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«Dopo il Diluvio»: a Roma in mostra gli scatti del “nuovo” LaChapelle

Dopo la visita alla Cappella Sistina nel 2006, LaChapelle sente che deve cambiare. Come si evolvono i suoi scatti?

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5 minuti di lettura

david lachapelleSono passati sedici anni da quando David LaChapelle ha esposto per l’ultima volta a Roma le sue opere. Era il 1999, il millennio volgeva al termine e l’eclettico artista era stato appena nominato Best New Photographer of the Year dalle riviste French e American Photo Magazine.

Le fotografie di allora ritraevano protagonisti della moda e della musica, celebrità di un universo patinato come le copertine delle riviste per cui LaChapelle lavorava. In un mix geniale di irriverenza e glamour, il fotografo delle star portava nella Città Eterna i lavori che lo hanno reso famoso consacrandolo presso il grande pubblico. Ad ospitare quella mostra era il Palazzo delle Esposizioni, il grande edificio Neoclassico che domina in maniera monumentale via Nazionale.

Sedici anni e una “svolta” epocale dopo, il dissacrante e geniale artista torna a Roma, nella stessa cornice, e con una retrospettiva ancor più vasta. Dal 30 aprile al 13 settembre Palazzo delle Esposizioni ospiterà 150 opere dell’irriverente fotografo, alcune per la prima volta esposte in sede museale.

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LaChapelle conferenza stampaCome ricorda durante l’anteprima per la stampa il curatore Gianni Mercurio, la mostra si propone di illustrare l’evoluzione del lavoro di LaChapelle prendendo come spartiacque il 2006, anno in cui l’artista visita la Cappella Sistina. Folgorato e turbato da quell’incontro artistico, LaChapelle sente la necessità di cambiare, di voltare le spalle a un certo tipo di mondanità: «Avevo detto quello che volevo dire sul mondo delle celebrità, ora si apriva una nuova porta» (e lo stesso Mercurio, ricordando il primo incontro con David, sottolinea come questi esclamò perentoriamente «I have to change my life!»).

Dall’incontro con la classicità e con Michelangelo in particolare prende vita la monumentale serie The Deluge, ispirata al capolavoro della Sistina e direttamente concepita per essere esposta in galleria. Un punto di svolta significativo nella carriera dell’artista, che si volge ora verso nuove concezioni estetiche e concettuali. Ecco allora che la mostra si concentra sulle opere realizzate dall’autore a partire dal 2006, senza tralasciare però gli irriverenti e a tratti scandalosi lavori degli anni ‘90.

deluge david«David LaChapelle, After the Deluge»: già dal titolo emerge una questione fondamentale; non solo il fotografo dopo il Diluvio, ma dopo di questo, LaChapelle. Perché l’artista lanciato da Andy Warhol, con la realizzazione della serie michelangiolesca, si rivela davvero nella sua completezza, nella sua natura poliedrica di artista geniale e ironico, capace di usare la fotocamera come fosse un pennello fissando nell’eternità un attimo sempre più fuggente.

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Occorre un occhio particolarmente sensibile per comprendere come, al di là dell’apparente scintillio delle fotografie, nel Deluge LaChapelle intenda mettere in luce i vizi e i difetti della natura umana e della società contemporanea. La metafora biblica diviene un mezzo efficace per sottolineare la crisi morale del nostro tempo: uomini e donne dai corpi plastici, non perfetti, ma resi con la sensibilità di uno scultore, che si aggrappano l’un l’altro, cercando un appiglio mentre intorno a loro cadono a pezzi i templi del consumo di massa (il Cesar Palace), i simboli del bello effimero (Gucci) e dell’economia, portandosi dietro la caducità dei beni materiali.

natura mortaÈ quanto affiora anche nelle nature morte de La terra ride nei fiori, serie ispirata all’iconografia barocca e tesa a celebrare il tema della vanitas. Con un guizzo di assoluta e provocatoria genialità, LaChapelle sostituisce le maschere e gli strumenti con i simboli della caducità contemporanea quali sigarette fumate a metà, cibo da fastfood, denaro, bambole e protesi di silicone. Emblemi di una società votata al futile e al culto della bellezza senza sostanza, questi elementi arrivano a indagare l’assurda presunzione dell’uomo di dominare la natura, qui ben espressa dai colori cangianti e metallici, chiari riferimenti alla chimica e agli organismi geneticamente modificati.

