fbpx

Il realismo magico di “Appuntamento al parco” di Joel Hopkins

/
11 minuti di lettura

Domani, 14 settembre, esce un film importante nelle sale della nostra nazione: Appuntamento al parco, dalla regia di Joel Hopkins con Diane Keaton (Emily) e Brendan Gleeson (Donald). Realismo magico è un’espressione che vien in mente quasi fin dall’inizio della visione di questo film.

Il titolo è Appuntamento al parco, insomma, fin da subito si pensa, senza neppure leggere la trama sinottica e guardare il trailer del film prima della visione completa, che l’Appuntamento al parco sia quello che intendiamo noi di solito, come quando intendiamo fare un picnic o una gita in barca. Invece no. Non si tratta infatti di due persone che vivono una vita in città e il fine settimana si danno appuntamento al parco per una passeggiata nel verde. Il parco è la residenza abusiva di uno di loro. Donald infatti vive in un parco, ma come tiene a specificare con veemenza ogni volta che deve, non è un senzatetto né tantomeno un barbone. Donald non pesa a nessuno, non è un «parassita della società».

Dopo aver girovagato come un gitano per mezza Europa, alla fine si è stabilito in un parco nei pressi di Londra. Si è costruito una «baracca» con le sue mani e in grazia di ciò che trovava, come afferma lui stesso durante la seduta giudiziale che una organizzazione di tutela dei luoghi pubblici gli ha intentato allo scopo di finirla con questo abuso del suolo pubblico del tutto assurdo anche per noi, a ben pensarci. Quest’uomo ha costruito una casa, una residenza abitativa, che per quanto malmessa funge da domicilio, letteralmente dal nulla e sul suolo pubblico di un parco.

La cosa ci risulta assurda al pari e forse più della notizia (reale) dei barboni che abitano il cimitero monumentale Verano a Roma e dormono nelle cappelle funebri coi morti. L’idea di fondo è questa: è intollerabile che qualcuno possa prendere la decisione di allontanarsi dalla società, di vivere da solo vicino a un fiume nel bosco di un parco e che per di più si sottragga alla regole del vivere civile, prime tra le quali l’amore per i beni materiali e per l’agio.

Il realismo magico del film sta nel cambiamento repentino della vita dell’altro protagonista, Emily, che da una esistenza in cui si trova ad essere l’attrice di una se stessa che non conosce pur di mantenersi nello status quo medio borghese, passa, mediante e con Donald, ad una vita incredibile. In effetti la vita di Donald ci fa dire che nella vita reale – cioè al di là della finzione della rappresentazione cinematografica – è una vita impossibile da vivere.

Il simile e la riduzione al simile ci hanno insegnato a mentire a noi stessi piuttosto che avere coraggio di prendere in mano la nostra vita per quelli che siamo. Così questa è la risposta di Emily alla sua pseudo amica borghese quando le dice «noi non siamo mai state davvero amiche, no?» e l’altra le chiede «come pensi di cavartela da sola?»; Emily che è piena di debiti ereditati dal defunto marito, non lavora e non ha il becco di un quattrino risponde così:«non ne ho la più pallida idea, ma non vedo l’ora di scoprirlo». Questa è una prova della condotta e dello stile di vita dell’amica – che sapeva che il defunto marito di Emily la tradiva eppure ha mantenuto un silenzio ‘dignitoso’ – che il buon senso inglese del ‘700 è tutt’altro che scomparso e che dall’aristocrazia in cui è nato è stato accolto a braccia aperte dalla nuova borghesia del ceto medio (laddove medio è di fatto da intendere come mediocre).

In Appuntamento al parco, mentre Donald, per quanto burbero, è l’unico a stare in pace, ogni altro personaggio è sull’orlo della rovina; chi da un punto di vista morale (le amiche di Emily e il commercialista), chi da quello economico, chi da entrambi i versanti come Emily che si trova spaesata in questo mondo ipocrita al pari di un bambino che si è smarrito in un sogno, non sa come agire, non sa come uscirne; così impacciata asseconda ogni assurdità sperando in un cambiamento che non avverrà mai.

