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Dieci leggende medievali

Lo studio storico non può prescindere dall'analisi degli eventi inspiegabili che gli uomini, nel corso dei secoli, si sono tramandati. Ecco perché questo articolo d'approfondimento è dedicato a dieci leggende medievali che se non possono raccontare la verità dei fatti, possono raccontare quella degli uomini.

23 minuti di lettura

Da sempre mito e fantasia hanno accompagnato la vita degli uomini e dei popoli. Lo studio della storia si erge sui fatti; su fatti reali, concreti, tangibili, supportati dalle fonti. Ma l’interpretazione dei fatti non può prescindere dal concedere un piccolo spazio a quelle interpretazioni, a quei racconti e a quelle costruzioni fiabesche che gli uomini stessi hanno messo in piedi per tramandare la realtà o almeno una visione di essa.

Lo studio storico non può prescindere dall’analisi antropologica delle gioie, dei timori, delle meraviglie e degli eventi inspiegabili che gli uomini stessi, nel corso dei secoli, si sono tramandati in modo del tutto soggettivo e irrazionale, passandosi tra generazioni quelle che noi oggi chiamiamo leggende, dal termine latino legenda, che indicava tutte quelle cose che bisogna leggere appunto, da interpretare.

Per questo motivo dedichiamo un articolo d’approfondimento a dieci leggende medievali, inquadrandole con gli occhi degli storici, per cogliere il senso concreto, il contenuto reale celato dietro la fiaba, dietro l’inverosimile, dietro il pittoresco, dietro il misterioso, dietro i modi diversi di tramandarsele. Lo facciamo tenendo a mente la convinzione che se di solito le leggende non possono raccontarci la verità dei fatti, possono raccontarci lucidamente quella degli uomini.

1. L’eroe dormiente e i re della montagna

Federico Barbarossa, in una illustrazione ottocentesca, chiede ad un giovane di controllare il volo dei corvi fuori dalla caverna

Un eroe o un re saggio che ha ormai concluso la propria vita terrena continua a viverne un’altra nascosto tra le montagne. La prima leggenda che trattiamo e che affonda le radici nella tradizione medievale, della quale circolano infinite varianti, riguarda proprio questa fantasia. Secondo talune storie, tramandate soprattutto nel continente europeo, tale destino sarebbe toccato a sovrani come Carlo Magno o Federico Barbarossa. Nessuna morte, ma una sorta di vita eterna nascosti tra le caverne dei monti, pronti a ritornare al momento giusto.

La leggenda di Federico Barbarossa, ad esempio, lo vede dormiente coi suoi cavalieri tra i monti della Turingia, pronto a riportare giustizia e buon governo «quando i corvi cesseranno di volare». Una storia tramandata col titolo di Eroe dormiente o Re della montagna. Presente tra i racconti dei fratelli Grimm, ha origini antichissime ed è legata all’aura mistica e quasi divina che si attribuiva ai sovrani, specialmente ai più noti e influenti. Una simile storia esiste anche nel mondo islamico, col mito dell’imam nascosto.

Secondo questi racconti, le dimore segrete degli eroi dormienti, di tanto in tanto, vengono casualmente scoperte da pastori o giovani fanciulli, che subito dopo sono destinati alla morte o a perdere il senno. Si può cercare un’interpretazione storica di queste fiabe analizzando le precarie condizioni di vita del Medioevo e della prima età moderna. Nei momenti in cui caos e instabilità terrorizzavano il popolo, tra la gente circolavano narrazioni su saggi sovrani in attesa sulle montagne. L’utopia di una giustizia pronta a palesarsi.

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2. La terra perduta di Prete Gianni

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Una raffigurazione del leggendario Prete Gianni sul trono

Forse proprio sulla scia delle speranze per una società più giusta e per un buon governo è sorta un’altra leggenda medievale affascinante: quella del regno di Prete Gianni, un presunto monarca cristiano mediorientale vissuto in un periodo imprecisato, a cavallo tra età tardo-antica e Medioevo, in un’area geografica altrettanto imprecisata, collocabile per alcuni nell’Africa etiope, per altri in Medio Oriente, forse in Siria.

Tra XII e XIII secolo la storia di questo mitologico sovrano cristiano, che avrebbe amministrato con saggezza e profonda fede un vasto regno popolato da creature fantastiche, è stato legato alla leggenda del Santo Graal, che taluni autori medievali volevano custodito proprio da Prete Gianni. La base documentale di questa bizzarra narrazione è rappresentata da una lettera di XII secolo, il cui firmatario sarebbe proprio il Presbyter Iohannes, intento a descrivere il proprio territorio di governo.

