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Fabrizio De André

Fabrizio De André: traduttore che non tradisce

Pilastro della musica italiana, cantautore e, secondo molti, poeta. Fabrizio De André, però, fu anche un abile traduttore. In che modo si è approcciato ai testi di altri autori?

10 minuti di lettura

Il 18 febbraio 1940 nasceva Fabrizio De André. È stato un cantautore, da molti considerato un poeta, fondamentale per la storia della musica italiana. Ha incarnato l’archetipo di quello che sarà il ruolo del cantastorie e cantautore in Italia. Influenzato dalle sue letture, dai racconti ed esperienze familiari e da vari autori, De André ha saputo costruire una poetica di ampio respiro e un corpus di canzoni, soprattutto di testi, unico nel suo genere. Le canzoni di Faber, come venne soprannominato dall’amico Paolo Villaggio, sono sempre analizzate anche tramite studi critici e universitari. Quel che oggi vogliamo trattare, quindi, riguarda il Fabrizio De André traduttore. Questo in quanto Faber ha saputo brillantemente approcciarsi a testi di altri autori, sia di Bob Dylan e Leonard Cohen oppure di George Brassens. Impossibile fare una carrellata di tutte le traduzioni, ma alcuni esempi sono notevoli.

Fabrizio De André e il suo metodo da traduttore

Quando parlava di traduzioni, De André amava citare Benedetto Croce, e la sua differenza tra belle infedeli e brutte fedeli. Afferma il cantautore:

Io ho un metodo particolare nel tradurre, vale a dire non me ne fotte un granché della traduzione letterale: preferisco entrare nello spirito della canzone e attraverso quella cercare di recuperare lo spirito dell’artista che l’ha composta. Sostenuto in questo mio modo di lavorare da quello che diceva il nostro grande critico letterario don Benedetto Croce. Il quale distingueva le traduzioni in due categorie: quelle brutte e fedeli e quelle belle e infedeli.

Ciò è vero, nella misura in cui De André mette tantissimo del suo nelle traduzioni che fa, e non gli è mai interessato riprodurre letteralmente l’intero testo. Quando tradusse con Francesco De Gregori Desolation row di Bob Dylan, furono tantissime le variazioni che Faber apportò. Tanto che De Gregori incise anni dopo, nell’album Amore e furto. De Gregori canta De André, una nuova versione in cui, ad esempio, traduceva una strofa che avevano saltato, quella che si riferisce al Dottor Lercio (che poi De Gregori farà diventare Dottor Lurido).

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Certo, si è scelto un exemplum a dir poco complesso per parlare di De André come traduttore. Desolation row, che diventa Via della povertà, non è solo una canzone lunghissima, ma è anche uno dei lavori più particolari di Dylan. Pregna di citazioni che si rendono bene nella lingua originale, il problematico inglese. Problematico poiché, a differenza dell’italiano, rende il lavoro ai cantautori molto più facile e quindi, quando lo si deve trasporre nella nostra lingua, presenta diverse insidie. Quindi, allorché lo si deve tradurre e abbandonare, bisogna ingegnarsi con una buona dose di fantasia. Motivo per cui lo stesso cantautore genovese userà il dialetto: non solo in quanto lingua popolare a cui, come con i suoi personaggi umili, voleva dare nuova dignità, ma anche perché lo trovava più agevole dell’italiano e più funzionale alla metrica.

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Non solo, De André conosceva molto bene il francese, ma meno l’inglese. Il codex linguistico non intimorisce tuttavia l’autore, che nel caso di Via della povertà ha aggiunto anche alcuni personaggi non presenti nell’originale, nello spirito di realizzare una bella infedele. Ed ha cambiato anche il punto di vista: il narratore della storia di Bob Dylan è esterno, ma non siamo sicuri di chi sia, per De André è una donna.

La tua lettera l’ho avuta proprio ieri
mi racconti tutto quel che fai
ma non essere ridicola
non chiedermi “come stai”,
questa gente di cui mi vai parlando
è gente come tutti noi
non mi sembra che siano mostri
non mi sembra che siano eroi
e non mandarmi ancora tue notizie
nessuno ti risponderà
se insisti a spedirmi le tue lettere
da via della Povertà.

Fabrizio De André traduttore degli chansonniers

Fin dalla conclusione della sua versione di Desolation row, possiamo ritrovare aspetti che hanno, a buon diritto, fatto definire De André come cantore dei vinti, poeta degli umili. Pensiamo alla Via del campo così tanto visitata a Genova, in quanto simbolo dell’interesse di De André per la simplicitas del volgus, come emblema di un mondo di personaggi (prostitute, zingari, poveri, ladri) emarginati.

Via del Campo c’è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano.

Per costruire questo universo, Faber contamina varie influenze, come quando in Non al denaro non all’amore né al cielo sceglie di saccheggiare i personaggi dell’Antologia di Spoon River o come quando si avvale di un’antica ballata medievale – un’altra delle due traduzioni – per riflettere sulla pena di morte.

Né il cuore degli inglesi
né lo scettro del Re
Geordie potran salvare
anche se piangeranno con te
la legge non può cambiare.

Così lo impiccheranno con una corda d’oro
è un privilegio raro
rubò sei cervi nel parco del Re
vendendoli per denaro.

Di emarginati e uomini senza parole trattano, però, anche e soprattutto gli chansonniers francesi. De André è influenzato dalla loro poetica, soprattutto da George Brassens. Dopo la guerra in Francia serpeggia un sentimento di rivendicazione per i diversi e gli esclusi, che ci ricorda gli zingari e gli stranieri rifugiati nella Corte dei miracoli di Victor Hugo, cantata nell’opera popolare di Riccardo Cocciante.

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Donne pensate come amore

Di Brassens, De André traduce diversi brani, come Morire per delle idee, ma il più famoso non è in polemica con la società o con la politica. Si tratta di Le passanti. Anche quando traduce Leonard Cohen, De André si dedica alle figure femminili, proponendo in italiano una versione particolare, ad esempio Suzanne.

Nel suo posto in riva al fiume
Suzanne ti ha voluto accanto
E ora ascolti andar le barche
Ora vuoi dormirle accanto
Sì, lo sai che lei è pazza
Ma per questo sei con lei
E ti offre il tè e le arance
Che ha portato dalla Cina
E proprio mentre stai per dirle
Che non hai niente da offrirle.

La traduzione mostra come De André, nella sua evoluzione artistica, abbia non solo voluto raccontare gli umili, ma dato prova di umiltà lui stesso. Il rispetto delle opere altrui, e di un patrimonio artistico esterno a quello italiano, si manifesta nell’equilibrio che Faber ricerca sempre fra la propria poetica e lo spirito originale.

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Non una traduzione sempre letterale, ma un’ispirazione da cui con profondità e autoriflessione artistica trarre un nuovo modo di esprimersi. Le passanti racconta di donne che Brassens ha amato, a sua volta si ispira ad una poesia di Antoine Pol. L’elenco procede con una tenerezza incredibile, che De André ricostruisce. Curiosamente non dice di dedicare la canzone a donne che ha amato, come nell’originale di Brassens, ma a donne pensate come amore. Proprio questa variazione è uno dei versi più amati di Fabrizio De André, è anche il titolo di un saggio di Marianna Marrucci proprio su Faber.

Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

Già questo emblematico verso, mostra come Fabrizio De André abbia saputo, anche come traduttore, dare prova della sua grande capacità poetica, e di quella attenzione verso l’altro che lo ha reso cantore degli uomini tutti e dell’universale, senza differenze e distanze.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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