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Filosofia della potenza contro filosofia della consolazione

Tra luoghi ed epoche diverse, c'è una similitudine nel passaggio della filosofia dall'essere strumento politico a rifugio individuale? Un cambiamento che riflette la complessità della relazione tra potere e pensiero

10 minuti di lettura

Quando il potere politico passò nelle mani dei Macedoni, i filosofi greci, come era naturale, si ritirarono
dalla politica e si dedicarono maggiormente al problema della virtù o della salvezza individuale. Non si
chiesero più: come possono gli uomini creare un buono stato? Si chiesero invece: come possono gli uomini essere virtuosi in un mondo cattivo, o felici in un mondo di sofferenze?

Bertrand Russel, Storia della filosofia occidentale

È difficile dire se gli individui siano davvero capaci di comprendere i tempi che vivono, di non fraintenderli e dare loro il giusto peso all’interno della storia. Questa è una facoltà che spesso diamo ai posteri, la famosa “ardua sentenza”. Del resto, come non ci stanchiamo mai di dire, la caduta dell’Impero Romano d’occidente fu “silenziosa”, e nessuno all’epoca se ne rese davvero conto. Siamo noi moderni, invece, a voler proiettare in quel momento una palingenesi, un diluvio. Eppure, in certi momenti, gli uomini di tutto il mondo hanno dato prova di saper percepire e incarnare le epoche storiche con spaventosa sensibilità.

Potere e Pensiero

La Grecia

Nel quarantaseiesimo capitolo del Leviatano, Thomas Hobbes fa una descrizione irrisoria della filosofia greca classica. Gli ateniesi – dice l’inglese – dopo la conquista del mare e il raggiungimento del primato militare ed economico, non avendo di meglio da fare iniziarono a dedicarsi alla dissertazione del nuovo, una pratica che giunse a produrre una gran mole di maestri e, con loro, lunghe torme di giovani pronti a seguirli. Tralasciando il tono dissacrante, Thomas Hobbes colse in quell’epoca storica un fatto degno di nota, ossia che a potenza raggiunta, la società ateniese mutò radicalmente, covando in sé un crogiolo di idee che mai si era visto per portata in uno spazio e un tempo così ristretti. E, checché ne dica Thomas Hobbes, nonostante quei discorsi possano sembrare vaneggianti e inconsistenti, essi formavano, nell’indole e nel pensiero, i rampolli di quella classe inurbata che stava costruendo la nuova politeia ateniese: la demokratìa. Non erano parole, erano armi di una società che faceva la politica, la guerra e la storia. Capaci, dunque, di conseguenze gravose. Socrate venne messo a morte per questo: fu accusato di aver corrotto la gioventù ateniese, di aver generato quelle due personalità che, nei loro estremi, avevano distrutto la città e il suo impero, ossia il radicale Alcibiade e l’oligarchico Crizia. Non è importante se questi suoi allievi (a quanto si pensa) avessero agito in conformità agli insegnamenti di Socrate. Piuttosto, è necessario osservare l’identità tra pensiero e potenza, come se uno fosse un’emanazione dell’altra, oppure viceversa. Come se la comunità di uomini, dotandosi di mezzi per fare la storia, ne acquisisse anche per esserne consapevole. E dunque la fisica, la metafisica (anche se non sembrano inerenti allo sviluppo di uno stato) e poi l’etica, la politica.

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La Cina

In Cina, grossomodo contemporaneamente alla comparsa della filosofia greca classica, nacquero le “cento scuole di pensiero”. All’epoca, cioè nel V secolo avanti l’Era Volgare, lo spazio cinese era diviso in una manciata di stati indipendenti (formalmente sottomessi a un unico re). Una frammentazione che segnò il cosiddetto periodo degli stati combattenti, in cui ognuna delle formazioni politiche venne coinvolta in quasi due secoli di guerre ininterrotte. Posti d’innanzi a tali sfide, gli stati andarono incontro a un processo di accentramento e affinamento amministrativo: comparvero eserciti regolari, un fisco ed esattori, una legge unica e scritta. Tra i furiosi conflitti, bazzicavano da uno stato all’altro pensatori e maestri che offrivano le loro idee ai sovrani, i quali erano sempre alla ricerca di nuove vie per il successo. Così, i capi politici, come mecenati, inquadravano i maestri nelle cariche dello stato e davano loro potere effettuale, costituendo scuole dove i giovani sudditi potevano formarsi e diventare, a loro volta, uomini di governo. Come in Grecia, Confucio, Mozi, Mencio – o qualsiasi altro maestro – non impartivano insegnamenti solo sul governo; nondimeno le loro parole si innestavano nella ventura classe dirigente formandone l’indole, come se a parole potenti corrispondessero pensieri potenti e dunque azioni potenti.

