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Esequie solenni teatro

Il tempo che resta con «Esequie solenni»

Un percorso immaginativo magniloquente grazie alla sapienza drammaturgica di Antonio Tarantino e all’eleganza registica di Renzo Martinelli. In scena fino al 8 novembre al Teatro i di Milano.

6 minuti di lettura

Alla fine

Spesso la consapevolezza della fine coincide con la fine stessa. La durata, il tempo come condizione di possibilità è imprescindibilmente legato alla propria presa di consapevolezza. Il tempo esiste nella misura in cui ce ne accorgiamo. Quando non ci prestiamo attenzione sembra che il tempo non esista.

Come prendere consapevolezza del tempo equivale a domandarsi quando il tempo viene riconosciuto, quando il tempo esiste. Il tempo esiste nell’istante della propria presa di consapevolezza. Nella puntualità del singolo momento ci si accorge della costellazione di attimi che lo sostanziano, ma come l’attimo possa emergere può resta dubbioso.

Forse il cambiamento potrebbe essere la causa di tale riconoscimento. Suona la sveglia. Il silenzio finisce. Qualcosa cambia. Un tempo entra e un tempo esce. La Storia così come autentica indagine del tempo si costituisce nell’illuminare gli attimi, i momenti di cambiamento, i momenti in cui il tempo esiste perché accade, avviene. Il tempo è il divenire, è il prendere consapevolezza del cambiamento allo stesso tempo, che appare, che si rivela nelle azioni, nell’esistenza.

Stare nel cambiamento

Così ogni inizio, ogni fine coincide con un cambiamento, così la Storia prende la forma del cambiamento, nel confronto e la fine e l’inizio si liberano dal sentimentalismo, dalla drammatizzazione pregiudiziale, vivono nell’azione che li rende tali, che li caratterizza come momenti degni di nota, perché diversi. Il dramma della Storia è l’azione che cambia, di chi sceglie di prendere consapevolezza del cambiamento.

Esequie solenni
ph@ Luca Del Pia

Così al Teatro i arriva in scena il dramma di una storia, della Storia, riconosciuta da tutti, che si fa riconoscimento del singolo e diviene realmente tale, in un percorso immaginativo magniloquente grazie alla sapienza drammaturgica di Antonio Tarantino e all’eleganza registica di Renzo Martinelli.

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Esequie solenni è il monumento, è il monito del tempo che passa, del cambiamento che è tale nel momento in cui si prende consapevolezza, in scena dal 20 ottobre al 8 novembre. La magistrale interpretazione di Elena Arvigo ed Emanuela Villagrossi concede l’ingresso nella storia dalle retrovie, dal momento della fine. Inizio e fine coincidono come momenti di piena consapevolezza e il testo di Tarantino fa collimare la consapevolezza nel personaggio che le dà voce.

Tra pubblico e privato

La vicenda intima delle due protagoniste, vedove di due uomini della politica diventa l’occasione per un confronto pubblico perché dà voce alla comunità e al privato allo stesso tempo, sostanziato dalla veracità verbale dell’io dialogante, messo a nudo nello scambio serrato, che con acume legge a fondo le intenzioni e ne disvela i moventi più segreti.

L’intimità prende la forma e il contenuto superlativo di un movimento direzionato che va a fondo nel vissuto personale e sa uscirne in tempo per darsi all’ascolto.

Il confronto tra le due figure femminili, in Esequie solenni, si sostanzia della bellezza delle immagini, nelle pause, nel silenzio che sussurra la capacità e la potenza di chi sa stare, di un tempo che non viene mai fagocitato dalla fretta ma gode della sosta che sa concedersi.

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Saper stare

La cura scenografica, con l’assistenza alla regia di Diego Zanoni impreziosita dai suoni di Gianluca Agostini, dalle luci di Andrea Ceriani e Beppe Sordi e dai costumi di Lapilou crea un impianto immaginativo che supera il reale per creare una realtà altra in grado di questionare le dinamiche relazionali in tutte le loro sfaccettature.

La Esequie solenni acquista la veracità di un movimento di uscita in grado di mantenersi tale perché sa accompagnare qualcuno. Nella diversità dei personaggi si misura il divario del trascorrere del tempo che prende consapevolezza di sé, di una Storia sincera che guarda in faccia il cambiamento e con onestà lascia spazio ad altro, all’Altro.

Nel concedere parola non ci si tira indietro, non si lascia la scena ma si afferma la propria volontà di esserci nel mettersi all’ascolto, nel sapersi criticare e mettere in dubbio, per acquisire una nuova consapevolezza, e la esequie da movimento uscente si conferma ingresso in un nuovo tempo in cui c’è spazio per una reale liberazione dal procedere cieco e serrato del prima/dopo, in cui il Tempo consapevolmente rinnovato profuma di salvezza.

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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