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ddl zan riflessione

Sul ddl Zan il dibattito è ancora aperto

Il DDL Zan, il disegno di legge contro l'omobitransfobia, è stato accantonato dal Senato. Ecco che noi di Frammenti proponiamo alcuni spunti di riflessione su un dibattito ancora aperto, forse fin troppo.

10 minuti di lettura

Nello scorso novembre 2020, il deputato del PD Alessandro Zan aveva proposto l’attuazione del disegno di legge che prende il suo nome, il cosiddetto e tanto discusso ddl Zan. Si è arrivati fino al marzo appena trascorso per discuterne l’attuazione esecutiva, poi bloccata in parlamento da Lega e Fratelli d’Italia. Ma che cos’è il ddl Zan? 

Ne avevamo discusso su Frammenti Rivista già nello scorso novembre, a seguito della proposta di Alessandro Zan:

Il blocco del ddl Zan da parte della Destra

Il ddl Zan prevede una legge contro l’omotransfobia, a cui sono collegati una serie di provvedimenti volti ad un inasprimento delle pene per reati che limitano la libertà di espressione di persone omosessuali e transessuali. Questi provvedimenti integrerebbero la legge Mancino del 25 giugno 1993, che punisce già i reati di tendenza nazi-fascista a sfondo discriminatorio razziale, religioso, etnico, ma non basta. Il mondo è progredito su questi temi, le esigenze politiche, culturali e sociali di un Paese che si dice libero e occidentale, sono andate avanti, proponendo così necessario un ddl come il ddl Zan.  

Il ddl era stato approvato lo scorso 4 novembre 2020 alla Camera con 265 voti a favore, 193 contrari e un astenuto. Nella giornata del 31 marzo 2021 il ddl si sarebbe dovuto discutere in Senato, ma questo non è avvenuto perché non ritenuto prioritario da Lega e Fratelli d’Italia. Schierato in prima linea contro la discussione del ddl, il senatore Simone Pillon, famoso per le sue battaglie a favore di misure tradizionaliste, soprattutto quando si parla di famiglia e sessualità. 

ddl zan riflessione

Il rinvio del ddl Zan e lo sconcerto del mondo artistico e politico

La reticenza di Lega e Fratelli d’Italia ha scatenato dibattiti sui social network, specie da persone legate all’attivismo LGBTQUIA+ e da persone dello spettacolo, come è successo per Elodie e Fedez, che hanno espresso il loro sdegno nei confronti del blocco all’attuazione del decreto causata dalla destra. 

Anche il segretario del PD, Enrico Letta, non ha mostrato peli sulla lingua commentando il blocco avvenuto nell’ufficio di presidenza della Commissione di Giustizia il 31 marzo, sostenendo che la Lega non avrebbe alcuno spirito europeista e che questa manovra non ha fatto altro che rimandare la discussione del ddl per rimandarne l’attuazione. 

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D’altro canto, Arcilesbica propone di revisionare il ddl e richiede maggiore chiarezza riguardo innanzitutto l’uso del linguaggio, perché occorre non creare confusione tra, ad esempio, i termini «sesso» e «genere» che non sono sinonimi.

Ddl Zan: su cosa dovremmo riflettere

In Turchia le donne protestano contro il governo Erdogan per l’abolizione della Convenzione di Istanbul, in Polonia e in Ungheria le donne si battono per il diritto all’aborto e sarebbe superfluo ricordare la situazione di crisi e difficoltà in cui versano la gran parte delle persone omosessuali, trans e che abbracciano una sessualità differente da quella eteronormativa. Il Vaticano, nella figura di Papa Bergoglio, sostiene di non essere intenzionato a dare la benedizione alle coppie omosessuali, mentre, intanto l’Unione Europea si dichiara zona di liberta LGBTQUIA+ proprio l’11 marzo 2021.

Interconnessioni tra precarietà sanitaria e precarietà dei diritti

La situazione è «leggermente» confusa, perché se da una parte padroneggia la voglia di aprire i confini ideologici verso un ampliamento dell’azione e della libertà personale e collettiva degli individui, nel rispetto reciproco e nella costruzione di una base politica e sociale nuova, dall’altra permangono certe chiusure tipiche di una destra di vecchio stampo, che si impone con un atteggiamento chiuso e tradizionalista obsoleto e nocivo per un mondo che corre tutto verso un’altra direzione. 

