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Aspettando Kilowatt Festival: anteprime dialogate

In attesa dell'inizio di Kilowatt Festival, intervista agli artisti Luna Cenere, Fabio Pisano e Carpa Diem

12 minuti di lettura

L’intervista a tre artisti provenienti da ambiti diversi – Luna Cenere, Fabio Pisano e Carpa Diem – non ha la pretesa di scegliere un rappresentante per disciplina, come a volere etichettare il Kilowatt Festival in compartimenti stagni, ed esaurirlo nella mera classificazione per area tra teatro, arte e circo, bensì si propone come suggestione parziale in attesa della partecipazione attiva da spettatore al festival stesso, che fisiologicamente chiama e risponde al pubblico, in cui ritrova e rinnova la propria linfa vitale.

Luna Cenere è danzatrice e coreografa regista, al Kilowatt Festival con il debutto nazionale di Shoes On, vincitrice tra gli altri del Premio Danza&Danza come coreografa emergente 2020.

Da quale prospettiva puoi sentirti partecipe a Kilowatt?

«Per me questa è la terza volta, nelle precedenti edizioni presentavo dei solo: questo è il mio debutto con un duetto».

Per la prima volta come regista. È stata una scelta o ti ci sei ritrovata?

«I materiali sono nati all’interno di un progetto di ricerca precedente, frutto di improvvisazione tra due interpreti, poi tenuto da parte: si era aperta una porta su un altro mondo. Ciò che stava nascendo è stato poi portato in produzione, così come era nato, senza di me come interprete e dunque sono rimasta a fare regia».

Genealogia, è stato un progetto di ricerca che ha attraversato diversi luoghi ospitanti coinvolgendo i cittadini per condividerne la ricerca e aprirla alla creazione di una struttura coreografica che nascesse dall’incontro tra professionisti e amatori per presentarla in forma scenica o installata (site specific) al termine del percorso. Shoes on scaturisce da questo progetto?

«Esatto, Shoes on è nato dentro Genealogia e poi portato avanti in maniera autonoma».

Una domanda da non addetta ai lavori: se c’è una stata una fase di scrittura, una partitura chi se ne è occupato?

«Sì, esiste una partitura e c’è un’idea di partenza precisa proprio perché nata dentro un progetto con fasi di improvvisazione dettagliate: la nudità, un momento tra due uomini e alcuni gesti già scritti…Per capire la direzione che questo momento stava intraprendendo, per poi divenire autonomo è stata indispensabile l’ospitalità a Pesaro: la ricerca è stata varia tra gioco, prendersi più o meno seriamente: sono momenti da cui nascono intuizioni, nate nelle improvvisazioni proposte dai ragazzi, poi indirizzate da me per costruire una partitura. Alcune volte c’è stata maggior libertà: con questo lavoro in musica, la partitura è stata scritta dall’inizio alla fine, le immagini sono precise. Ovviamente ai danzatori compete il lavoro interpretativo ma la scrittura è stata precisa, quasi militare, precisa sul minimo dettaglio».

Hai citato la nudità dei corpi. È un simbolo, un richiamo allo stadio ancestrale della genealogia?

«È uno stato, è uno statement e comunque indossano le scarpe. Non è così usuale avere corpi nudi con delle scarpe».

Da qui il titolo Shoes on.

«È uno stare, è una condizione nella quale mi piace sperimentare il corpo come presenza, non come oggetto».

Il Festival è un momento di grande aggregazione nel mondo teatrale. Come ti poni rispetto al debutto di Shoes on al Festival rispetto a una prima avulsa dal contesto Festival?

«Rispetto a Kilowatt Festival sono molto contenta. È un Festival con un Dopo Festival: l’incontro non avviene solo tra operatori ma con il pubblico. Essere ospite di Kilowatt significa creare scambio tra artisti, una memoria che resta, il lavoro prosegue anche a festival concluso. Felicissima di debuttare lì».

Fabio Pisano, drammaturgo e regista della compagnia Liberaimago, è a Kilowatt con La Macchia, autore vincitore Premio Hystrio 2019 e testo vincitore Premio Nuove Sensibilità 2.0 2020 Drammaturghi under 40 indetto dal Teatro Pubblico Campano.

Come nasce e come si presenta a Kilowatt La Macchia?

«Il debutto è stato al Campania Teatro festival il 30 giugno e poi su Milano con debutto regionale al Teatro Elfo Puccini il 4 luglio. Il lavoro è iniziato tre anni fa, superando la selezione al Centro Hydra di Bresca sotto la guida e il tutoraggio di Davide Carnevali per poi intraprendere, il lavoro di messa in scena con Liberaimago, sostenuti dal Teatro Area nord e dal Teatro Bellini di Napoli».

Da dove arriva la scelta e l’impegno di intraprendere la regia di un tuo testo?

«Con Liberaimago ho già sperimentato varie regie, anche di testi non miei. Quando il testo me lo consente, lavoro con la compagnia. I testi sono inizialmente elaborati insieme e poi il lavoro prosegue con il mio impegno di regia, nonostante per me sia un mondo ancora in esplorazione. È stato un lavoro molto particolare: il testo è stato destrutturato».

