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Antigone Judith Butler

La rivendicazione di Antigone (a partire da Judith Butler)

La figura di Antigone, simbolo di sfida femminile al potere tirannico e maschilista, oggi appare più che mai attuale. Perché? Lo spiega un saggio di Judith Butler

8 minuti di lettura

La scena si presenta a grandi linee così: una giovane donna, spaventata e, al tempo stesso, mossa da una volontà quasi divina, nella notte, seppellisce il corpo esanime di quello che sarebbe dovuto essere in vita un valoroso guerriero.

Stiamo parlando ovviamente di Antigone, protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle rappresentata nel 442 a.C., nonché simbolo di resistenza e ribellione al potere tirannico. Infatti, stando al racconto greco, la ragazza è l’unica che decide di opporsi all’editto dello zio Creonte, re di Tebe, che vieta di dare una degna sepoltura al fratello Polinice condannato per aver assediato la città. Antigone, coprendo di terra il corpo quest’ultimo, viene resa a sua volta prigioniera per volontà del re, il quale successivamente decide di liberarla ma, ormai, è troppo tardi poiché la protagonista è morta suicida come Emone, figlio di Creonte e suo compagno.

Perché dopo 2.461 anni è necessario tornare a parlare di Antigone?

Antigone non è solo una delle eroine più inflazionate di sempre, ma rappresenta, stando alla lettura di Judith Butler, il cui saggio La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte pubblicato nel 2003 sarà oggetto di riflessione in questa sede, il simbolo della sfida femminile allo statalismo. Se, infatti, Creonte raffigura l’autorità dello Stato con tutte le sue norme e leggi di carattere universale, al contrario Antigone incarna le leggi della parentela e della sua, come vedremo più avanti, successiva dissoluzione.

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Per Luce Irigaray la forza della protagonista della tragedia greca consiste nel rappresentare la legge dei rapporti di «sangue» indicando, con tale termine, la materialità e la concretezza di una legge che si contrappone a quella puramente astratta incarnata da Creonte e lo Stato. In particolare, il «sangue» di cui parla la filosofa rappresenta il femminile, ovvero la traccia dei «rapporti primari di parentela» contrapposto ad un principio di autorità basato sul maschile (la Legge del Padre). Questa visione, si capisce bene, porta con sé i segni della lettura di quei passi della Fenomenologia dello spirito in cui Hegel riprende la figura di Antigone associandola alla legge degli dèi del focolare. Tale tipo di legge è considerata dal filosofo tedesco come subordinata ed esterna ai principi della polis, ovvero a quel «ordine etico» senza il quale non potrebbe neanche esistere la sfera dell’intelligibilità culturale. Inoltre, per Hegel, Antigone, simbolo del potere femminile, è destinata a morire fin da subito in quanto, con il suo atto di inumazione, sfida la sfera pubblica diventandone il nemico, infatti:

Mediante i suoi intrighi l’elemento femminile […] trasforma il fine universale della comunità in un fine privato, trasforma l’attività universale [allgemeine Tätigkeit] in un’opera di questo individuo determinato, e converte la proprietà universale dello Stato in possesso e orpello della Famiglia

In qualche modo è come se il femminile sia condannato ad agire, non solo apoliticamente, ma nell’ottica dell’individuo privato, incapace di pensare in termini di universalità ribadendo le parole di Ismene che, cercando di dissuadere sua sorella Antigone, afferma: «Bisogna pensare che due donne siamo, e non siamo nate per lottare contro uomini».

Tuttavia il crimine di Antigone si configura come doppio, ed è questa una delle tesi più originali presenti nel saggio di Butler, che si è occupata della performatività del linguaggio in Excitable Speech già dal 1997, in quanto l’eroina non ha solo seppellito il fratello oltraggiando l’autorità di Creonte, ma ne ha rivendicato la paternità mediante lo stesso linguaggio politico. La vera sfida alla norma, dunque, avviene per mezzo di un atto linguistico («affermo di averlo fatto e non lo nego») ed è questo il vero motivo che porta il re di Tebe a condannare Antigone per evitare di essere devirilizzato tanto da giurare che nel suo regno non comanderà mai una donna.

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Per Judith Butler la morte di Antigone avviene per due motivi principali: sia perché la protagonista ha osato ribadire il reato commesso, sia perché ha superato i limiti della parentela e dell’ordine simbolico (la giovane, infatti, è figlia di suo fratello Edipo e di sua madre e nonna Giocasta). Per entrambe le ragioni, questa tragedia greca andrebbe riletta oggi più che mai: nel primo caso, essa ci interroga sui rapporti tra potere e individui, quando è necessario rivendicare i propri diritti individuali contro un potere cieco e maschilista come quello di Tebe; nel secondo caso, rappresenta l’impossibilità di ridurre la parentela alla semplice struttura patriarcale della famiglia perché, come scrive Judith Butler, nella tragedia di Antigone «la parentela non è semplicemente una situazione in cui essa si trova, ma un insieme di pratiche che Antigone stessa mette in atto, rapporti che si sono stabiliti nel corso del tempo proprio attraverso la pratica della loro ripetizione»[1].

Per concludere, Antigone, attraverso il suo atto sfida il potere precostituito, supera i confini del femminile e maschile, della legge universale e privata, articolando una nuova visione della parentela in termini poststrutturalisti. Essa rappresenta l’indefinibile dell’essere umano sempre posto sul limite del simbolico, ciò che rimane al margine e che l’ordine vigente fatica ad interpretare spingendo coercitivamente ad assumere identità precise anche quando ciò non è possibile. Antigone rappresenta l’irrappresentabile, tuttavia essa ci parla ancora oggi e chiede di non essere condannata a morte attraverso politiche di riconoscimento e allargamento di diritti che possano portare alla riconciliazione tra ordine politico e rapporti privati cambiando finalmente finale alla tragedia. 

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[1] J. Butler, La rivendicazione di Antigone. La parentela tra la vita e la morte, Bollati Boringhieri, 2003, p. 80.

Giusy Nardulli

Nasce nel 1993 a Gravina in Puglia. Dopo la laurea in filosofia, lavora con i bambini del cui mondo si innamora insieme ai libri, le illustrazioni, le domeniche pomeriggio a scoprire “nonluoghi” con i suoi amici e i riti delle tisane.

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