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Espressione: quando il corpo (si) fa testo – Rossini Ouvertures –

7 minuti di lettura

L’umanità della malattia

L’abitudine raffigura la malattia come un disagio, un agire in modo diverso, ridotto a un non agire o a un agire secondo limitazione. La malattia, qualunque essa sia è il limite, è lo stallo oltre cui non si può andare, non è l’opposto della salute, bensì il varco stesso oltre la salute, uscendo dal quale si viene circoscritti in una condizione di infermità. La malattia è il tramite tra lo spazio incondizionato della salute a un diverso condizionamento dell’agire. La malattia è il punto di contatto, è l’avvertire della frattura, è ferita tra condizione e incondizionato, tra spazio libero e spazio chiuso.

La malattia è il dolore di scoprirsi finiti, confinati nel proprio corpo, la malattia è il dolore del proprio corpo, è consapevolezza fisica, sapersi insieme, fisicamente, per natura nello spazio di ossa e muscoli. Il dolore esprime la malattia, è il pensiero della ferita, è parola della ferita, dello iato incolmabile di finito e infinito. Siamo umani nella malattia, nel contatto continuo e vitale della malattia, corpo e spirito, carne e pensieri, una congiunzione che non fa altro che ribadirne la convergenza, ovvero la malattia.

Siamo malati in quanto lacerati tra materia e spirito. La malattia è sempre psicofisica, accostamento mai raggiunto di anima e corpo, tra i quali l’incontro si rivela uno scontro lacerante, mai sedato, mai immobile. La malattia è il ricordo contradditorio di noi stessi, è il sentimento di dover dipendere dai nostri corpi

Il compromesso dell’espressione

È necessario accettare un compromesso, accogliersi, mettersi presso sé stessi nella propria dimensione corporea, comprimersi, dimensionarsi per conciliare corpo e spirito. Sentirsi vivamente malati è il tentativo di non essere assuefatti, avvicinandosi gradualmente nell’impossibilita, tendendo a una compatibilità che coincide con il proprio compatimento.

Occorre scoprire il proprio corpo non come fine del proprio spirito, di pensieri incessanti, ma come mezzo attraverso cui è possibile esprimersi, avvicinandosi sempre più al confine, approssimare il corpo al limite dell’espressione, tendersi indefinitamente all’esterno. Ogni sentimento è destinato ad essere espresso: il pensiero trae fuori dalla carne il sentire, lo riformula, dà una forma indipendente dalla carne, così come le sensazioni sono un senso, una direzione per il pensiero, perché possa uscire e non restare prigioniero di uno spazio esclusivamente mentale.

La concor-danza di corpo e spirito

Corpo e spirito sono in un movimento continuo, un costante avvicinamento che non si acquieta mai: il fremito permane, come respiro affannato, ronzio nella mente che elabora concetti. L’inesorabile vicinanza è un moto perpetuo, di conciliazione, di scelta reciproca, per combinarsi nel tentativo di accordarsi: corpo e spirito danzano insieme. L’arte del ballo è la creazione che rappresenta il conflitto di carne e pensiero.

Ogni coreografia è il tentativo culminante di raccontare graficamente una storia, dunque un’idea, un pensiero, attraverso il corpo. È il corpo del testo, la sua vita respirata e affaticata dal movimento umano. Danzare significa esprimere al quadrato, esprimere l’espressione: è la quadratura perfetta di corpo e mente. Nella fusione di danza e musica, si verifica, diviene vera la loro combinazione eccellente, musica che nasce come intonazione, come calcolo perfetto, matematico, ideale per poi essere eseguita, senza patire la propria esecuzione, la propria fine perché vive nel corpo che danza nell’incontro sintonico.

Il connubio di musica e danza si può concretizzare nella realtà ermafrodita del teatro, unione per eccellenza di reale e ideale nella rappresentazione effettiva dell’invenzione artistica: così  al Teatro Carcano il 18 e il 20 maggio la compagnia Spellbound Contemporary Ballet si esprime con elegante magnificenza attraverso le musiche del grandioso compositore Gioachino Rossini con Rossini Overtures, una produzione Spellbound Contemporary Ballet realizzata con il contributo del MiBACT e della regione Lazio, in collaborazione con il Comitato Promotore  delle Celebrazioni Rossiniane, il Comune di Pesaro e AMAT.

La vita dell’arte, l’artista della Vita

L’opera dell’illustre compositore pesarese è percorsa armoniosamente attraverso la leggerezza metafisica dei corpi, che esprimono la feconda produzione rossianiana perché essa stessa è corpo, vita dello stesso compositore. Con la coreografia e regia di Mauro Astolfi l’arte del ballo restituisce il fatidico incontro di materia e spirito nella visione spettacolare dell’abilità tecnica ed espressiva dell’eccezionale corpo di ballo (Lorenzo Capozzi, Alice Colombo, Maria Cossu, Mario Laterza, Mario La Rocca, Giuliana Mele, Caterina Politi, Giacomo Todeschi, Serena Zaccagnini).

Il movimento artistico della danza manifesta la persona stessa di Rossini, dibattuto per tutta la sua esistenza, malato, come molti poi diranno, attraverso la creazione musicale, messa in forma dell’informe, definendo melodicamente il flusso vitale cosicché possa essere espresso e poi compreso, conciliando l’infinito ideale e finito reale, così come espresso nei continui crescendo ( i celebri crescendo rossiniani), attraverso la climax continua che non si arresta, stile sottointeso nella molteplicità di opere.

La scelta del sommo Gioachino Rossini è la sfida accolta e riuscita magistralmente di ricostruzione e raccordo della vita e delle sue composizioni, nella ricomposizione di arte e artista, che vivono nella e della reciproca dipendenza. L’estasi visiva consente al pubblico un’uscita dallo schema quotidiano, dalla reclusione paradossale che presuppone di preservare l’esistenza, che teme la malattia, la condanna, la reclude nell’ignorante inconsapevolezza di quanto la malattia stessa sia condizione della vita, in quanto movimento continuo, ma statico, mai finito, mai morto. La messa in scena ci ricorda la nostra umanità nella duplice arte di danza e musica per un binomio  di congiunzione nel racconto dell’opera, nel vivo del ballo, nell’emozione che trasuda dalle membra dei corpi che tentano lo sforzo inesorabile dell’espressione.

 

Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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