, su cui scaricare la colpa del suo dolore. Si rivolge direttamente a una persona, con tutta probabilità l’uomo che l’ha abbandonata, ricorda le sue labbra e i suoi occhi, in cui ormai non trova più nulla di bello o confortante. L’amore ha lasciato il posto al rancore.

La ricerca, però, non è ancora finita. Achmatova incolpa prima il mondo, poi addirittura Dio. Accusa la figura salvifica per eccellenza di non aver salvato lei e il suo amato, e di averli condannati all’infelicità. «Ci vorrebbe un miracolo», ci diciamo ogni tanto. Achmatova ci risponde che i miracoli non esistono. Fa l’unica cosa rimasta in suo potere: brindare, amaramente, a tutti i colpevoli della sua storia.

Ritratto di Anna Achmatova.
Ritratto di Anna Achmatova, realizzato nel 1922 da Kuzma Petrov-Vodkin. Foto da Wikipedia

Un titolo enigmatico

Resta un alone di mistero intorno al titolo della poesia. Nel corso del componimento vediamo l’autrice che brinda, ma nel titolo ci viene detto che questo brindisi è l’ultimo. In che senso? Potremmo dare due interpretazioni, una più pessimista, l’altra più ottimista. Stando alla prima, il titolo rimanderebbe, se non al desiderio, alla fantasticheria di suicidarsi per il troppo dolore. D’altronde, non conosciamo il contenuto del bicchiere: potrebbe essere vino, così come veleno.

Il brindisi potrebbe essere l’ultimo anche per un altro motivo, che stavolta non ha a che vedere con la morte. Potrebbe essere il modo dell’autrice di congedarsi da una storia finita male, salutandola con compostezza e passando poi a un nuovo capitolo della vita. Sta ai lettori scegliere quale interpretazione preferiscono.

«Ultimo brindisi» di Anna Achmatova: un ritmo angosciante

Il ritmo della poesia sembra creato apposta per far provare al lettore la stessa angoscia dell’autrice. Questa sensazione è attenuata nella traduzione italiana, ma perfettamente ritrovabile nell’originale russo. Per esprimerla, Anna Achmatova usa la figura retorica dell’anafora, ovvero la ripetizione a inizio verso di una medesima parola: in italiano l’anafora non è perfetta, visto che la preposizione a che apre quasi tutti i versi è in alcuni casi semplice e in altri articolata. In russo, invece, la ripetizione ossessiva della stessa preposizione (za) rende il testo un angosciante atto di accusa.

Lasciamo ai nostri lettori russisti una registrazione della poesia.

 


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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l'impresa e specializzata in Traduzione. Sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Nel 2020 è stato pubblicato il suo romanzo d'esordio, «Noi quattro nel mondo».