Rispetto alla messa in scena come ti poni da drammaturgo?

«Mi pongo sempre in maniera disponibile verso il regista: al netto di drammaturgie solide se c’è da destrutturare, anteporre o posporre, riscrivere la struttura sono molto disponibile. La drammaturgia è letteratura e quando incontra lo spazio scenico deve essere rielaborata. Mi impegno per il bene della messa in scena».   

La messa in scena di La Macchia è frutto del lavoro con Liberaimago? Rispetto alla scelta degli attori come vi siete rapportati?

«Francesca Borriero è parte della compagnia. La messa in scena è stata un lavoro indipendente dagli attori ma l’apporto di Michelangelo Dalisi ed Emanuele Valenti è stato fondamentale. Entrambo hanno proposto una chiave di lettura per cui abbiamo elaborato e digerito il testo insieme. Michelangelo ed Emanuele non sono stati scelti a caso. La data al Kilowatt Festival è arrivata perché il testo è piaciuto. È stato il nostro chiavistello e ha aperto la porta tra la drammaturgia e la messa in scena».

Perché a proprio a Kilowatt?

«Partecipiamo a tanti festival estivi come compagnia. Il Kilowatt Festival è uno dei più importanti in Italia, non solo tra i festival stagionali, l’abbiamo sempre ammirato molto. Crediamo nei festival come compagnia, li abbiamo sperimentati e vissuti a pieno, ad esempio grazie a Primavera dei teatri a ottobre 2020 abbiamo presentato una riscrittura completamente nuova dell’Alcesti con A.D.E. – A.LCESTI D.I E.URIPIDE, al Festival della resistenza abbiamo presentato Celeste. Il Festival è un ambiente stimolante, operatori, critici, ci connessioni cognitive spesso assenti nei teatri, al netto delle settimane di programmazione».

Quale è l’urgenza del testo?

«Sono un drammaturgo contemporaneo perché respiro: l’urgenza è il rapporto con altro, lo straniero, chi viene da fuori. Assistiamo allo sterminio del popolo africano: non facciamo niente. Abbiamo tempo di elaborazione strano. Dilato e annullato rispetto al rapporto con chi arriva da fuori. Basti pensare rispetto alla legittima difesa: quale è il concetto dell’altro? L’abbiamo perduto in questo periodo storico. In La macchia c’è un meccanismo perverso, non è teatro dell’assurdo ma teatro del disascolto: voler volontariamente disturbare l’ascolto: quando l’interlocutore sceglie volutamente di non ascoltare. È una macchina violenta rispetto a chi viene da fuori, allo straniero: un ruolo che non gli appartiene, ma gli viene imposto».

Circo Carpadiem di Luca e Katharina con Doppiozero, dalla scuola di circo a Madrid, vincitori nel 2019 del Bando di sostegno alla creazione ProudAct, sostenuto da Acci, Associazione Circo Contemporaneo Italia.

Come sarà il vostro approdo al Kilowatt Festival?

«Tra fine giungo e luglio siamo in Slovenia con tour di cinque giorni con Dolcesalato, il nostro primo lavoro di strada».

Doppiozero nasce in teatro e per un teatro, a differenza di Dolcesalato. Quando è nato al netto della differenza spaziale rispetto a Dolcesalato?

«Doppio zero nasce dal desiderio di portarci portarlo anche nell’interiore, dentro ai teatri. La strada ha un ritmo diverso. Abbiamo ricercato altri ritmi, un nuovo linguaggio per approfondire la nostra parte teatrale i nostri personaggi».

Quando è nato e come è nato Doppiozero?

«Nel 2020 poi causa pandemia, la prima è stata a dicembre 2021: abbiamo partecipato a rassegne all’aria aperta da giugno 2021: è la prima volta per noi a Kilowatt. Doppiozero è frutto di un lavoro intenso, siamo molto entusiasti di portarlo al Festival».

Il vostro occhio esterno quale ruolo ha?

«Non è un direttore: abbiamo lavorato con Fabrizio Rosselli che ci ha aiutati come chi da fuori offre un punto di vista che per chi è dentro è difficile da cogliere: è necessario un feedback nel mentre delle prove. Abbiamo condiviso varie settimane in collaborazione con lui in residenza e ci ha accompagnati e ci raccontiamo come va lo spettacolo. Lo Spettacolo dal vivo può godere sempre del confronto».

Rispetto alla scenografia e ai costumi? Come vi intersecate?

«Con Doppiozero abbiamo collaborato con scenografa italiana che vive in Spagna, Betti Cau: volevamo affinarlo con altri professionisti del campo. All’inizio i costumi erano cuciti da me, ci occupavamo della scena. Collaborare con Betti Cau e Giulia Rossi è stato molto arricchente, ognuno porta propria professionalità».

Una curiosità: il vostro nome?

«Il Circo Carpa Diem nasce dalla scuola di circo a Madrid dove abbiamo scelto di lavorare insieme. Ci è piaciuto il Carpe diem latino, il cogli l’attimo e abbiamo e giocato con il calembour spagnolo: carpa in spagnolo è il tendone da circo, nonostante in italiano sia un pesce!».

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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