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La figura dell’uomo è assente, o meglio è assente la carne, quella cifra stilistica che aveva caratterizzato per lunghi anni il lavoro di LaChapelle. Così è anche nelle serie Car Crashing e Negative Currencies, realizzate nel 2008 in concomitanza con il crack della Lehman Brothers e l’esplosione della bolla immobiliare in America. Con un chiaro omaggio a Warhol, il fotografo critica il potere seduttivo dei soldi, rappresentati come nel negativo di un rullino ad indicare l’invenzione al ribasso di tutte le borse e mostra gli effetti della corsa folle alla speculazione, efficacemente stigmatizzata in maniera quasi dada dall’accartocciarsi di automobili coinvolte in un incidente.

Gas 76, 2013Per l’uomo non c’è posto neanche nelle Gas Station, quelle stazioni di rifornimento che indicano il peso e l’importanza che il petrolio ha rivestito nella storia dell’umanità e dei conflitti mondiali. Fotografate simbolicamente nelle foreste pluviali di Maui, queste stazioni dal sapore hopperiano esemplificano un isolamento a cui l’uomo è sempre più costretto e che è, al contempo, frutto del suo egoismo e della sua vanità. L’industrializzazione ha allontanato l’essere umano dalla natura, l’ha disumanizzato privandolo di se stesso, spingendolo a concepire orrori di cemento e megalopoli imponenti. Ecco allora che LaChapelle realizza la serie Land Scape (con un gioco di parole in cui, separando i due termini, viene sottolineata la fuga dal paesaggio), in cui città nucleari appaiono come isolate nel deserto, e assumono le forme di giganteschi lunapark che sovrastano l’uomo il quale, ancora una volta, non trova spazio in un mondo che – sempre più – contribuisce a distruggere.

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awakenedLa carne, laddove presente, non è più oggetto del desiderio da rotocalco ma immagine di un’esistenza che ha bisogno di purificazione, come chiarisce il “tema dell’acqua”, fil rouge della serie Awakened, in cui, uomini e donne dai nomi biblici, appaiono sospesi in una dimensione atemporale che li colloca all’interno del liquido amniotico, preludio di una rigenerazione dell’anima e del corpo dai vizi e dalla fragilità della dimensione materiale.

Che il possesso di beni effimeri non porti ad altro che ad una rovinosa deriva lo dimostra bene la macabra galleria di ritratti celebri che compone la sezione Still Life. Da George Bush a Komehini, da Orlando Bloom a Cameron Diaz passando per Reagan e Lady Diana, l’artista raffigura i grandi della terra e le celebrities come effigi inanimate e smembrate rendendo perfettamente il senso del disfacimento della carne e delle idee marcescenti, nonché della natura fugace di fama e potere.

A ben vedere però, ancora prima della svolta del 2006, è possibile cogliere una sottile e ironica critica anche nei lavori patinati del LaChapelle fotografo di Vogue e Vanity Fair; basta osservare Flesh Market (mercato della carne) in cui il corpo nudo di una donna è ben esposto nel banco frigo accanto a pezzi di carne in vendita con una chiara allusione alla mercificazione del corpo femminile.

LaChapellePer terminare il viaggio nella vasta opera di quest’artista visionario e provocatorio, è impossibile non citare la serie My personal Jesus, in cui il divino è rappresentato nel quotidiano.
Unendo richiami all’iconografia tradizionale cristiana, episodi del Vangelo e momenti di vita cittadina, Gesù è raffigurato davanti ad un fastfood, insieme ad un gruppo di gangsta, nelle strade di periferia che Dio sembra aver abbandonato e che proprio suo figlio ora torna ad illuminare.
Il dramma della perdita segna due opere profondamente emozionanti: American Jesus e Pieta with Courtney Love che ripropongono l’immagine della Pietà rinascimentale con Gesù giacente esanime sulle ginocchia della Madonna. Con un rovesciamento simbolico nel primo, Cristo diviene Madre e sostiene il corpo senza vita di Michael Jackson mentre nel secondo, con un gioco di luci quasi caravaggesco, la cantante delle Hole sorregge il compagno Kurt Cobain, con stigmate a mani e piedi mentre i dadi di plastica a terra formano la scritta HEAVEN NOT HELL.

La perfezione, la carica simbolica dell’universo di LaChapelle lascia senza fiato, convince anche l’osservatore più reticente ad apprezzare il “fotografo delle star” e, nella sua geniale fruibilità a più livelli, fa dell’artista e delle sue fotografie grandissimi esempi di arte vera, viva ed emozionante.

LaChapelle

David LaChapelle, Dopo il Diluvio
Palazzo delle Esposizioni – via Nazionale 194, Roma
a cura di Gianni Mercurio
dal 30 aprile al 13 Settembre 2015
www.palazzoesposizioni.it

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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