Individuo e Consolazione

In Occidente: verso il cristianesimo

Il procedere ondivago della storia fa assurgere le comunità al culmine del potere, così anche le allontana da esso. Il mondo greco classico, quello delle poleis e delle assemblee, venne spazzato via dal regno macedone, dando il via alla lunga stagione dell’ellenismo, coi suoi grandi regni orientaleggianti e sovrani divini. Le città un tempo indipendenti, perduta la proiezione verso l’esterno, persero anche la vocazione della propria classe dirigente, così come il pensiero che l’aveva fin lì cresciuta. Rivolta non più alla potenza, la ricerca si chiuse in se stessa, scavando nella profondità dell’animo umano; non più riferendosi alla società, ma all’individuo. E così emersero l’epicureismo, lo stoicismo e il cinismo, che con loro portarono l’evasione dal reale, la consolazione, la resilienza verso i mali esteriori. Tutto un movimento interiore che preparò l’apertura delle coscienze al cristianesimo, alla salvezza, in una Roma ecumenica non più repubblicana e civile, ma sottomessa al potere di uno, il dominus. La letteratura dei Ciceroni lasciava spazio a quella dei Seneca, ormai sommersi in quell’inquietudine che si legge fra le righe delle Georgiche, quando Virgilio constatava la fine della libertas e l’inizio del principato.

In Oriente: Taoismo, Buddhismo e poesia interiore

In Cina, il crollo del primo impero (III secolo) aprì a un’epoca di incertezza, divisione, sottomissione a popoli stranieri. Il confucianesimo, spirito civile, entrò in crisi a favore del taoismo e del buddhismo, molto apprezzati dai nuovi sovrani barbarici e, presto, anche dalla popolazione cinese. Una ricerca che si dimenticava dei culti familiari, della società, della politica e abbracciava la salvezza dell’individuo, slegandosi dalla storia e immergendosi nell’immenso flusso del dao, o nel perseguimento dell’ottuplice sentiero. Risvolto non solo religioso, ma anche letterario, col passaggio dal glorioso e imperiale genere fu, al più malinconico e personale yuefu. Nella fiaba La sorgente dei fiori di pesco di Tao Qian, un pescatore trova una piccola apertura in un monte e, attraversandola, giunge in un luogo dove regna la pace, inconsapevole della storia, delle dinastie e delle guerre che si susseguono di là, nel mondo del pescatore. Un luogo che non esiste, ma che Tao Qian, figlio di quel medioevo cinese, cerca, nel tentativo di trovare una pace interiore, coltivando il suo piccolo orto di casa e del cuore.

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La cura di sé – “sentire” la storia

Questa contrapposizione (non universale) è rintracciabile in altri esempi: nel pensiero ebraico i periodi nomocratici di Mosè o di Esdra, esperienze di attivismo politico e di indipendenza intellettuale, si contrappongono a quello diasporico e riflessivo del farisaico Yochanan Ben Zakkai, dopo la distruzione del secondo tempio, o al misticismo della cabala, durante l’età delle espulsioni. Ha a che fare anche con ciò che Michel Foucault chiama “cura di sé”: una necessità che nasce dal mutamento dei tempi, percepito anche dall’individuo, incapace di comprendere consapevolmente l’alta e sovrumana nube della storia, ma patita attraverso un sentimento sia condiviso che personale.

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Alessandro Maria Radice

"Il mio nome è Legione, poiché siamo in molti": classe 2002 e vago storico, ma anche osservatore di tutte quelle arti che cerco, indebitamente, di fare mie.

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