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A parlarne anche Wolfram Von Eschenbach, cavaliere e autore originario della Turingia, nel suo Parzival, del XIII secolo. La leggenda sarebbe stata alimentata da precedenti racconti, sicuramente riferiti a più regni diversi, geograficamente e cronologicamente, visitati da cristiani occidentali nelle aree orientali. Potrebbe darsi che il mito di XII secolo sia nato sulla base di resoconti di viaggio di età paleocristiana o del primo Medioevo. Qualcuno fa riferimento a Giovanni il Presbitero, vissuto in Siria, del quale parlò Eusebio di Cesarea.

3. Fauni, satiri, paganesimo e l’ignoto nei boschi

Fauno da Pompei

Sin dall’età degli antichi, boschi, foreste, campagne e zone rurali hanno sempre affascinato. Tra le leggende medievali più note e tramandate della storiografia, dal paganesimo sino all’età cristiana in Europa, vi è sicuramente quello legato a presunte divinità o a presunti spiriti dei boschi. Le leggende di questo tipo descrivono, di volta in volta, esseri diversi, femminili o maschili che siano. Ma la figura certamente più nota, oltre ai classici gnomi e folletti, è quella del fauno: l’umanoide con zampe animalesche guardiano delle selve e delle bestie.

Chiamato talvolta fauno, legato al culto di Pan, è appellato anche come silvano o satiro. Un essere né uomo né fiera, ma una fusione di entità. Tutto e niente. Concreto e visibile oppure sfuggente e illusorio come il soffio del vento. Già in età antica simboleggiava l’euforia, la perdita di razionalità e dei sensi del quotidiano. L’abbandonarsi alla musica e al canto, sulla scia dionisiaca. Un suono di flauto che poteva confondere, ammaliare, far perdere l’orientamento. Entità insomma ambigue, capaci di fornire estremi piaceri, ai limiti dell’orgiastico, ma anche di far smarrire, fisicamente e mentalmente.

Un mito “peggiorato” dai racconti medievali, certamente alimentati da una certa propaganda religiosa, specialmente nelle fasi di cristianizzazione forzata dell’Europa pagana, dove gli antichi idoli classici, gli antichi culti propiziatori e le antiche usanze andavano cancellate e demonizzate. Ecco che i fauni diventano incubo, un demone così definito dai cristiani, legato al male e al peccato.

Un qualche ruolo, nella costruzione della leggenda medievale devono aver avuto anche i momenti storici in cui le foreste, i boschi, i luoghi aperti e lontani dalla sicurezza quotidiana, suscitavano timori ed evocavano possibili pericoli, imboscate, rappresentando quindi avventure incerte da evitare.

4. Il Termagante e il timore dell’alterità

Una pagina del Corano, secolo XII, Andalusia

Si teme sempre ciò che non si conosce. Cosa potevano pensare gli uomini comuni europei del Medioevo, che avevano una fede profonda e una paura dell’ignoto altrettanto profonda, riguardo ai musulmani? Una religione diversa, forse nessuna religione. Gli “infedeli” in cosa credevano? Ecco che nel mondo cristiano si diffonde la leggenda – o la fake news in questo caso – del Termagante o Tervagante, una divinità inesistente in realtà, che si presupponeva venisse adorata dai musulmani e che popolava racconti e romanzi.

Persino Maometto veniva considerata una divinità mistica, ”Mahomet”, forse inserita in un’immaginaria triade araba, ”Mahomet-Termagante-Apollyon”. Teorie prive di qualunque fondamento storico o religioso. Se ne parla anche nella Chanson De Roland e nell’Orlando Furioso. Ne nacque una figura letteraria secondaria, ma frequente, che spesso incarnava ovviamente personaggi negativi e perfidi. All’Islam veniva collegato anche Baphomet, un ipotetico idolo barbuto apparso anche nel processo ai Templari, accusati di venerarlo, essendo entrati in contatto, in Terra Santa, con le credenze musulmane.

5. Robin Hood: la freccia della ribellione

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A Gest of Robyn Hode, secolo XVI, National Library of Scotland

Probabilmente una delle più note leggende medievali è quella di Robin Hood, il fuorilegge giustiziere. La storia di un fantomatico arciere britannico che rubava ai ricchi per dare ai poveri e che dai poveri era protetto ed evocato nei racconti. Un mito sorto, secondo le teorie storiche più accreditate, dal mescolamento di racconti e situazioni differenti, probabilmente anche di epoche medievali diverse, tra XII e XIV secolo. Da Robin Hood a Robert Hood, a Robyn Hode, le varianti sono innumerevoli.

Per alcuni relativo alla Contea di Nottingham, per altri all’area dello Yorkshire. Ma la storia alla base è sempre uguale. Un vendicatore del popolo, un bandito sfuggente. Vari studiosi lo credono identificabile anche col mito stesso delle divinità dei boschi. Ma storicamente un dettaglio potrebbe farci riflettere sul senso della sua storia e quindi sulla struttura psicologica e sociologica che regge l’intero racconto.

