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Éric Sadin: fenomenologia e critica dei social

Uno sguardo fenomenologico sui social e sulla nostra società, sempre più animata da preoccupanti fenomeni di frizione.

14 minuti di lettura

1. Introduzione: la critica al tempo dei social

L’istanza teoretica che ingiunge di muovere una critica alla società, alla polis e al senso comune aleggia nello spirito della filosofia forse fin dai tempi di Talete e senza dubbio da quelli di Socrate. Piuttosto che ripercorrere le numerosissime tappe di questo percorso che si articola dall’antichità fino alla soglia della nostra epoca, possiamo concentrarci sui tentativi di compiere una disamina filosofia del giorno d’oggi per definire bersagli e direzioni della critica.

È in questo senso che lavora Éric Sadin, filosofo e saggista francese, nel suo libro del 2020 intitolato Io tiranno: la società digitale e la fine del mondo comune (L’ère de l’individu tyran. La fin d’un monde commun, tr. it. F. Bononi, LUISS University Press, Roma 2022). Nel testo, Sadin intende descrivere le ripercussioni, a livello sociale, dell’avvento dei moderni social media, secondo l’autore il grande successo di questi mezzi va a braccetto con la «fine del mondo comune», vale a dire con il progressivo affievolirsi non tanto dei legami sociali, sempre mantenuti vivi dai social networks, quanto del senso di pubblicità e appartenenza collettiva. Il pensatore, inoltre, abbozza un’analisi socio-culturale, mantenendo in sottofondo, per l’intero svolgimento del testo, vari riferimenti ai filosofi più disparati; al fine di domandarsi in che modo la riflessione possa aver intuito delle tendenze che, in seguito, si sarebbero sviluppate.

Tuttavia, la maggior carica teoretica, la natura squisitamente filosofica del testo appare, piuttosto che nelle singole analisi, nell’atteggiamento generale. Non solo Sadin usa con elevata frequenza l’espressione “spirito del tempo”, richiamandosi ad Hegel, ma adotta -in molti capitoli- un atteggiamento che potrebbe essere definito “fenomenologico” nel senso di Husserl: la ricerca fenomenologica intesa come un poderoso «tornare alle “cose stesse”» (E. Husserl, Ricerche logiche, tr. it. G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968).

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Il grande difetto latente di ogni critica della tecnologia, per noi che viviamo immersi in un turbinio di schermi e connessioni, è quello di presentare, il più delle volte, una caricatura del mondo digitale che ci appare critica senza essere stata realmente compresa; giudicata prima di essere conosciuta. Questo, non è certamente il caso del “fenomenologo” Sadin, che descrive con minuzia l’esperienza di utilizzi di alcuni social networks; facendoci immediatamente capire che anche lui, come noi, è in quel mondo della vita, vive in quel mondo a stretto contatto con le sue peculiarità e difetti.

Senza ripercorrere la totalità delle ricostruzioni storiche e delle analisi formulate da Sadin intendiamo, piuttosto, esporre le due analisi “fenomenologiche” che l’autore compie nei confronti di due dei più celebri social: Instagram e Twitter.

Il liberalismo di Instagram

Immaginiamoci per un momento la classica star hollywoodiana: essa è immersa nella sua aura che si presenta davanti alle telecamere solo quando è perfettamente vestita e truccata, una creatura eterea la cui vita negli aspetti più semplici, normali e quotidiani ci è nascosta e, pertanto, viene cacciata di frodo da orde di paparazzi armati di lunghe macchine fotografiche.

Questa è tutto l’opposto di quanto succede nel moderno contesto digitale dove, invece, vengono messi regolarmente e minuziosamente in scena gli aspetti -molte volte eccezionalmente banali- della propria vita. Instagram è, propriamente, il trionfo dell’immagine, molto più rispetto ad altri social (Facebook e Twitter in primis) dove la parola occupa ancora uno spazio fondamentale. L’incrocio di questa funzionalità col contesto storico attuale ha permesso la diffusione del movimento di autoimprenditorialità della propria vita (p. 121). Questo, secondo il filosofo, è un elemento cruciale del liberalismo di sé, nato dal patto fra industria digitale e individualismo classico che ha portato alla nascita di un’eminente figura dei nostri anni ’10-’20: l’influencer.

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Sadin descrive con apprezzabile dettaglio il mondo di quei «milioni di individui [che] ricoprono il ruolo di “ambasciatori” più o meno dichiarati di certe marche, sponsorizzando i prodotti all’interno della propria “comunità virtuale”» (p. 122). Queste figure della “pubblicità vivente” si dividono in due: i “micro influencer“, coloro che a contatto con community ristrette e settarie interessanti ad ambiti specifici, e gli “individui-multinazionali“, con profili nell’ordine delle decine di milioni di followers, che arrivano a fare della propria persona un vero e proprio marchio.

Gli influencers diventano, così, modelli di riferimento, vere e proprie autorità che si moltiplicano a dismisura circondanti da gruppi più o meno folti attratti attraverso un magnetismo logico difficilmente analizzabile. Secondo Sadin, siamo davanti ad un crescente «brulichio assiologico» (p. 126) sintomatico di un progressivo sfaldamento del tessuto sociale. Nelle dinamiche interne dei moderni social network emergono quelle crepe che minano ciò che Thomas Hobbes ha splendidamente definito pactum iunionis. Proprio il filosofo di Malmesbury ci fornisce la formula che funge da chiave di lettura per comprendere un tale regresso collettivo: guerra di tutti contro tutti”; solo che «a primeggiare non è più la violenza fisica, ma la soggettività di ognuno, che pretende di essere elevata al rango di canone determinante» (p. 126).

