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Su «Il complotto al potere» di Donatella Di Cesare

19 minuti di lettura

Che cos’è il complottismo nelle nostre società democratiche contemporanee? Perché fa così tanti proseliti? Che fondamenti ha? Da cosa si origina? Queste le domande a cui Donatella Di Cesare tenta di trovare risposte nel suo ultimo libro, pubblicato recentemente per Einaudi, dal titolo Il complotto al potere

Etimologia

Per iniziare ad inquadrare il complottismo, Di Cesare solitamente muove dalla semantica della parola stessa. Anzitutto, servendosi della ricerca etimologica e del metodo storico-filologico, che rintraccia l’origine e lo sviluppo di un termine linguistico, la pensatrice distingue il complottismo tanto dalla congiura, quanto dalla cospirazione. I tre termini non sono affatto sinonimi, designano cose diverse. Questa distinzione, oltre ad essere istruttiva, è anche un primo passo per le analisi filosofico-politiche svolte da Di Cesare nel prosieguo. 

Donatella Di Cesare

Siamo tutti complottisti

Il complotto al potere è un titolo filosoficamente denso da interpretare. Indica, nel significato dato dall’autrice, che il complottismo è il milieu della politica degli Stati democratici neoliberali, assurge esso stesso al potere, nell’epoca ipermoderna del populismo e della post-verità. Dunque, la teoria critico-diagnostica del complottismo attuale ci mostra, secondo Di Cesare, che saremmo tutti affetti da complottismo, perché ci muoviamo in un contesto socio-politico intriso di ideologia complottista, e quindi del moltiplicarsi di complottismi in grado di fare proseliti e di guadagnare consenso. La visione complottistica del mondo è la visione politica imperante oggi, il nuovo punto di partenza pseudo-critico dei cittadini. Fraintendimento delle autentiche possibilità fornite dall’assenza di fondamento. 

Lo stile scrittorio di Di Cesare è fortemente evocativo, il suo libro non si presenta come un’opera filosofica accademica, per professionisti del pensiero o “filosofi di professione”. Il lessico evocativo e il tono incalzante e assertivo fa del saggio un pamphlet filosofico-politico, pensato per fare chiarezza sul complottismo e sulla situazione socio-politica odierna, e per dare un contributo significativo soprattutto al dibattito pubblico ancor più che a quello accademico. Si tratta di un libro di filosofia politica e non tanto di filosofia politica (nel senso che è un libro che “fa” soprattutto filosofia sulla politica e con la politica, e non tanto filosofia della politica). L’oggetto dell’analisi ermeneutica è la politica attuale stessa, e, nello specifico, il nesso strutturale tra complottismo e potere nella scena politica delle società democratiche neoliberali (anche se questa stessa etichetta sta diventando obsoleta). Infatti, all’analisi ermeneutica si intreccia costantemente il riferimento a dati, inchieste, e dossier, e non di rado la riflessione assume i toni della denuncia allarmata. 

Il complottista cerca il senso e la semantizzazione anche a costo di autonarrarsela. Questa mentalità è iperdiffusa perché è la cifra ideologica dell’inerzia vitale con cui la politica e l’educazione reagisce agli sviluppi della civilizzazione e all’incremento esponenziale delle opportunità delle nuove soggettività: vorrebbe dire che i cittadini attivi delle società contemporanee ragionano in modo profondamente inadeguato e impotente nei termini di una proficua evoluzione delle forme di vita umane. 

Il sospetto di Donatella Di Cesare

Il libro di Donatella Di Cesare muove dal sospetto (ben ragionato) su cui l’autrice ha lavorato, ricercando e riflettendo sulle fonti. Il sospetto è: e se il complottismo contemporaneo non sia, in fondo, qualcosa di completamente sbagliato? Qualcosa da condannare con un gesto definitivo, dopo averne fatto un topos mitico-sociologico versatile sul piano storico-letterario, oppure da liquidare velocemente attraverso una formula in stile procuratore della teoria critica, della decostruzione e dell’ermeneutica? Perché, in quanto falso o inventato, essendo privo di contenuto reale e di un senso seriamente intellegibile, sarebbe costitutivamente refrattario alla filosofia e agli antipodi della effettiva problematicità che ogni seria e sensata indagine di ricerca può e deve individuare? 

La questione non è secondaria, perché, secondo Di Cesare, il complottismo come tale nasce dal sospetto, in questo caso da un sospetto esasperato, che mette in dubbio e altera la stessa coscienza “cartesiana” delle persone, generando cattiva coscienza, cinismo e risentimento, tipici della soggettività manipolata. Un elemento di manipolazione e di inganno è, quindi, riconosciuto, dalla pensatrice, come un dato di fatto del potere odierno. 

Complottismo, anti-complottismo, contro-complottismo

L’operazione filosofico-politica di Di Cesare tende a compiere una esegesi critica (e a tratti didattica) dei fenomeni che chiamiamo complottismo e populismo, riuscendo a leggerli in uno scenario politico più ampio, che non solo li ricomprende, ma che, in qualche modo, ne è il ricettacolo naturale, cioè la scena contemporanea del globalismo planetario, il cui piano politico corrispondente è la dissimulazione del potere e la sua delegittimazione politica, che lo accresce in modo illimitato e inquietante, mentre sul piano teorico corrisponde a tre professioni: il complottismo, l’anti-complottismo (anche filosofico-critico) e al contro-complottismo (giornalistico e filosofico). 

