fbpx

Sfidare la immaginazione a teatro: «Così è (o mi pare)»

Elio Germano riadatta l’immensità di Luigi Pirandello alla realtà virtuale in «Così è (o mi pare)»

7 minuti di lettura

Sapersi adattare

Quando e se bisogna adattarsi, è necessario solitamente rinunciare a qualcosa: come se adattandosi ci si precludesse un’abitudine, un normale andamento, rispetto a un essere atti, pronti, in vista in qualcosa di specifico. Adattarsi implica l’assunzione di un fine preposto e improrogabile. Per adattarsi è imprescindibile avere un obiettivo.

Bisogna aver scelto una meta se si fanno i bagagli per un viaggio, onde evitare di ritrovarsi in una situazione scomoda, paragonabile a scalare una montagna con un paio di infradito. Si adatta il previdente che sa, o almeno presuppone di sapere, come potrebbe evolvere una situazione.

Se non si prevede o non ci si immagina cosa potrebbe accadere, non ci si può adattare. Adattarsi implica una durata, un tempo di prova necessario per focalizzarsi sul fine da perseguire, e un luogo in cui dare spazio all’adattamento stesso, come l’evoluzione della specie ha mostrato nei millenni e prova contraria chiunque si trovi in una situazione incombente e imprevista e ne rimanga paralizzato, senza sapersi adattare, appunto.

L’eleganza del punto di vista

Avere un obiettivo, un tempo e uno spazio significa assumere un punto di vista da cui affrontare una situazione specifica. Semplificando, riducendo ai minimi termini (nel senso più verace e non deprecabile del termine), come bambini che giocano a fare finta di– ovvero assumendo una parte specifica finalizzata a un obiettivo comune- alias creando un mondo finzionale, come un film o uno spettacolo teatrale.

Leggi anche:
La solitudine dei campi di cotone in scena al Teatro-i

Se l’arte teatrale consente e invita lo spettatore a una contemporanea molteplicità dei punti di vista, la costruzione cinematografica mira a una totalità uniforme: l’immagine del film è una rappresentazione uditiva e visiva completa, piena del mondo finzionale raffigurato. Lo spettatore a teatro immagina di osservare un salotto borghese in cui si discute piuttosto che vedere esattamente quel salotto borghese in cui si discute di qualcosa, come davanti a uno schermo.

La coincidenza di immagine e immaginazione che consente un film propone una completezza del tutto assente a teatro. A teatro, occorre scegliere un punto di vista da cui osservare la vicenda, al cinema si osserva ciò che accade usufruendo del montaggio delle scene. La commistione dei due generi artistici genera un ibrido difficilmente criticabile, -etimologicamente- distinguibile, comprensibile.

Sfidare la realtà

Lungi dal voler operare tagli netti, e inquadrare in etichette differenzianti, la scelta di adattare un’opera teatrale, a sua volta adattata da una novella, a un film in realtà virtuale si propone come elegante sfida alla scelta di assumere un punto di vista.

Al teatro Franco Parenti, Elio Germano riscrive e adatta l’immensità del drammaturgo e regista siculo, Luigi Pirandello, alla limitata realtà virtuale proposta da cuffie e sensori visivi: l’esito è esorbitante. La tecnologia stenta a contenere l’immaginazione: con il film in realtà virtuale Così è (o mi pare) dal 10 al 30 gennaio, dove gli spettatori per lo più ignari dell’adattamento cui sono partecipi, si ritrovano in trincea, a combattere una guerra persa in partenza rispetto alla presa di consapevolezza di sé assistendo inermi.

Leggi anche:
Per un teatro sociale: «Stay Hungry – Indagine di un affamato»

Così è (se mi pare) è la provocatoria presa di posizione dell’ospite inaspettato che si trattiene a oltranza, in virtù della fatica che ha sudato per compiere il viaggio. Adattarsi è faticoso, ma spesso inutile se non si conosce il luogo d’arrivo. Se il dramma pirandelliano ben si adatta alla realtà, regalando con veracità e schiettezza una presa di posizione dello spettatore nello spaesamento conseguente alla domanda umana per eccellenza – chi siamo? –  la resa cinematografica virtuale di Così è (o mi pare) propone un luogo inospitale che ispira la fuga più che la volontà di sostare cercando di trovare un proprio spazio-tempo.

Scegliere dove -poter- stare

Lo spettatore si trova ad essere l’unico personaggio immobile e inesistente del dramma, un Commendatore costretto in sedia a rotelle, di fronte a un dramma viscerale e struggente. Al di là e ben prima della narrazione, in Così è (o mi pare) il pubblico viene isolato in uno spazio multimediale senza via d’uscita, nonostante l’ineccepibile recitazione dello stesso Elio Germano, Gaetano Bruno, Serena Barone, Michele Sinisi, Natalia Magni, Caterina Biasiol, Daniele Parisi, Maria Sole Mansutti, Gioia Salvatori, Marco Ripoldi, Fabrizio Careddu, Davide Grillo, Bruno Valente, Lisio Castiglia, Luisa Bosi, Ivo Romagnoli e con la partecipazione di Isabella Ragonese e Pippo Di Marca.  

L’avvincente racconto del signor Ponza, della moglie e della suocera viene auto delimitato dalla pretesa tecnologica della tridimensionalità. Se Pirandello riconobbe l’indispensabilità di un attore  dominante per il suo dramma, (pur spedendolo a Virgilio Talli, principale figura di proto-regista della scena italiana del primo Novecento, nonostante l’offerta al grande Ruggero Ruggeri) bisogna riconoscere come l’immaginazione non si debba fraintendere nella fantasia spasmodica dell’infinito, bensì come elegante, perché frutto di una scelta, invito a intraprendere una direzione, appunto immaginativa, piuttosto che a rimbalzare da una parete all’altra di un quadro troppo stretto che la realtà virtuale può offrire.

Forse il desiderio di concretezza di un appiglio materiale alla contemporaneità, impellente e necessario di questi tempi, potrebbe adattarvisi con una semplice allusione, segreta e tacita, senza la necessità di sottostare ai dettami tecnologici di volumi e lenti regolabili che più che ricreare, distorcono e rovinano ciò che sempre può rimanere, l’immaginazione.

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.