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«Carrie & Lowell», il ricordo di Sufjan Stevens

Come un cantautore può esternare dei sentimenti così personali come quelli della scomparsa della madre? Sufjan Stevens lo fa in maniera perfetta.

5 minuti di lettura

È nello stile di Sufjan Stevens quello di nascondere indizi e misteri nelle sue canzoni, offrire all’ascoltatore un percorso da seguire. Sin dagli esordi il cantautore introduce le sue canzoni ai concerti con piccole storie che aiutano a contestualizzare la musica e le parole, spiegando cosa l’ha ispirato nella creazione del pezzo. Ciò che lo rende speciale è che nel corso degli anni le storie cambiano, nella forma e nell’aspetto, mantenendo però la stessa morale e gli stessi concetti«I’m prone to making my life, my family, and the world around me complicit in my cosmic fable, and often it’s not fair to manipulate the hard facts of life into a vision ques» ha detto all’inizio di quest’anno riguardo al suo modo di scrivere e di creare musica.

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Al suo settimo album, Stevens ripone tutti i suoi enigmi nel cassetto, lasciandosi puro come quando scrisse Seven Swans nel 2004. Carrie & Lowell è un album scritto in memoria della madre, morta nel 2012. Ma non è un semplice tributo, è una complessa e oscura testimonianza di quello che la madre è stato per lui: Carrie ha lasciato la famiglia quando Stevens aveva solo un anno, i successivi contatti con lei sono stati solamente quando il fratello maggiore lo portava a visitare la casa della madre in Oregon durante l’estate, dove viveva con il secondo marito Lowell. Carrie soffriva di depressione e schizofrenia, era alcolizzata e il ricordo che Stevens ha di lei e di quei giorni è quindi difficile da definire, tanti dubbi e tante domande che non hanno trovato risposta.

«When I was three, maybe four / She left us at the video store» canta in Should Have Known Better; in Eugene canta ripetutamente verso la fine il suo bisogno «to be near you»; in Fourth of July, immagina se stesso dire alla madre «Did you get enough love, my little dove / Why do you cry? / And I’m sorry I left, but it was for the best / Though it never felt right».

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È una necessità per lui quella di aprire l’album con Death With Dignity, con l’assoluzione di tutti i peccati, i dubbi e le domande senza risposta che la madre gli ha lasciato «I forgive you, mother, I can hear you / And I long to be near you»

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Anche quando non canta della madre, Stevens non si dà pace. All of Me Wants All of You parla di una relazione fallita, ma solo apparentemente, senza drammatismi e cuori infranti: «You checked your texts while I masturbated / Manelich, I feel so used».

Carrie & Lowell non è semplicemente un album depresso, è calmo e riflessivo più di quanto possa sembrare arrabbiato e disperato per l’accaduto. La voce di Stevens fluttua dolcemente tra le parole e spesso sale in falsetto come a trattenere un dolore, ma senza rabbia. Gli strumenti sono, come al suo solito, in buona parte acustici, le chitarre, gli ukulele, i banjo pizzicati. Tutto è calmo, meditativo e curato nel dettaglio. Il piano di John the Beloved è così dolcemente accennato che nei primi secondi non si riconosce nemmeno il fatto che sia un piano.

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Alcuni fatti della vita di un cantautore possono portalo a scrivere pezzi fuori dai suoi schemi, melodie che non si sarebbe nemmeno immaginato qualche tempo prima. Sicuramente la morte di una madre è sempre un fatto molto tragico che però Stevens ha dimostrato di aver interiorizzato con filosofia e assoluta calma meditativa. Come al suo solito, il cantautore non ha puntato alla commerciabilità dell’album in quanto tale, ma è comunque riuscito a creare un disco completo e di omogenea bellezza, da ascoltare d’un fiato dalla prima all’ultima traccia.

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Andrea Brunelli

Studente di ingegneria a Trento con la passione per la musica, quella vera. Cercatore di verità oltre il muro grigio.

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