Tralasciando i classici accostamenti all’epoca di Riccardo Cuor di Leone, molte delle narrazioni che riguardano questo personaggio si sviluppano e crescono a cavallo tra XIII e XIV secolo. Non a caso nel periodo in cui in Europa, specialmente tra i ceti bassi, andavano maturando gradualmente, come fuoco sotto cenere, idee di ribellione, di protesta, di dissenso, che sfoceranno dopo le carestie del Trecento nelle rivolte contadine che proprio in Gran Bretagna hanno lasciato il segno. Possiamo dunque classificarlo come topos di una embrionale letteratura della ribellione o del dissenso popolare?

6. Animali fantastici e dove trovarli: l’unicorno di Bonifacio VIII

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Raffigurazione di un unicorno, Bestiario di Rochester, XIII secolo

Un animale che conosciamo solo perché connesso alla fantasia, alle favole, ai cartoni animati. Ma pare che Bonifacio VIII, il tanto discusso pontefice dello schiaffo di Anagni, dello scontro con Filippo il Bello, pittoresco ecclesiastico descritto come credulone e collezionista di cianfrusaglie bizzarre, tanto per cambiare, ne possedesse la tanto leggendaria estremità: l’unicorno.

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Parrebbe una frottola, ma nell’inventario papale del 1295 se ne fa menzione per davvero. Questa creatura leggendaria appare frequentemente nei bestiari medievali, nell’araldica, in numerose storielle anche più antiche, che tornano all’età classica e forse addirittura alle raffigurazioni sumeriche e dell’Oriente lontano. Nell’età moderna non sono mancati studi, anche seri, sulla presunta esistenza dell’unicorno, ovviamente con risultati negativi. Apparvero anche fossili, rivelatisi poi di dinosauri, rinoceronti o altri animali.

Molto probabile che quella appioppata, chissà da chi, a Bonifacio VIII fosse una gran bella patacca. Quelli che in passato si credevano resti di unicorno, potrebbero essere stati, secondo il parere di validi biologi, denti di narvalo, un cetaceo caratteristico e piuttosto raro. Esami storici alla mano, dunque, nient’altro che una bella fiaba per bambini… e per Bonifacio VIII.

7. Artù e la memoria del passato remoto

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Raffigurazione di Re Artù, Historia Regum Brittaniae, Goffredo di Monmouth, secolo XII

Parliamo di epoche lontanissime e di leggende medievali di difficile decifrazione. Se Artù sia esistito o meno rimane, onestamente, un mistero. Probabilmente tra le leggende sin qui esposte, insieme a quella di Robin Hood, ha maggiore probabilità di trovare riscontri storici. La figura di un re-guerriero, forse romano-britannico, vissuto forse tra V e VI secolo, che combatte contro le barbare tribù del Nord difendendo la propria terra non è inverosimile. E come nel caso della leggenda di Robin Hood, potrebbe aver subìto enfatizzazioni e costruzioni a posteriori.

Le fonti, almeno letterarie e romanzate, in questo caso sono tante e variegate. Appare difficile credere che non vi sia almeno un briciolo di verità dietro i resoconti. Riscontri si trovano non solo nella letteratura del ciclo bretone, ma anche in autori e miti gallesi. Magari trattasi della storia tramandata di un valido combattente al quale il tempo ha aggiunto gli attributi canonizzati del sovrano ideale, del re che combatte per il popolo contro i nemici esterni, dell’eroe buono e giusto, saggio e sprezzante della morte, circondato dai suoi cavalieri.

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Alcune ipotesi storiche sostengono che l’origine del mito arturiano sia da ricercare in figure fantastiche del folklore e della tradizione, forse addirittura celtica. A queste figure della tradizione potrebbero essere state attribuite, appunto, gesta di un passato già lontano per il Medioevo inoltrato, come l’età tardoantica, per coprire vuoti narrativi o l’assenza di personalità storiche menzionabili alle quali attribuire quelle esperienze di battaglia delle quali si tramandava una certa memoria.

Nell’analizzare la leggenda sono stati presi in considerazione, con ampi margini, anche fatti storici ancora più remoti, risalenti addirittura al II secolo, quindi all’età ancora pienamente romana. Nelle battaglie a difesa della Britannia romana – quella marcata dal Vallo di Adriano per intenderci – infatti, appare un Lucio Artorio Casto, Lucius Artorius Castus, un comandante di legione, menzionato da un’epigrafe, che si sarebbe distinto per coraggio e fama. Il nome Artorius rievoca suggestive somiglianze con Arthur, cioè Artù.