Donatella Di Cesare, implicitamente, inscrive sé stessa tra gli agenti del contro-complottismo sul piano filosofico. L’anti-complottismo, spiega la filosofa, finisce per riprodurre la pseudocoscienza complottista, o per legittimare la cesura che il complottismo allarga – e non lascia rimarginare – tra chi ha torto e chi ha ragione, chi pensa in modo appropriato (segue la “versione ufficiale”) e chi si inganna. Il contro-complottismo si muove, invece, su altri sentieri, quelli della teoria critica, che portano a risultati più efficaci, fornendo materiale per compiere una rottura rivoluzionaria, pensando davvero “altrimenti”, con quanto non funziona nelle nostre società neoliberali (tecnicizzate e capitalizzate).

Con ciò sembra quasi che si voglia dire che, senza una educazione critica efficace, in maniera naturale si sposano le altre due professioni (evidentemente ideologiche, ingenue, semplicistiche, sbrigative, entrambe a-razionali). Questi due atteggiamenti, solo apparentemente opposti, ma che in realtà sono omozigoti che crescono da una medesima radice, come due tronchi speculari, sono il Giano bifronte dell’interpretazione comune e iperdiffusa della realtà odierna. Di questa interpretazione si serve il potere, mentre dissimula e articola sé stesso, strumentalizzandone la funzione pseudorivoluzionaria sterile e non minacciosa (per il potere) in funzione catecontica, di contenimento e di disinnesco dei tentativi di comprensione profonda, e quindi di riforma e smascheramento.

L’alternativa al complottismo di Donatella Di Cesare

Occorre, però, fare attenzione, perché il complottismo stesso, come mentalità, si autocelebra a sua volta come comprensione profonda. Qui sta il fulcro del discorso di Di Cesare: esiste una ricerca alternativa a quella complottista, che si distingue nel non scambiare semplici tracce in certezze, e intuizioni in analisi compiute. Il complottismo, infatti, è un dispositivo del potere, proprio perché tradisce questa sua “debolezza scientifica” rendendosi adatto tanto alla credulità, quanto all’incredulità scettica, entrambi atteggiamenti pseudo-critici del Dispositivo. Di Cesare riprende la nozione dal Gestell heideggeriano e jüngeriano, evocando anche, non a caso, Giorgio Agamben e Gilles Deleuze.

È proprio Giorgio Agamben (nel suo Che cos’è un dispositivo?), riteniamo, infatti, ad aver dato la cifra essenziale del concetto di “dispositivo”, perfettamente congrua con il fenomeno del complottismo, quando afferma che il dispositivo è «ciò in cui si realizza una pura attività di governo senza fondamento nell’essere» e che «alla radice di un dispositivo sta un fin troppo umano desiderio di felicità» che viene catturato e dislocato in una zona separata (in questo caso nel complottismo). 

Il complottismo è, per Donatella Di Cesare, un tentavo di decifrare il mondo e di ricercare senso che resta sterile perché non può tradursi nella rivolta an-archica contro il potere dissimulato, cioè resta all’interno dello “archico”, perché ricerca un principio e un comando del potere che organizza il sistema e lo identifica con un colpevole, capro espiatorio di turno (l’anarchismo filosofico che via via la filosofa è andata teorizzando negli ultimi anni meriterebbe una trattazione a sé). 

Ciò fa del complottismo un dispostivo, che è anche una autorappresentazione defettiva della complessità del mondo contemporaneo proiettata nella società, e quindi un autentico prodotto di consumo ideologico, di cui la cittadinanza odierna si ciba per compensare l’assenza di comprensione e di leggibilità della realtà. Inoltre, avendo un nesso con le macchinazioni del potere “senza volto” (che vuol dire non identificabile in modo singolare, ma è nella governance amministrativa, nel Deep state, nella finanza internazionale), il complottismo è «un’arma di depoliticizzazione di massa». 

La crisi della democrazia secondo Donatella Di Cesare

Di Cesare chiarisce che non è appropriato ricondurre l’atteggiamento complottista alla teoria critica, all’ermeneutica e alla decostruzione, che sono invece indispensabili per attuare il contro-complottismo sul piano teorico-filosofico. Al contrario, asserisce di riconoscere che la mentalità complottista consegue direttamente «dalla paura e dall’isolamento del cittadino che si sente escluso dallo spazio pubblico»; in altri termini: dalla crisi democratica che desertifica lo spazio pubblico e dissolve l’ambiente in cui, discutendo e ragionando insieme, si può giungere a una “verità comune”.

