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Cloud Atlas: metempsicosi e parousia dei corpi

3 minuti di lettura

Dopo la trilogia di Matrix i fratelli Wachowski hanno iniziato a manifestare la loro “mania”. Ben presto, uno dopo l’altro, sono diventati trans-gender , termine che per un filosofo acquista un significato assai potente. Ad ogni modo, Cloud Atlas prima e Sense8 dopo ci fanno capire in modo esplicito come i due cineasti hanno inteso e agito tale cambiamento. Questo, in generale, come si ritiene anche nel vulnus, è una trasformazione pilotata che ha di mira niente meno che la natura stessa.

Nel loro caso questa trasformazione artificiale non è per nulla peregrina o fatta per moda, né si tratta nel loro caso di un cambiamento voluto in quanto soffrivano nella condizione psicologica per cui si trovavano a sentire di “avere un’ anima femminile imprigionata in corpi maschili”. No. Niente di tutto ciò. Quel che sanno molto bene i/le Wachowski è che separare anima e corpo, quasi come fossero due realtà poste una accanto all’altra o sovrapponibili, è un’assurdità bella e buona.

I generi trans generici sono, per noi, quei generi sommi che filtrano attraverso tutti gli altri generi delle cose esistenti. Diventare un trans-gender non significa cambiare genere, dal maschio alla femmina e/o viceversa, vuol dire attraversare entrambi i generi; come detto sopra, non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Se uno tiene presente il Simposio platonico, un essere umano che compie una cosa del genere è, per così dire, un ingordo che ha di mira l’autosufficienza con sé. Ma non è, credo, il loro caso.

Cloud Atlas, si diceva. Film che lascia a bocca aperta. Le chiavi di lettura e gli spunti di riflessioni sono autonomi e non se ne vede scorgere la fine. Il filo conduttore, comunque, che ci lascia i segnavia per cogliere nel segno o anche solo per dare un’interpretazione coerente sul contenuto del film è, a buon ragione, questo: la metempsicosi; il viaggio delle anime immortali attraverso il tempo.

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Questa è una via sicura per non sbagliare totalmente, ma se si resta su questa linea interpretativa, senza scorger altro nel film, qualcosa di essenziale ci resta precluso, e proprio ciò che i/le Wachowski vogliono, invece, porre in risalto. Indugiando sulla mera forma della pellicola, sulle sceneggiature delle sequenze, salta all’occhio un qualcosa di importanza capitale per il contenuto concettuale: gli stessi attori interpretano, si direbbe, diversi e svariati personaggi. Facendo attenzione, questi personaggi che vivono di fatto in momenti distanti delle età del mondo – e tenendo presente ciò che si è detto della trasmigrazione delle anime – si è indotti a pensare che siano persona a pieno titolo diverse, che vivono vite diverse, in periodi del Welt-zeit diversi.

C’è però un aspetto decisivo che deve essere evidenziato. Le riprese delle sequenze tengono a mettere in risalto i corpi, i visi, le somiglianze fisionomiche e somatiche. E, se ciò non dovesse bastare, si badi alla “voglia” a forma di cometa. Il senso è questo: non si tratta di anime immortali che abitano un corpo preso a caso nei diversi periodi del tempo, come fosse un contenitore contingente. Né tanto meno di persone diverse. Infatti i vari personaggi sono non le stesse anime che si reincarnano, ma le stesse persone che si rincontrano in fasi cicliche, circolari del tempo. Il personaggio che è arrivato a comprendere questo aspetto caratteristico dell’essere proprio che compete al vivente umano è Sonmi-451. Stupisce il fatto che sia un non-umano a comprendere una caratteristica essenziale degli umani (ci sarebbe molto da dire su questo in tema di post-umano). La frase di Sonmi-451 che riecheggia nel film come un mantra da imparare a memoria suona :

«Our lives are not our own. From womb to tomb, we are bound to others. Past and present. And by each crime and every kindness, we birth our future»

Questa frase non si lascia spiegare. La sua natura non lo permette. Essa si può, tuttavia, riformulare :

«Le nostre [proprie] vite, non sono [solo] nostre [cioè di noi che le stiamo vivendo «qui e ora» una volta per tutte], da grembo a tomba [=dall’inizio alla fine] siamo legati ad altri [sempre i noi che eravamo e che saremo] e da ogni crimine e da ogni gentilezza; generiamo il nostro futuro»

Il soggetto è la vita o, meglio, le vite, non la sola anima, non il solo corpo: il connubio di anima + corpo = vite. La vita (in greco zoé) è un modo dell’essere caratterizzato dal suo essere in un mondo, per questo le vite sono le possibilità fondamentali e eccellenti di ciò che è vivente. Queste vite che sono sempre le stesse vite e sempre vite diverse, sono dall’inizio alla fine, cioè dal momento in cui (ri)nasciamo in un mondo al momento in cui, ogni volta, moriamo in un certo tempo determinato. Le nostre vite sono legate con altre vite che vivremo. Questo legame non è dato solo dalla rinascita personale, dal fatto che riviviamo intere vite sempre nostre, piuttosto tale legame è la costante che va capita in ogni vita che si vive nel momento del tempo in cui la viviamo. Il discorso finale di Sonmi-451 ci mostra che lei ha acquisito questa consapevolezza nella sua vita da non-umana, ciò ci fa subito pensare che innanzitutto e per lo più gli esseri umani non giungono mai a capire questa costante che gli compete in quanto sono i viventi che sono. Questa comprensione di Sonmi-451 è presumibilmente la ragione per la quale da lì in avanti viene venerata come una divinità del passato che ha la specifica capacità di vederci chiaro sul come stanno le cose, di essere chiaroveggente.

 

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Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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