La mimesi del volto è il primo approccio col mondo. E col nostro mondo l’approccio di Bergoglio è stato di una preesistente empatia. Sarà forse colpa della somiglianza del viso con quello di Woody Allen o colpa della forse volontariamente ostentata drammaticità delle espressioni. Papa Bergoglio è un leader perché empatico. E con l’epiteto leader non ci si riferisce al ruolo religioso. Bergoglio è un personaggio sociale, un politico che sta trasformando il Vaticano in un partito di opposizione. Ma a volte si ha l’impressione di avere un deja vu: la nuova Chiesa è un partito che già conosciamo.
Bergoglio ha una mania strana che è quella di graffiare la patina scura del consenso: lascia un segno laddove c’era sicurezza, sfida la fedeltà certa per far proseliti tra i dubbiosi. Non fa teologia, ma fa pratica religiosa, a volte pratica ideologica, ma pur sempre pratica. E per pratica si intendono fatti, azioni, risultati, anche se a volte meramente simbolici. Bergoglio fa e, nel fare, coinvolge chi lo circonda, coinvolge la Chiesa e le singole chiese. Le spinge all’emulazione e spinge all’emulazione anche chi della Chiesa non fa parte, chi la fede non la ha. Sono i non iscritti al partito, sono quelli di sinistra per vocazione.
Così l’attuale pontefice e la Chiesa da lui guidata sono la sinistra italiana dei primi anni 2000. Come quella sinistra, la Chiesa di oggi sfida gli avversari e spesso perde. Come essa ha un presupposto che, tuttavia, non tradisce e che è anche la sua immensa debolezza: la fede, quella che per la vecchia sinistra erano gli ideali.
Non è difficile tornare con la mente a una quindicina di anni fa. Se la memoria è fragile, è sufficiente farsi un giro sul web, su youtube, e guardare interviste o spezzoni di programmi di quegli anni. È un viaggio breve ma degno di essere intrapreso.
La trap non esisteva, il rap era un’alternativa più valida di oggi, il Grande Fratello era considerato ancora un programma innovativo, il televoto non c’entrava con la politica e la sinistra faceva a gara con Silvio Berlusconi per ottenere un consenso che vacillava. Era un consenso, però, che faceva leva su un elettorato giovane meno disilluso, più sognatore, meno avvezzo alla rabbia. La rabbia esisteva ma era di nicchia, un normale istinto giovanile oppure, nei più maturi, un residuo sessantottino invecchiato come un buon vino. Un istinto che da Vittorio Sgarbi non si era ancora propagato come un virus: di virus, a far paura, c’era solo quello della mucca pazza.
Cos’era la sinistra
La sinistra era uno stendardo poco vistoso, passava inosservata nella fiera marcia liberale dei corrispettivi partiti negli altri Paesi europei. Era un placido assenso a domande reazionarie. Qualche volta, però, si svegliava, alzava la testa e la voce. Di risultati ce ne erano pochi, ma qualche simbolo di vera sinistra c’era ancora, proprio lì, sotto la paura di perdere voti. Una paura non ancora totalizzante, scacciata via dalla consapevolezza di dover fare quello che la sinistra era chiamata a fare: lottare per il lavoro, l’istruzione, i giovani. L’Europa era un paradiso che ci aveva accolto ridacchiando materna. I social non deformavano la verità politica né l’amplificavano a dismisura. Ogni cosa detta restava una cosa detta e non per forza un voto inviolabile: l’oblio esisteva ancora (beato chi se lo ricorda) e aiutava ogni politico. Aiutava anche gli elettori a non legarsi al dito le sillabe e far loro formare parole diverse a seconda della battitura sulla tastiera di un computer. Serviva a tenere a mente i reali bisogni e a non inventarsene di nuovi, come la libertà di non vaccinarsi o quella di sentirsi eletti solo perché nati qualche chilometro più a nord del continente africano.
Una sinistra silenziosa, avvezza a tollerare le differenze e a nutrirsene col sogno di città multietniche come quelle che si erano viste nei telefilm americani del decennio precedente e che ora si affermavano come cult, come totem da adorare e ricreare anche nella società. Una sinistra muta o silenziosa, qualche parola appena, sui diritti LGBT ma raramente ostile, fieramente lontana da ogni politica del sopruso.
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Una politica di sinistra che la Chiesa sembra oggi aver adottato. Una politica più avvezza alla coerenza, meno al consenso. Non è difficile individuare nel comportamento odierno del Vaticano un’attenzione maggiore all’eguaglianza. Anzi, qualcuno ne è infastidito e, oltre a tacciarla di voler essere solidale solo con gli stranieri, la taccia anche di una solidarietà solo di forma. Ma, non volendoci addentrare in questa analisi della concretezza, possiamo controbattere che certamente anche la forma è un atto e, come tale, ha un simbolismo, a prescindere dal risultato effettivo, che può stimolare le coscienze e guidare le masse.
Una strategia, quella adottata dal Vaticano, che non dà peso ai dati sociali che vedono una fetta maggioritaria di italiani incentrare il proprio malcontento su bersagli vicini e di facile appiglio, ignorando le verità economiche che ci vedono al collasso per problematiche ben diverse da quelle dell’immigrazione. Così la Chiesa raccoglie un certo tipo di sostenitori, ne perde altri. Ma di questi non si cura, le importa ma con la consapevolezza della differenza d’indole che separa i degni dai non. E i degni, che per la sinistra erano i pensatori senza frontiere, i combattenti per i diritti non ancora acquisiti, oggi per la Chiesa sono ancora i pensatori senza frontiere, i combattenti per i diritti da altri non ancora acquisiti.
Restano temi su cui la Chiesa tace. Su altri si contraddice. Su altri ancora parla poco e male.
Resta il dubbio sull’omosessualità: Bergoglio alza le mani di fronte al giudizio nei loro confronti, lascia aperto uno spiraglio di riconoscimento. Poi dice altro, la porta si chiude. Non sembra un meccanismo lontano da quello adottato dalla sinistra dei primi anni del 2000 sul tema: spiragli per leggi che dovranno aspettare più di un decennio per trovare un riconoscimento (non certo completo) nel nostro Paese. Resta la delusione su eutanasia, di cui si dice poco. Ed è un atteggiamento che accomuna la Chiesa alla politica attuale. Si dice qualcosa e poi si fa cadere il tutto nel dimenticatoio.
Una strategia che genera stizza nei più reazionari ma che fa del Vaticano un partito che è lento nel percepire l’attualità, ma resta forte in quel poco che ha capito. Mentre gli attuali partiti sembrano aver capito ed essere pronti a dimenticare, a fare un passo indietro e a rendere, in modo relativo, la Chiesa la nuova sinistra. È una posizione paradossale, ma che trova sostegno nell’idea di una sinistra vera, quella partitica, che resta ancora invisibile e incapace di trovare una vera corrispondenza nella società.
Certo l’esagerazione non giova. C’è chi parla di Chiesa come di nuova resistenza nell’Italia salviniana, ma è una definizione che lascia il tempo che trova, frutto di amplificazioni senza alcun tipo di fondamento storico o ideologico. La Resistenza è fiera e spavalda. La Chiesa ha una spavalderia molto embrionale, che fa leva sulla sua tradizione più che sull’innovazione. Resistenza non è, ma è embrione di rivolta a una politica tradizionalista.
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