Il problema, per la filosofa, è che questa riduzione della politica alla governance – una autocrazia degli esperti (competenti) – disattiva le pratiche politiche della democrazia. I cittadini non riescono più a partecipare alla vita politica dello Stato, perdono la loro forza politica e la loro capacità di legittimare il potere, cioè la partecipazione politica, che – insieme alla trasparenza dei meccanismi del potere – è l’essenza della democrazia post-Rivoluzione francese. Se partecipazione politica attiva (legittimante) e trasparenza del potere nel suo esercizio sono venuti meno, a buon diritto, e senza paura di usare questa espressione, lo scenario politico ricostruito da Donatella Di Cesare nel libro può essere definito post-democratico. Un sintagma che Di Cesare non usa (definendo, invece, pseudo-democrazia quella attuale, segnata dalla perdita della sovranità del popolo). Ma post-democrazia, sembra essere il termine che indica il pendant politico della post-verità, del neoliberalismo tecnocratico e del capitalismo neoliberale: 

L’aspirazione iperdemocratica (iniziativa popolare, referendum, democrazia diretta) diventa disillusione ipodemocratica che mira a smascherare il caos e la truffa del sistema democratico. Rabbia e indignazione si indirizzano non contro la classe dominante, bensì contro l’élite che governa dall’interno prendendo ordini da fuori.

p. 82

Quella che Donatella Di Cesare descrive è la situazione, fin troppo palese, per cui solo il funzionario è politico, mentre il cittadino è il depoliticizzato amministrato che paga le tasse e cerca di capire, nella complessità, a chi imputare la mancata risoluzione dei problemi. In questo preciso senso il cittadino è in quanto tale complottista, giacché, per così dire, il complottismo nasce dallo spirito del risentimento e del sospetto, della mancanza di fiducia, dell’impotenza, e della vulnerabilità che ciascuno prova in un contesto di concorrenza spietata (p.105).

La maschera del potere

Un mascheramento del potere c’è. E la maschera del complottismo ne è il riflesso pseudo-critico del contro-esperto, della caricatura del libero pensatore impegnato a decifrare e decriptare gli algoritmi del sistema del potere, perciò non è la vera maschera da togliere al potere per leggere il mondo (che, per Di Cesare avrebbe, ormai, un caratteristico tratto di illeggibilità, a causa della sua astrusa e sfuggente complessità). L’autrice critica severamente l’atteggiamento di Karl Popper e di Umberto Eco, rispetto al complottismo, in quanto, a suo avviso, relega il fenomeno nella ingenuità della superstizione e dell’irrazionalità, espellendo in blocco il fenomeno del complottismo dal «discorso razionale». Sembra, però, essere d’accordo con loro sul fatto che il complottismo sia anche un diversivo, «fumo negli occhi» per nascondere autentiche macchinazioni al potere. L’autrice dissente dalla riduzione ad absurdum del complottismo (da parte di coloro che ne negano assertivamente gli argomenti, senza neppure discutere), perché lo analizza all’interno del panorama socio-politico attuale, e lo riconosce come dispositivo di controllo e strumento di potere, perciò presente all’interno dell’ontologia politica e, soprattutto, della metafisica politica attuale.

Donatella Di Cesare distingue due macrocategorie di soggettività politiche delle società democratiche contemporanee. Da una parte ci sono i cittadini sanamente sospettosi e “lucidi”, che sono evidentemente pochi, i più resilienti allo scenario caotico e devastato che l’autrice, (alcuni) dati e (alcuni) riferimenti teorici alla mano, ricostruisce. Dall’altra i soggetti più deboli e confusi, che sono molti e sono risentiti, sospettosi, smaniosi di trasparenza e leggibilità, desiderosi di smascherare, di trovare colpevoli, di distribuire sanzioni esemplari e di illuminare la realtà (quello che si può chiamare “illuminismo oscuro”). Questa seconda tipologia di soggetti politici, secondo l’autrice, hanno le loro buone ragioni per assumere questi atteggiamenti: il mondo è diventato caotico, complesso, una matassa inestricabile e illeggibile. 

La pensatrice argomenta che l’errore complottista è un errore metodologico, e anche nelle intenzioni (trovare uno scopo ultimo, un colpevole ultimo di ciò che accade), che segnerebbe perciò la fallacia contenutistica delle «narrazioni complottiste», le quali non sarebbero teorie nel senso «della serietà e del rigore scientifico» perché si affidano spesso al tipo di verità assoluta propria del mito. L’errore più grave consisterebbe nel cercare segreti, che «come in uno percorso iniziatico» alla fine «l’ultimo segreto è che non c’è alcun segreto».

Conclusione

Si può dire, in conclusione, che il laboratorio di filosofia politica aperto da Donatella Di Cesare, con il sostegno di una lucida teoria critica sulla metafisica politica, sia volto esso stesso ad illuminare la situazione socio-politica contemporanea. Decostruendo ed interpretando le nuove categorie politiche dominanti, agisce per rifondare con la propria teoria politica, nel lavoro laboratorista, una ontologia politica alternativa, in maniera tale da rendere la consapevolezza la via per smantellare conflitti artefatti nella società, per riscoprire il valore politico rimodellante e riformante della condivisione, del confronto, e in generale della partecipazione democratica nella pòlis, intesa come spazio pubblico.

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Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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