Arthur Rimbaud ha solo diciassette anni quando incontra per la prima volta Paul Verlaine. È il 1871 e il giovane poeta ha appena inviato al ventisettenne Verlaine una serie di versi freschi, potenti, affascinanti. Ammaliato da quelle parole che scorrono leggiadre su carta andando a capo con simmetria casuale, l’artista decide di non farsi scappare un simile talento e, con nonchalance, invita il ragazzo prodigio a Parigi. Tra le mura della casa dei suoceri di Verlaine scoppia la passione; Paul è dilaniato, ha una moglie ma non riesce a resistere allo charme del giovinetto mentre Arthur, anima profonda, vede nell’amore omosessuale una tappa necessaria per la conoscenza dell’affetto universale.
Neanche a dirlo, la relazione è uno scandalo. Mathilde, sposa di Verlaine, scappa con il figlio, mentre i due amanti, ormai decisamente tagliati fuori dalla vita piccolo borghese del tempo, si stabiliscono a Bruxelles. Paul beve, e tanto, è violento e spesso l’alcol lo manda fuori controllo. Rivede Mathilde, rompe con Rimbaud, lo chiama nuovamente e poi al culmine di un delirio di gelosia minaccia Arthur con un coltello. Arrestato, Verlaine rivedrà Rimbaud solo una volta, quando questi, ormai ostile, gli porterà una copia manoscritta di Saison en enfer.
Come tutti i grandi amori segnati da travagli, rotture e sofferenze, il sodalizio tra i due poeti ha rappresentato qualcosa di assolutamente speciale per il panorama culturale europeo. Uniti da una passione artistica e sensuale, Verlaine e Rimbaud si sono amati tra le lenzuola e tra le pagine dei libri, arrivando persino a comporre un sonetto a due voci dal sapore erotico-intellettuale. Il componimento, dall’eloquente titolo Sonnet du trou du cul, è un vero inno al piacere sensoriale, libero da pudicizia e tabù morali:
Paul Verlaine fecit:
Oscuro e increspato come un garofano viola/ respira, umilmente acquattato tra il muschio,/ umido ancora d’amore che segue il dolce pendio/ delle natiche bianche sino al limite dell’orlo./ Filamenti simili a lacrime di latte/ hanno pianto, sotto l’austro crudele che li respinge/attraverso pietruzze di marna rossiccia,/ per andarsene là dove il pendio li chiamava.
Arthur Rimbaud invenit:
S’accoppia spesso la mia bocca alla sua ventosa./ La mia anima, del coito materiale gelosa,/ ne faccia il lacrimatoio fulvo e il nido dei singhiozzi./ È l’oliva svanita e il flauto grazioso/ è il tubo ove discende la celeste pralina/ Chanaan femminile nel madore dischiuso.
La raccolta in cui il sonetto è inserito s’intitola Hombres e, sebbene già completa nel 1891, vide la luce soltanto nel 1903 venendo condannata, in maniera inevitabile, a un’esistenza stentata. Lo scandalo, chiaramente, era costituito dall’ardire dei temi trattati con naturalezza in poesia: rapporti sessuali con giovani ragazzi, canti in lode delle bellezze anatomiche dell’uomo, accurate descrizioni dei dettagli e degli usi del membro maschile. C’è persino una poesia mozartianamente intitolata Mille e tre che, con nostalgia, racconta il Verlaine rievocatore degli splendori dei gamins di cui ha memoria, ciascuno con i suoi pregi, il suo carattere e il suo modo di fare l’amore. Una raccolta di piaceri e pratiche sessuali, arditamente messe in rima per sfidare, con incredibile coraggio, la morale borghese della società dell’epoca.
Hombres, però, non è il solo testo verlainiano a destare scalpore. Nel 1890 era infatti uscito Femmes, volume di poesia interamente dedicato ai piaceri del sesso eterosessuale. Già l’Overture esplicita il senso dell’opera, mostrando versi feticisti decisamente anticonvenzionali: «Stretti, profumati, baciati, leccati, dalle piante, sino alle dita, succhiate una dopo l’altra…». È poi il turno della bocca: «La vostra bocca amo tanto e i suoi giochi graziosi della lingua e delle labbra e quelle dei denti che mordono la lingua e a volte ancor meglio, giochetti piacevoli come metterlo dentro». Qui è il sesso orale, chiaramente, a donare intensi piaceri, un gioco perverso per l’epoca bacchettona e rigida che bollava come ardita, in camera da letto, persino la posizione del missionario. Verlaine concepisce invece il sesso orale come il punto di collegamento più alto con il corpo di una donna, una fusione dei corpi che stimola la sorpresa e che precede l’amplesso completo, momento di estasi e furore erotico: «Avvicinati che mi perdo il ventre in fondo alla tua schiena… Avvolgi il culo nella camicia ma lascia la mano che ti ho messo…».
La foga dell’atto sessuale trasforma il poeta in amante rude, pronto a frustare e sculacciare la partner che lo porta al limite della follia per il piacere: «Ma donna! Per Dio! Tanto da farci perdere la testa, da farci andare tutto il resto in festa, e per Dio, a fuoco il sangue». E il trionfo delle carni regna sovrano in Idillio dove l’autore scrive:
La smorfiosetta a piene mani scuote il batacchio del ragazzotto Felice il pargolo ben scappellato gode e sputacchia da ogni lato L’infante radiosa vedendo il latte e curiosa del nuovo fatto annusa una goccia in punta alla tetta, suvvia bisboccia, perbacco, di fretta! Lecca e sbaciucchia la punta belloccia, senza nicchiare pompa e si dà da fare! – e ancora – E le cugine angeli decaduti di tali cucine e di tal succhi sono abituate, povere donne sin dalla prima lor comunione.
Versi più che licenziosi, di un erotismo forte e rude che porta l’artista alla perdizione, in un universo dove alcol, sesso e scandalo si fondano perfettamente conducendo l’uomo alla Resa: «Son fottuto. M’hai vinto…».
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