La paura sociale, il distanziamento fisico, quell’istinto malsano al conservatorismo, si manifestano come cancri della società, costringendo gli esseri umani a trincerarsi nelle proprie abitazioni esattamente come si sarebbe fatto in tempi di guerra con annesso coprifuoco. Un clima di terrore sociale che genera confusione e non coesione da parte della politica, divisa su posizioni nette e invalicabili che si ergono come muri nei confronti di tutte quelle manifestazioni di apertura e slancio sociale e culturale. 

Il caos che regna in questo periodo storico, in una bolla di paura e terrore nei confronti dell’altro in quanto altro, eventuale portatore del virus esattamente quanto del cambiamento, porta la ricerca di posizioni conservatrici e nazionaliste proprio perché percepite, erroneamente, come l’unica alternativa alla sopravvivenza. Della serie: percorriamo la strada già battuta, almeno sappiamo dove ci condurrà, senza provare a cercare un’alternativa che potrebbe scuotere ancora di più il precariato umano in cui già versiamo. Nulla di più errato e pericoloso. 

La vulnerabilità radicale di Judith Butler

Per questo sorge sempre utile citare Judith Butler, filosofa femminista, impegnata anche nel dare una visione politica, oltre che sociale, al suo pensiero.  In un’intervista condotta con Maura Gancitano e pubblicata per Tlon, a seguito dell’evento online Prendiamola con filosofia, organizzato e diretto da Tlon e Piano B, Butler sostiene il concetto di vulnerabilità radicale e afferma:

(…) la pandemia è un evento che trascende gli schieramenti ideologici. Mette in luce la nostra interdipendenza, la nostra vunerabilità, la possibilità che abbiamo tanto di nuocere quanto di aiutare gli altri. È la cosa che più mi colpisce del virus: siamo vulnerabili e lo siamo tutti, senza eccezioni. (…) Ci scopriamo tanto vulnerabili quanto investiti di una responsabilità, e questo incide sul nostro modo di rapportarci gli uni altri. Il mio corpo non è solo mio, non è una proprietà chiusa in se stessa.

In un periodo delicato come quello che stiamo vivendo da più di un anno è inevitabile che si renda fertile il terreno per pensieri ideologici violenti ed estremisti. Infatti, proprio a causa della totale apertura e vulnerabilità in cui ci ritroviamo oggi, esposti gli uni con gli altri ad una condizione di totale precarietà, è facile che in una fase di tale debolezza, spicchino pensieri duri, forti, che si pongono come alternativa salvifica a tale «confusione». 

Quali prospettive per un futuro dei diritti

Ma se impariamo a intendere questa «instabilità» e questa necessità di essere gli uni aperti agli altri come una condizione necessaria per l’essere umano, per la sua crescita e la sua progressione, allora comprenderemo facilmente come atteggiamenti come quello della Lega o dei Governi polacco e ungherese, o come quello dello stesso Vaticano, nascono dalla paura di non riuscire più a tenere nulla sotto controllo, di lasciare che la libertà mostri i suoi tanti, diversi e meravigliosi volti e che i dispositivi di potere che controllano la sessualità e la vita sociale, non funzionino più come un tempo. 

Il nostro augurio e che questi dispositivi di controllo saltino uno ad uno, con l’obiettivo di rifondare una società in cui, proprio facendo tesoro dell’esperienza della pandemia, si comprenda come non possiamo vivere staccati gli uni dagli altri, dove ogni azione che compiamo è intimamente interconnessa a quella di molte altre persone vicine a noi, ma anche lontane geograficamente, dove la battaglia di un popolo per la libertà di espressione e di manifestazione dei propri diritti nel rispetto degli altri, diventa la battaglia di ognuno di noi. 

 


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Anto D'Eri Viesti

A proud millennial. Dopo il dottorato in semiotica e gender studies decide di dedicarsi solo alle sue passioni, la comunicazione e la scrittura.
Copywriter e social media manager.
La verità sta negli interstizi, sui margini e nei lati oscuri.
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