Ad esempio come le avances del commercialista che si offre di aiutarla ad uscire dalla difficile situazione economica in cui si trova, senza chiederle di essere pagato, ma al contempo cercando lui stesso di comprare la sua compagnia e preferibilmente il suo stesso amore, esibendo hotel di lusso in Grecia e vaneggiando vacanze a Lanzarote; segno anche questo di una trasformazione postmoderna del matrimonio di interesse deciso a tavolino, come descritto da Jane Austen.

In questo scenario drammatico la svolta è segnata dalla funzione di catarsi esistenziale che riporta lei a se stessa: è la vera rivoluzione che apporta alla sua vita l’incontro con Donald, che le offre l’uscita di ‘sicurezza’ o meglio, di insicurezza da quel contesto asfissiante. Appuntamento al parco espone interamente un vero e proprio salvataggio trasognante e coraggioso della lotta contro la riduzione al simile, ossia un anelito all’anticonformismo placido e meno erudito di quello presentato nel film di quest’anno Vi presento Toni Erdmann della regista tedesca Maren Ade.

Ma il discorso è simile: Donald è un Toni meno buffone, ma più concreto, meno persuasivo, ma ancora più efficace nel compito (che nessuno gli ha assegnato) di ridimensionare Emily, di riportarla a se stessa, dove forse non è mai stata prima, nel corso della sua lunga vita. L’anzianità è da sempre sinonimo di saggezza, tant’è che alcuni sostengono che una persona inizia a vivere davvero solo dopo i 60 anni di età. Per 17 anni Donald è vissuto in completa solitudine, sprezzante di tutto ciò che non fosse quieta genuinità di vivere.

Nell’isolamento quasi completo Donald osservava gli altri e riposava le membra fermandosi a pensare dinanzi al monumento di Karl Marx (noto per aver risposto in un’intervista che la parola che preferiva era “semplicità”), eretto nel parco. Nel frattempo la vita che Donald ha scelto di vivere è stata quella di prodursi il cibo da solo, la corrente da solo, di lavarsi nel fiume e di non possedere nulla se non il necessario per sopravvivere e non perdere la propria dignità.

È quello che in tempi antichi avrebbero chiamato un asceta, in tempi più recenti un no-global e oggigiorno noi lo chiameremmo un sociopatico, talmente elevato è il grado di mancata comprensione che abbiamo del mondo e della vita che riduciamo ogni stranezza a una patologia psicologica. La stranezza e l’intollerabilità sono coagulate nel fatto che è meglio non vedere la possibilità del diverso e del nuovo (che in realtà è il massimamente antico), ma soprattutto dell’imprevedibile che confonde, non perché complesso (a quello ci siamo abituati), ma perché troppo semplice per essere vero, troppo spontaneo e istintivo per essere accettabile. Troppo strano.

La stranezza è considerata dai membri ben inseriti nella società come un pericolo e come una malattia. Noi, invece, potremmo dire con Jacques Lacan che la parola êtrange è scomponibile in être-ange, essere-angelo. Infatti, Donald e Emily non sono malati, sono gli unici sani. Il solito luogo comune dell’autentico e dello spontaneo sano e del costruito e inautentico malato qui viene reso con una naturalezza lieve e mai pesante. Sul finale, la vita insieme, l’amore e la condivisione vincono su tutto. E Donald riesce a caricare la sua baracca su una barca e a trasformarla in una casa errante, topos del calibro di Ritorno al futuro.

La casa errante nel fiume di Appuntamento al parco: più realismo magico di questo non esiste. Come non pensare al finale de L’amore ai tempi del colera di Gabriel Garcia Marquéz, in cui, su una nave di salubri, i due amanti, ormai vecchi decrepiti, possono finalmente vivere il loro amore, senza dirselo e navigando in mezzo ad altre navi che invece hanno issata la bandiera gialla della peste.

 

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.