La doxa di Twitter

Si accennava, prima, alla centralità dell’immagine che caratterizza Instagram in opposizione agli altri social in cui il ruolo della parola scritta è preferito, è il caso di Twitter. Ad una sguardo ingenuo l’idea di una piattaforma digitale in cui ognuno è libero di scrivere pubblicamente ciò che pensa, di indirizzarlo verso le più illustri figure della società e di fornire immediato supporto ad un opinion maker ritenuto particolarmente valido potrebbe sembrare l’apogeo del diritto alla libertà di parola e il non plus ultra della democrazia.

Le cose, ovviamente, non stanno così secondo Sadin. Innanzitutto, poiché Twitter lievita enormemente quel privilegio assoluto della parola che caratterizza la nostra epoca di inflazione del discorso (p. 114). Tutti parlano e, soprattutto, lo fanno sciolti da quella briglia istituzionale che dovrebbe caratterizzare un sano dibattito “botta e risposta”, basato sulla valutazione reciproca degli argomenti e sulla formulazione di argomentazioni ampie ed esaustive. Questo modo moderno di dialogare corrisponde ad una precisa prassi politica che Gramsci riteneva fondamentale: in un primo momento l’élite intellettuale doveva vincere la battaglia delle idee e, in seguito, stendere un piano a cui avrebbero aderito le classi popolari ed elettrici.

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Al giorno d’oggi, ciò è venuto meno, continuiamo a credere che lo schema sia questo ma, in realtà, vince la facile formula politica che sa intercettare la miriade di schermaglie che avvengono ovunque nella società. Assistiamo al «crollo del principio di una battaglia delle idee condotta attorno ad alcune cause importanti a favore di una proliferazione di battaglie di idee, o più esattamente, di scontri di microidee, che pullulano da tutte le parti e sono destinati a non avere mai fine» (p. 117).

Il politico riesce a sfruttare questa atomizzazione di interessi diversi sfruttando quella «illusione di improvvisa vicinanza» (p. 112) caratteristico di Twitter. Compiendo questa analisi Sadin descrive un banale episodio di vita social vissuto da ognuno di noi: quante volte scriviamo, tagghiamo e commentiamo sotto il post di un illustre politico o personaggio convinti -forse inconsciamente- che lui personalmente lo leggerà e ne sarà influenzato? Potrebbe essere questa una delle possibili spiegazioni del perché individui politici “populisti” siano, comunque, appartenenti alle classi sociali più agiate e dominanti, l’esempio iconico -in questo senso- è Donald Trump.

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Totalitarismo della moltitudine: Eros e Thanatos

Poiché la tecnologia costituisce un medium fondamentale della nostra vita, un veicolo e uno strumento da cui emerge il nostro modo d’essere, siamo portati a rispondere in maniera brusca ed irritata ad ogni critica della tecnologia. A buon titolo proviamo una forte ritrosia verso lo spettro del luddismo e la puerile idea secondo cui un mondo privo di scienza e sistemi di comunicazione sarebbe generalmente “meglio”. Nessun acuto critico della tecnologia, infatti, sostiene ciò. Neanche Sadin che, pur nella sua velenosa valutazione dei social network e della società contemporanea, ben sa che non sono Instagram e Twitter in sé a causare l’atomizzazione della società e l’incerta condizione di questi anni. Piuttosto, è l’incrocio di tali mezzi tecnici con una molteplicità di ulteriori fattori (culturali, educativi, economico-finanziari ecc.) a produrre lo spirito del tempo presente.

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Questo, è caratterizzato da «una maggioranza […] che oggigiorno è atomizzata e che esiste non più in quanto insieme costituito, ma come pullulare di esistenze che manifestano una distanza diffidente e bellicosa nei discorsi tanto degli altri politici quanto degli altri» (p. 212). Orgoglio ferito e egocentrismo elevato a livelli vertiginosi portano al «totalitarismo della moltitudine» ovvero «dare priorità solo e soltanto ai propri punti di vista, nella misura in cui ci si considera vittime che non possono più contare sulla società e decidere in totale autonomia di arrogarsi certi diritti considerati legittimi» (ibidem).

Queste forze distruttive che si sviluppano e agitano, come è evidente agli occhi di tutti, all’interno della società non possono che essere battezzate con quel termine greco che Freud aveva riservato alla pulsione di morte: Thanatos.

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Non possiamo restare indifferenti davanti ad una minaccia siffatta, lo stesso Sadin -nelle pagine conclusive del libro- presenta la domanda e offre la risposta in maniera eccezionalmente diretta e centrata: «cos’altro potremmo fare, dunque, di fronte ad una simile minaccia se non impegnarci con ogni mezzo per ridare un senso all’unico imperativo valido: istituire una tensione equa ed armoniosa tra i singoli individui e l’ordine collettivo?» (p. 213). Questa forza (ri)costruttiva e ricca di speranza risponde al nome, invece, di Eros.

Sarò dunque questo lo scontro che caratterizzerà i nostri Anni ’20: lotta fra Thanatos ed Eros. Fra il nichilismo mortifero ed iconoclasta di chi si sente sciolto da qualsiasi vincolo sociale e il desiderio di tenere insieme queste spinte centrifughe. Il tutto al fine di costruire un ordine socio-politico, nonché culturale (sebbene su questo punto Sadin sia leggermente silenzioso), ancora una volta in grado di tenere insieme il quadro generale del mondo.

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Giovanni Soda

Classe 2000, ho rinunciato a studiare finanza per fare filosofia, sogno di scrivere per vivere e sono fermamente convinto che concetti, idee e pensieri di ieri riescano a spiegare il mondo di oggi meglio di quanto facciamo noi.

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