8. La segale cornuta: le leggende nate da un’intossicazione

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Claviceps purpurea, la segale cornuta

Ebbene sì. Strani comportamenti, “fuoco di Sant’Antonio”, convulsioni, balletti, spasmi, visioni, allucinazioni. Tutte cose che nel Medioevo facevano scattare ogni genere di superstizione, credenza, leggenda e mistero. La colpa, invece, era della segale cornuta. La Claviceps purpurea, parassita delle piante di grano, provocava, se ingerita, i suddetti effetti. L’ergotismo è il nome che ne definisce l’intossicazione, dal francese ergot, sperone, che si riferisce alla forma delle protuberanze che si manifesta sul grano infetto.

Pare che alla base di esperienze mistiche, di apparizioni, di allucinazioni, soprattutto nelle zone di campagna e tanto più nel Medioevo, vi fosse proprio il consumo ignaro della segale cornuta. Le proprietà di vasocostrizione e interferenza sul sistema nervoso umano, persistono anche se il grano viene cotto ad alte temperature per ottenere pani e lavorati vari.

All’influenza fisica di questo parassita vengono attribuiti fenomeni di allucinazione collettiva e strani comportamenti, come nei celebri e inspiegabili avvenimenti di Salem, in età moderna, che colpirono molte giovani donne nel XVII secolo e che alimentarono una terribile caccia alle streghe. Nel Medioevo, invece, nacque proprio un ordine votato alla cura di tali effetti, i Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne. L’allucinogeno, secondo alcune fonti, sarebbe legato anche alle pratiche degli antichi Misteri Eleusini, nei quali un particolare significato simbologico assume proprio la spiga di grano.

9. La fonte della giovinezza

La fonte della giovinezza, Lucas Cranach, 1530 circa

Quella della fonte della giovinezza è una delle leggende la cui origine è collocabile tra la fine del Medioevo e la prima età moderna, frutto delle esplorazioni – e dei relativi miti – avviate dopo la scoperta del continente americano da parte degli europei nel 1492. Si attribuisce a Juan Ponce De Leon la ricerca della fonte, durante un viaggio in America, forse in Florida, area che scoprì agli inizi del Cinquecento.

L’origine del mito è attribuibile alle favole raccontate dai nativi americani, su una presunta sorgente d’acqua con poteri curativi, collocata tra monti inaccessibili e foreste invalicabili. Questi racconti si tramandarono facilmente e, insieme ad altri, come il mito della famosa Città d’oro, sortirono un forte fascino sui conquistatori europei, che dedicarono alle esplorazioni e a vere e proprie battute di caccia al tesoro, innumerevoli viaggi.

Racconti simili non mancano neppure nel continente europeo e già in età classica. L’uomo – ecco un’analisi storica verosimile che se ne potrebbe trarre – cerca sempre una soluzione ai propri mali, all’invecchiamento e alla morte, che più lo terrorizzano. L’idea della chiave dell’immortalità, delle acque che guariscono e fermano l’inevitabile caducità umana, non poteva che essere un topos vincente. Già Erodoto scriveva di una fonte simile forse in Africa, che sortiva sugli abitanti di quei luoghi strabilianti effetti in quanto a longevità e stato di salute.

10. L’enigma del manoscritto Voynich, trovato in Italia

Studi astronomici contenuti tra le pagine del manoscritto Voynich

Concludiamo con una storia particolare. Più che una leggenda medievale è un rompicapo medievale. Si tratta di un codice illustrato di XV secolo, almeno secondo la datazione al radiocarbonio, ricco di immagini, probabili studi scientifici o interpretazioni naturalistiche, disegni, schemi, elaborato in una lingua sconosciuta e ancora indecifrata, del quale ignoriamo l’autore, l’origine, lo scopo e la piena lettura dei contenuti. Praticamente quasi tutto.

Attualmente conservato a Yale, negli Stati Uniti, fu acquistato nel 1912 nella zona di Frascati, in Italia, da Wilfrid Voynich, libraio polacco dal quale prende il nome, presso un istituto di Gesuiti. Da una lettera contenuta all’interno, si è saputo soltanto che sarebbe arrivato in Italia dalla corte di Rodolfo II a Praga, notoriamente ossessionato dall’alchimia e dalle scienze naturali, che lo aveva a sua volta acquistato dietro la convinzione, forse, che appartenesse allo studioso medievale inglese Ruggero Bacone di Oxford.
Di teorie a riguardo se ne sono accumulate decine, almeno quanto il numero di storici, studiosi di crittografia e filologi che lo hanno esaminato. Per taluni opera artificiosamente truffaldina, per altri complicato codice filosofico o scientifico. Certa rimane solo la datazione, verosimilmente collocabile intorno alla metà del XV secolo. Uno studio del 2019 ha azzardato un’attribuzione a monache domenicane vicine alla corte di Maria di Castiglia, identificandolo come manuale pratico ed erboristico.

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Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

1 Comment

  1. Ottimo lavoro e molto interessante. Complimenti. Pietro Gelmi

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